Consiglio Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2007, n. 12 – Giurisdizione esclusiva ed attività comportamentale

22.10.2008

L’Adunanza Plenaria ritorna sul problema della identificazione dei limiti e degli ambiti della giurisdizione esclusiva in particolare con riferimento all’attività comportamentale.
Il Supremo Consesso afferma sul punto che i “comportamenti” che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere. Ne consegue che può affermarsi la sussistenza della giurisdizione amministrativa ogniqualvolta sia rilevabile un oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla pubblica amministrazione o ai soggetti ad essa equiparati. La Plenaria spiega che l’in sé dell’esercizio del potere deve rilevarsi, prioritariamente, in materia comportamentale, non tanto dalle intenzioni e dalla generiche dichiarazioni del soggetto pubblico agente quanto dalle oggettive vicende procedimentali che, mentre nella grande maggioranza dei casi precedono ed accompagnano il fenomeno comportamentale, testimoniano esse, oggettivamente, della rilevanza e della finalità e della consistenza del comportamento consentendo di individuarne la genesi e di distinguerlo dai casi di semplice generica presupposta esistenza del pubblico interesse.
La illegittimità di questo o quel momento procedimentale, cioè di quella serie formale strumentalmente rivolta a realizzare l’interesse pubblico e sintomatica dell’agire autoritativo consentito dalla legge , può sì far concludere per la illegittimità e, nei congrui casi, per la illiceità del comportamento con effetti anche analoghi o uguali a quelli propri della accertata carenza del potere, ma tale conclusione spetta al giudice cui, con garanzie ed effettività di certo non inferiori a quelle apprestate dal giudizio ordinario, compete alla stregua dell’ordinamento: al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica “.E a questo “giudice naturale ” compete, in diretta applicazione dei principi di effettività e di concentrazione della tutela nonché delle norme poste dal legislatore ordinario, di conoscere non solo delle domande intese all’annullamento dell’attività autoritativa e, comunque, impugnatorie ma “di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”; risarcimento che, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, è “disposto” con procedure anche innovative
Quanto, infine, al problema della c.d. pregiudizialità amministrativa la Plenaria rileva che rimasta inattuata la articolata delega di cui all’art. 20 co. 5, lett. h, della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore è, infine, pervenuto a stabilire, con formula che privilegia le ritenute esigenze di concentrazione dei giudizi, il criterio della conseguenzialità – evidentemente inteso a confermare la priorità del processo impugnatorio e in vista della prevalenza dell’interesse collettivo al pronto e risolutivo sindacato dell’agire pubblico e in vista della convenienza, per la collettività, dell’esercizio del sindacato stesso secondo criteri e modalità che, essendo positivamente propri del giudizio di annullamento, da esso non consentono di prescindere – ed il criterio della “eventualità ” del risarcimento del danno arrecato all’interesse legittimo, criterio rafforzato dalla diversa prescrizione in tema di giurisdizione esclusiva e che, perciò, non solo esclude automatismi ma impone i predetti apprezzamenti specifici, possibili soltanto allorché sia in causa, siccome suo oggetto principale e diretto, il provvedimento, con le sue ragioni ed i suoi effetti. È su queste premesse, perciò, che dev’essere apprezzato il vulnus che si ritiene connesso alla c.d. pregiudiziale amministrativa che, in effetti, da un lato corrisponde ad avvertite esigenze di controllo, convenientemente sollecitate dalle azioni impugnatorie, della legittimità e della trasparenza dell’azione autoritativa e, d’altra parte, consente il compiuto rilievo degli interessi collettivi e generali coinvolti, rilievo certamente monco e claudicante anche con riferimento alla giurisdizione esclusiva, pur sempre relativa anche ad interessi legittimi e a diritti “degradati”, nell’ambito di un processo di solo tipo risarcitorio, nel quale, per altro, gli interessi economici coinvolti appaiono non più rilevanti degli interessi spesso anche di libertà che si fanno valere, senza che la relativa decadenza sia motivo di censura, nel processo di annullamento. Lo stesso soggetto leso sembra avere convenienza, a fronte dei non gravissimi disagi correlati alla previsione di decadenza, agevolmente superabili con il doveroso uso della diligenza media e certamente più ridotti rispetto a quelli che la legislazione consente o impone in altre anche se diverse materie, a sperimentare preventivamente l’azione di annullamento, nella cui procedura e nella cui finalità strumentale, gli è consentito rilevare vizi ed approfondirne lo spessore con risultati ben utili ai fini dell’accertamento compiuto dell’an e del quantum della richiesta riparazione.

a cura di Laura Lamberti