La Costituzione francese – Resoconto del Convegno biennale dell’Associazione di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo

19.06.2008

Bari, 22-23 maggio 2008

22 maggio, I giornata, I sessione “Le radici culturali del costituzionalismo francese”.
Dopo i saluti del console francese Francois COUSIN ed il benvenuto da parte del Preside della facoltà di Giurisprudenza Prof. GAROFALO, il Presidente della sessione prof. FERRARI (Univ. “L. Bocconi” – Presidente Ass. di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo) ha dato avvio ai lavori. Il prof. QUAGLIONI (Univ. Trento) ha tenuto una relazione su “Costituzione e costituzionalismo nella tradizione giuridica occidentale”, individuando nel “Saggio sulla rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859” di A. Manzoni, pubblicato postumo ed incompleto nel 1889, il primo tentativo di comparazione fra i costituzionalismi francese e italiano. Lo stesso testo, inoltre, secondo il relatore rappresenta un disconoscimento della radice culturale della Rivoluzione francese e delle Costituzioni francesi nella tradizione costituzionale occidentale, nella convinzione che questo abbia segnato uno iato caratterizzato da una illegittimità di fondo. Questa visione, interpretata sia in senso critico che apologetico, ha condizionato il costituzionalismo francese ed il suo rapporto con la tradizione del costituzionalismo occidentale come dottrina giuridica delle garanzie e delle libertà. Il relatore, dunque, ha sostenuto il carattere unitario della tradizione giuridica occidentale, riconoscendo una continuità innegabile fra il sistema feudale e lo Stato costituzionale moderno, di cui le rivoluzioni esaltano un tratto peculiare: la capacità di rielaborazione della dimensione scientifica del diritto e della dottrina costituzionale. Il prof. Quaglioni ha concluso il suo intervento affermando che il modello francese, pur essendo foriero di un’innovativa visione legicentrica, non costituisce una cesura rispetto alla tradizione del costituzionalismo europeo.
Di seguito è intervenuto il prof. SUPPA (Univ. di Bari) con una relazione incentrata su “Il modello bodiniano della sovranità costituente”. Il prof. Suppa ha dapprima illustrato il concetto di Stato in Bodin, giungendo ad enunciare il principio di “giustizia dello Stato” partendo da una presentazione del pensiero bodiniano come sintesi storica, politica e giuridica dell’esigenza di ordine vissuta in Francia in seguito alle guerre di religione del XVI secolo. L’obiettivo di portare il suo Paese «fuori dalla tempesta», infatti, non avrebbe potuto essere realizzato attraverso mezzi esclusivamente politici, rifiutando egli sia il ricorso alla tirannia che la scienza politica machiavelliana, e imponeva, piuttosto, un’attenzione al nesso fra governo e diritto, fra ordine e legittimazione. Quanto al concetto di sovranità, ed al complesso percorso teorico che ad esso porta, il prof. Suppa ha messo in evidenza il bisogno culturale di ricorrere alla storia quale ciceroniana magistra vitae. Nel quadro della contrapposizione fra la storia, come luogo di differenza, ed il diritto, come luogo della forma, appare dunque la definizione di sovranità, quale potere assoluto e perpetuo dello Stato che costituisce il momento genetico delle norme, delle funzioni del sovrano e della gerarchia delle leggi, manifestando così il suo valore “costituente”.
Successivamente il prof. MARTUCCI (Univ. di Lecce), intervenendo su “Il fondamento del “codice parlamentare” occidentale: la supremazia legislativa in età rivoluzionaria dalla Virginia alla Francia (1776-1795)”, ha sottolineato come nelle 17 Costituzioni, 12 americane e 5 francesi, approvate fra il 1776 ed il 1795, fosse comune l’affermazione della supremazia del corpo legislativo, quasi sempre bicamerale, rispetto all’esecutivo, con l’eccezione della Costituzione di Philadelphia. In quest’ultima, infatti, diversamente dalla Costituzione della Virginia, alla forza del Congresso era contrapposto un esecutivo altrettanto forte. Dopo un cenno all’opera di Condorcet, al progetto di Costituzione da questi proposta ed alla sua condanna, il relatore ha messo in luce le analogie e le differenze fra i processi costituzionali statunitense e francese: sul primo versante vi sono la comune visione della Costituzione come testo organico che comprende l’organigramma dei poteri pubblici, l’adozione con procedura solenne dei Testi e la loro legittimazione popolare; fra le differenze vi è, invece, la coesione del fronte rivoluzionario negli Stati Uniti rispetto alla lotta fratricida che ha caratterizzato l’esperienza francese.
Sul tema “Sovranità popolare e Costituzione” è quindi intervenuto il prof. SCUCCIMARRA (Univ. di Macerata), il quale ha esordito mettendo in luce il rapporto oppositivo fra sovranità e Costituzione, tipico del costituzionalismo francese. La relazione ha ripercorso lo sviluppo del concetto di sovranità popolare, dalla sua genesi, con i contributi di Rousseau e di Vattel, alla sua piena realizzazione, con Sieyés. Se a Rousseau deve riconoscersi il merito di aver dato centralità politica al concetto di sovranità popolare, infatti, è a Vattel che è stata invece attribuita la definizione di un nuovo concetto giuridico di “Costituzione”, destinato ad interagire efficacemente con la nascente ideologia rivoluzionaria della sovranità popolare. Si riconduce a Sieyés, infine, l’elaborazione della “sovranità costituente rivoluzionaria” attraverso l’affermazione della nazione francese, quale originaria titolare del potere sovrano, e la fondazione costituzionale, quale estrinsecazione della dimensione originaria della sovranità nazionale. Si inverte, dunque, il rapporto fra sovranità e Costituzione: quest’ultima non è più limite dell’altra, ma ne è espressione, in un approccio che trova compimento nella categoria del “potere costituente”.

22 maggio, I giornata, II sessione “I cicli costituzionali”.
In seguito all’apertura dei lavori da parte del prof. MAUS (Pres. dell’Association Internazionale de Droit Constitutionel e Pres. emerito de l’Associacion Française de Droit Cosntitutionnel), è intervenuto il prof. TROPER (Univ. Paris X) sul tema “Le tentazioni rivoluzionarie: un laboratorio costituzionale”. Il prof. Troper ha evidenziato come la Rivoluzione francese sia stata una fabbrica di idee e principi costituzionali che, seppur evoluti, rappresentano ancora l’identità costituzionale francese. In particolare è stato oggetto d’analisi il principio della sovranità nazionale e la necessità, costantemente avvertita nei vari cicli costituzionali francesi, di rinvenirne un titolare. Nella V Repubblica questa necessità è dimostrabile esaminando il tentativo di definire, anche al fine di giustificare le limitazioni del diritto di voto e la scelta del Conseil constitutionnel di non giudicare le leggi approvate con referendum, il concetto di “popolo”, inteso non più come l’insieme dei cittadini, ma come l’insieme degli elettori. Un secondo esempio si rinviene nella giustificazione del controllo di costituzionalità, quale strumento attraverso cui il giudice costituzionale tutela la volontà di un popolo «superiore, trascendente e perpetuo». Esemplificativo, infine, è il tentativo di conciliare la sovranità nazionale con la preminenza del diritto europeo.
È seguito l’intervento su “La razionalizzazione ottocentesca: l’affermazione del modello parlamentare” del prof. LACCHÈ (Univ. di Macerata), il quale ha sottolineato come il concetto di “parlamentarismo razionalizzato” ottocentesco vada storicizzato ed astratto dall’esperienza del Novecento. Durante la III Repubblica, infatti, le origini, la formazione, l’applicazione e lo sviluppo del modello parlamentare venivano individuate nel periodo 1814-1848. Per quell’epoca, tuttavia, non si poteva ancora parlare di classificazione dei regimi “puri” (parlamentare e presidenziale) e le stesse formule di “governo parlamentare” e “regime parlamentare” erano poco utilizzate, in favore di quelle di “governo rappresentativo” e “gouvernement de la Charte”. Nel trentennio considerato la Francia guardava all’esperienza costituzionale britannica alla ricerca del bilanciamento fra potere legislativo ed esecutivo in un ordine politico monarchico. La “razionalizzazione parlamentare”, infatti, è un processo storico nell’ambito della formula della “monarchia costituzionale”; in proposito è opportuno specificare che le Costituzioni erano carenti nel definire il controllo fra il Parlamento e l’Esecutivo. Fra il 1814 ed il 1848, in conclusione, si svilupparono le tecniche tipiche del regime parlamentare (interpellanza, inchiesta, controllo sulla legge di bilancio, responsabilità politica dei ministri), ma la sua realizzazione compiuta era impedita da alcuni fattori quali il ruolo indefinito del monarca costituzionale, il sistema dei gruppi politici, il sistema elettorale censitario.
Successivamente il prof. MACHELON (Univ. Paris V) ha relazionato sul tema “Dall’orleanismo al monismo parlamentare: la III Repubblica”, evidenziando come le istituzioni della III Repubblica francese siano strettamente connesse al contesto storico in cui esse sono state sviluppate. È con questo approccio che deve analizzarsi l’evoluzione del ruolo del Capo dello Stato, che prende progressivamente le distanze dall’organo di rappresentanza; al contempo, nei confronti di quest’ultimo si afferma la responsabilità dei Ministri. La responsabilità presidenziale “solo nei confronti della Francia” sarà all’origine del c.d. colpo di Stato di Mac-Mahon del 16 maggio 1877, che provocherà una chiara inversione delle regole del regime parlamentare facendo definitivamente del Parlamento il centro della vita politica del Paese. Si afferma così una sorta di “parlamentarismo assoluto”,al quale farà da contraltare una marcata instabilità del Governo, i cui componenti saranno sostituiti con frequenza. Si realizza così un monismo parlamentare, intrinsecamente legato alle evoluzioni della storia politica francese, nei cui confronti non mancheranno tentativi di riforma mai realizzati.
È quindi intervenuto il prof. GICQUEL (Univ. Paris I), il quale, relazionando su “La IV Repubblica, la sua crisi e le ragioni dell’avvento del regime gollista”, ha illustrato le ragioni per cui definisce “particolare” l’esperienza della IV Repubblica. Infatti, sebbene la Costituzione del 1946, grazie alla combinazione della forza politica del tripartitismo e della codificazione del gioco istituzionale, desse vita ad un regime parlamentare stabile ed efficace, la crisi del tripartitismo fece venire meno l’equilibrio istituzionale disegnato dalla Costituzione e portò ad una marcata instabilità, dimostrata dall’insediamento di 22 governi in 12 anni. L’esperienza della IV Repubblica, quindi, può essere vista come un Giano bifronte: la sua instabilità riconduce alla III Repubblica, ma, allo stesso tempo, pone le basi per un’adeguata gestione di questa degenerazione nella Costituzione del 1958. In particolare, ha affermato il prof. Gicquel, l’attuale art. 49 della Costituzione del 1958 affonda le radici nell’esperienza costituzionale della IV Repubblica.
La sessione è stata chiusa dagli interventi programmati del prof. Cartier e della prof.ssa Abet.
La relazione “Da Vichy alla Repubblica e dalla Repubblica a Vichy: la transizione costituzionale” svolta dal prof. CARTIER (Univ. di Dijon) ha preso le mosse dalla contrapposizione fra “Vichy” e la “Repubblica”. Questi termini, spesso associati, rappresentano concetti caratterizzati da una radicale antinomia derivante dalla necessità di negare politicamente e giuridicamente l’esistenza del primo qualora si aderisse all’altra. La distinzione del regime di “Vichy” dallo “Stato francese” è basata sulla negazione giuridica del primo da parte dell’autoproclamatosi governo provvisorio della Repubblica, che reclamava la continuità rispetto all’ultimo governo repubblicano ed alle leggi della Repubblica. Tale stato di cose è stato confermato attraverso ordinanze del 1942 e del 1944 che hanno ristabilito la legalità repubblicana rispettivamente sui territori d’oltremare liberati e sul territorio metropolitano e hanno dichiarato nulli tutti gli atti approvati dal governo Pétain; ciò nonostante non può negarsi che sia sorta una questione sulla successione dei sistemi giuridici.
La prof.ssa ABET (Univ. di Bari), nella relazione “De Gaulle, profeta della Francia: considerazioni sulle Memorie”, ha illustrato la struttura dell’opera distinguendo i cinque volumi in due cicli, riconducibili, rispettivamente, agli anni della seconda guerra mondiale (“Memoires de guerre”) e agli anni successivi (“Memoires d’espoir”). La prima raccolta è un racconto dai tratti epici in cui l’autore si trasforma da semplice narratore in artefice della Storia, mentre nella seconda l’autore traccia un bilancio della sua vita come statista. Ciò nonostante vi sono degli elementi in comune: in primo luogo entrambe appartengono alla categoria delle “Memoires d’Etat”; in secondo luogo l’intera opera poggia sull’idea dell’autore di voler garantire il destino della Francia, da cui scaturisce la visione quasi religiosa della Francia e della missione di salvezza di cui si sente investito il narratore.

23 maggio, II giornata, III sessione “Il costituzionalismo francese alla prova”
La III sessione dei lavori del Convegno è stata presieduta dal prof. DE VERGOTTINI (Univ. di Bologna), il quale ha ricordato in apertura come nel 2008 si celebrino i cinquant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione della V Repubblica francese ed i sessant’anni dall’entrata in vigore di quella italiana. Il Presidente ha rilevato altresì l’esistenza di un’influenza costante del costituzionalismo francese sulla storia costituzionale italiana, come mostrano i numerosi rinvii alla Costituzione francese del 1946 nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, i richiami al testo costituzionale del 1958 nel dibattito politico italiano con riferimento alla necessità di rafforzare i poteri dell’Esecutivo, nonché la puntuale analisi, in sede di Commissione bicamerale per le riforme costituzionali del 1997, dei modelli francese e britannico quali esempi alternativi a cui ispirarsi.
Il prof. PINI (Univ. Aix-Marseille III), relazionando su “Il semipresidenzialismo alla prova: coabitazione, quinquennato e prospettive di riforma”, ha analizzato le risultanze dei due principali “test” a cui il semipresidenzialismo francese è stato sottoposto: la coabitazione e il quinquennato. Durante i casi di coabitazione, ovvero di coesistenza ma non di corrispondenza tra maggioranza presidenziale e parlamentare, e dopo la riforma del quinquennato, ossia a seguito della riduzione da sette a cinque anni del mandato presidenziale, la solidità del regime della V Repubblica è stata messa massimamente alla prova. Nelle tre situazioni di coabitazione (del 1986, 1993 e 1997), infatti, il Presidente della Repubblica ha assunto poteri simili a quelli del Capo dello Stato in un sistema parlamentare, pur in presenza di significative differenze a seconda delle personalità. La legge costituzionale n. 2000-964 (del 2 ottobre 2000), adottata anche per referendum, modificando l’art. 6 Cost., ha omologato la durata in carica del Presidente con quella dei membri dell’Assemblea nazionale e ha così rimodulato il “ritmo” della democrazia francese.
Successivamente, ha preso la parola il prof. ROUX (Univ. Aix-Marseille III) su “Il decentramento à la francese”, evidenziando la gradualità di tale processo di riforma: nel 1979, infatti, il Conseil constitutionnel ha attribuito valore costituzionale al principio di libera amministrazione degli enti locali, mentre la legge costituzionale n. 2003-276 e le successive leggi organiche hanno consacrato il decentramento come principio regolatore dell’organizzazione amministrativa dello Stato. In particolare, la revisione del 2003 ha assicurato l’autonomia finanziaria agli enti locali e la facoltà di procedere, con il consenso della collettività locale, sia a una differenziazione del grado di autonomia concesso rispetto alla categoria di enti territoriali di pertinenza, sia alla fusione tra essi. Il testo costituzionale, come modificato, ammetterebbe, inoltre, la possibilità di una “territorializzazione del diritto”, tramite la garanzia fornita dal principio di specificità legislativa (art. 73. c. 3, Cost.). In conclusione il relatore ha rilevato che, sebbene il federalismo sia contrario ai principi fondamentali del diritto pubblico francese, quali l’indivisibilità della Repubblica e l’unicità del popolo francese, ciò nondimeno il testo costituzionale oggi acconsente al riconoscimento delle diversità sul suo territorio.
Il prof. ROUSSEAU (Univ. Montpellier I) ha presentato quindi una relazione su “La magistratura: il ruolo dei giudici e il principio della separazione dei poteri” approfondendo la questione delle garanzie di indipendenza del potere giudiziario. L’art. 64 Cost., infatti, assicura un riconoscimento costituzionale al principio dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria dagli altri poteri dello Stato e il Conseil constitutionnel ha specificato, sulla base di tale articolo, che il Presidente della Repubblica è il garante dell’osservanza di tale principio. Secondo la giurisprudenza costituzionale, i fattori che incidono sull’indipendenza del sistema giudiziario consistono in primo luogo in un adeguato sistema di formazione dei futuri magistrati, quindi nella trasparenza delle procedure di nomina degli stessi, poi nella loro protezione da condizionamenti di tipo politico ed economico durante l’esercizio delle proprie funzioni e, infine, nel funzionamento equilibrato del sistema disciplinare, attraverso il Consiglio superiore della magistratura.
Successivamente il prof. PFERSMANN ha tenuto una relazione sul tema “La specificità francese del controllo di costituzionalità secondo i dati della Costituzione del 1971 (già 1958)”. La relazione è stata incentrata sulle modifiche che il progetto di legge costituzionale del 23 aprile 2008 intende apportare al controllo di costituzionalità; suddetto progetto, infatti, mira a fare del Conseil constitutionnel una vera e propria corte costituzionale capace di effettuare un controllo di costituzionalità sia a posteriori che a priori. Il prof. Pfersmann ha evidenziato come l’approvazione del progetto consentirebbe, da un lato, di fare chiarezza sulle molteplici situazioni in cui il Conseil ha agito in potenziale difformità dalla Costituzione – si pensi alle sentenze del 16 luglio 1971 e del 15 gennaio 1975 -, ma, dall’altro, come esso apra un ampio dibattito dovuto anche ad alcune ambiguità testuali. In particolare, il Professore ha segnalato la necessità di chiarire come saranno disciplinati la questione del ne bis in idem e gli effetti delle sentenze di annullamento sulle situazioni giuridiche particolari, evidenziando, infine, come il progetto non apra alla possibilità di ricorsi individuali diretti, secondo un modello già adottato in Spagna e Germania.
Successivamente è intervenuto il prof. RENOUX (Univ. Aix-Marseille III) sul tema “Controllo di costituzionalità e controllo di convenzionalità”. Il Professore ha evidenziato come la richiesta che il controllo di costituzionalità si estenda anche ai diritti fondamentali degli individui veda contrapporsi due differenti linee di pensiero: da un lato, infatti, vi è chi ritiene che tale tipo di controllo sia superficiale, essendo gli stessi tutelati dalla CEDU e direttamente applicabili dinanzi a Tribunali e Corti nazionali e che, anzi, l’introduzione di un controllo di questo tipo comporterebbe una elevata instabilità giuridica; dall’altro, invece, si ritiene che il controllo della tutela dei diritti fondamentali da parte delle Corti costituzionali sia complementare, e non competitivo, con quello effettuato dalle Corti sopranazionali.
E’ intervenuto quindi il prof. BASSANINI (Univ. di Roma – La Sapienza), che ha analizzato “Le prospettive di riforma dello Stato francese tra modernizzazione delle istituzioni e sviluppo economico”. Paradossalmente, proprio in Francia dove la forma di governo consente all’Esecutivo “di decidere” e, quindi, di realizzare le riforme si è intervenuto, da ultimo, sul riequilibrio dei poteri tra gli organi costituzionali rafforzando le prerogative del Parlamento nelle procedure finanziarie, nelle nomine presidenziali e nella determinazione dell’ordine del giorno dei lavori parlamentari. Inoltre, si è evidenziata una certa tendenza del gruppo parlamentare di maggioranza ad assumere una posizione autonoma da quella presidenziale. E’ stato questo il caso delle modifiche apportate in Commissione al testo licenziato dal Comitato Balladour e, prima ancora, della presa di posizione del gruppo UMP rispetto alle proposte dalla Commissione Attali. Al termine del suo intervento il Professore ha rilevato che il regime della V Repubblica ha già sviluppato un sistema di checks and balances, quali la coabitazione, il sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali e il principio della piena compatibilità dei mandati tra livello locale e centrale di governo. Relativamente alla razionalizzazione della forma di governo italiana, invece, il prof. Bassanini ha sottolineato l’opportunità di rivolgersi ai modelli tedesco e spagnolo anziché a quello semipresidenziale.
Sono stati svolti successivamente due interventi programmati: la prof.ssa Calamo Specchia ha presentato una relazione dal titolo “La revisione della Costituzione: potere costituente o costituito?”, a cui ha fatto seguito la relazione della prof. Cerrina Ferroni concernente “Le esternazioni presidenziali”. La prof.ssa CALAMO SPECCHIA (Univ. di Bari) ha constatato come la distinzione fra potere costituente e potere costituito sia emersa soltanto con l’affermazione delle prime Costituzioni scritte e rigide, dopo la Rivoluzione francese. Venendo alla revisione della Costituzione della V Repubblica, tale attività incontra limiti di carattere procedurale, inerenti al contesto e ai trascorsi storici, e di natura sostanziale. Appartiene a quest’ultima categoria la norma di chiusura, nonché la clausola di salvaguardia del sistema costituzionale francese, contenuta nell’art. 89 Cost.: la forma di Stato repubblicana non può essere modificata. In conclusione, la relatrice ha ricordato che la giurisprudenza del Conseil constitutionnel circa i limiti al potere di revisione della Costituzione non ha conosciuto un indirizzo univoco: nella decisione Maastricht II è stato ammesso il controllo del giudice costituzionale sulle leggi di revisione, alla luce dei principi costituzionali fondamentali; successivamente, nel 2003, tale possibilità è stata esclusa facendo leva su un’argomentazione puramente lessicale, vale a dire l’assenza di un riferimento nell’art. 61 Cost. all’espressione “leggi costituzionali”.
La prof.ssa CERRINA FERRONI (Univ. di Firenze), in apertura, ha messo in risalto l’assenza di una parola che consenta di tradurre in francese il termine italiano “esternazione”: l’art. 18 della Costituzione della V Repubblica fa riferimento genericamente alla nozione onnicomprensiva di messages. La relatrice ha sottolineato che nel passaggio dalla III e IV Repubblica alla Carta fondamentale del 1958 la disciplina costituzionale dell’istituto si è fatta progressivamente meno restrittiva nei confronti del Presidente, essendo venuto meno il potere di controfirmare il messaggio da parte del Governo. Ordinariamente il Presidente rivolge messaggi al Parlamento all’inizio e alla fine della legislatura, quando intende indire un referendum, mentre indirizza un messaggio alla Nazione ai fini dell’esercizio dei poteri eccezionali (art. 16 Cost.). Inoltre, è stato segnalato che il progetto di riforma costituzionale definito dalla Commissione Balladour dispone alcune modifiche dell’art. 18 Cost., prevedendo che il Capo dello Stato possa rivolgersi separatamente ai due rami del Parlamento o alle due Camere riunite e che alla lettura del messaggio faccia seguito un dibattito in assenza del Presidente e senza voto finale.

23 maggio, II giornata, IV sessione “La Costituzione francese e gli altri”
Dopo l’introduzione da parte Presidente della sessione prof. MATHIEU (Univ. Paris I), il prof. GROSSO (Univ. di Torino) ha tenuto una relazione sul tema “Il dialogo tra i sistemi francese e italiano: la circolazione negata”. In merito il prof. Grosso ha evidenziato come lo studio della forma di governo della V Repubblica francese sia stata costantemente al centro del dibattito accademico italiano sulle possibilità di riforma del sistema istituzionale della penisola, pur non essendo mai stata – con l’eccezione del 1996-98 – una opzione effettivamente discussa nelle aule parlamentari. Fra i motivi di attenzione da parte degli accademici italiani vi è la presunta natura flessibile di quella forma di governo, in grado di esprimere, grazie alla cohabitation, capacità decisionale anche in caso di maggioranza disgiunte; tale visione, peraltro, è considerata un punto di debolezza in ambito francese, tanto da essere stata lungamente oggetto di ipotesi di riforma. L’attenzione politica verso questo modello, invece, deriverebbe proprio dalle possibilità di giocare su un sistema ambiguo. Ulteriori incomprensioni relative al semipresidenzialismo francese risiederebbero, inoltre, nella intercambiabilità fra quest’ultimo ed il premierato, nonché nella mancata analisi dei meccanismi di irresponsabilità dei governanti. Il prof. Grosso ha quindi concluso il proprio intervento auspicando che il recente dibattito francese sulle riforme istituzionali sia foriero di riflessioni anche in Italia, purché i suoi echi non arrivino attutiti ed equivocati.
Successivamente è intervenuto il prof. RINELLA (LUMSA di Roma) relativamente alle “Transizioni costituzionali e circolazione del modello semipresidenziale”. Il prof. Rinella ha evidenziato come il semipresidenzialismo francese sia stato considerato un punto di riferimento nelle fasi di transizione degli ordinamenti costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale in seguito alla caduta del muro di Berlino. Proponendo un modello di analisi incentrato sui tratti caratterizzanti il ruolo del Capo dello Stato, piuttosto che sul pur peculiare rapporto fra Governo e Parlamento, il prof. Rinella ha concluso il proprio intervento chiarendo come la forma di governo semipresidenziale, nelle fasi di consolidamento democratico, sia stata lentamente accantonata nei Paesi che vi erano ricorsi durante la transizione.
Ha quindi fatto seguito la relazione “Le ragioni del fallimento del costituzionalismo francese in Africa e l’autonomia del diritto costituzionale africano” del prof. FALL (Univ. Montesquieu Bordeaux IV), il quale ha chiarito come nelle ex-colonie francesi d’Africa il modello francese abbia rappresentato soprattutto un “quadro istituzionale” al cui interno hanno trovato posto soluzioni diverse e non sempre convergenti con il sistema francese. In quel contesto si è sviluppato un costituzionalismo mirante a compiacere le aspettative dei leader politici, che ha prodotto forme di governo in cui si riconosceva il ruolo preminente del Capo dello Stato. Il prof. Fall, in conclusione, ha notato come questa fase di riferimento strumentale al modello francese sia ormai conclusa e come, nei processi di democratizzazione che si stanno consolidando nelle ex-colonie, molti degli elementi di riforma proposti dal Comitato Balladour siano già vigenti.
Ha preso la parola, infine, il prof. GAÏA (Univ. Aix-Marseille III). il quale, relazionando su “La V Repubblica e la costruzione europea”, ha sottolineato che il Conseil constitutionnel, sebbene istituito quando la costruzione europea aveva già raggiunto uno stato molto avanzato, ha assunto un atteggiamento prudente, orientato alla ricerca del compromesso tra ordinamento costituzionale e acquis comunitario. Per trovare un simile equilibrio il Conseil ha ridotto il novero delle norme rientranti nel c.d. “blocco di costituzionalità” ed ha riconosciuto che lo Stato è ancora il soggetto titolare “della competenza sulle competenze” e ha individuato nel rispetto delle condizioni essenziali di esercizio della sovranità statale il limite superato il quale potrebbe riscontrarsi uno sconfinamento nell’incostituzionalità; con le modifiche puntali apportate al testo costituzionale dal 1992 in poi è stata estesa la “copertura costituzionale” assicurata al diritto comunitario primario e derivato. A tal proposito, il Conseil ha ritenuto che la trasposizione delle direttive discenda da un’esigenza costituzionale, facendo riferimento, quale parametro delle sue pronunce, all’art. 88, c.1, Cost. anziché all’art. 55, Cost. Si è giunti persino a riconoscere la necessità di un controllo di convenzionalità delle leggi nei confronti del diritto comunitario, sebbene tale scrutinio non spetti al giudice costituzionale.

Al termine del Convegno è stato presentato il libro di Raymond Carré de Malberg, “La loi expression de la volonté générale”, nella traduzione a cura della prof.ssa Calamo Specchia.
È intervenuto dapprima il prof. CERVATI (Univ. di Roma – La Sapienza), il quale ha posto l’accento sul fatto che l’opera, pubblicata per la prima volta nel 1931, è stata scritta negli anni del faticoso consolidamento delle Costituzioni razionalizzate e del “conflitto” tra dottrine giuridiche. Si è fatto riferimento, dunque, alla concezione della sovranità per Carré de Malberg: questa è considerata come un risorsa storica, un patrimonio in cui si è sedimentato l’acquis della Rivoluzione francese. Quanto alle fonti del diritto, poi, il giurista francese, sposando una concezione della potestà legislativa quale espressione della volontà sovrana, si è detto contrario sia agli imponenti monumenti costituzionali sia alla possibilità di conferire deleghe legislative al Governo. Successivamente la prof.ssa DECARO (LUISS Guido Carli) ha fatto riferimento alle istituzioni e, in particolare, alla “casa-Parlamento”, come laboratorio e “luogo di fabbricazione” costituzionale, mettendo in guardia contro i rischi derivanti dall’onnipotenza parlamentare. Ricordando la lezione di Carré de Malberg, infatti, è auspicabile che si pongano dei limiti all’assolutezza dei poteri parlamentari, attraverso il referendum e il controllo sulla costituzionalità delle leggi. Inoltre, è stata colta l’occasione per rammentare la ricorrenza di un altro significativo anniversario nel 2008, in aggiunta a quelli rievocati in altri interventi: difatti, è trascorso un cinquantennio dall’entrata in vigore dei Trattati di Roma, ossia da quando la “fabbrica europea” ha iniziato a lavorare. Così come il patrimonio costituzionale comune europeo è stato ed è tuttora alimentato dalle Costituzioni degli Stati membri, allo stesso modo queste ultime hanno attinto dal laboratorio della costruzione europea, forgiando un’identità nuova, assai complessa e di non facile sistematizzazione.

Il prof. VOLPE (Univ. di Bari), che ha chiuso i lavori del Convegno, dopo aver ringraziato tutti i relatori per la loro partecipazione, ha osservato come la Francia nel cimentarsi con il grande laboratorio costituzionale della modernità sia stata capace di tesaurizzare il proprio patrimonio costituzionale. Le radici della nascita del costituzionalismo moderno, ad avviso del professore, sono da rintracciarsi nella pluralità dei poteri pubblici durante il medioevo, nell’umanesimo, nelle guerre di religione e nell’esigenza di governare la complessità. La Rivoluzione francese, però, ha prodotto i suoi effetti ben oltre i confini della Francia, promuovendo un vero e proprio riposizionamento costituzionale del mondo. Da allora ogni riforma della Costituzione francese ha rappresentato il tentativo di fornire una risposta ad una specifica domanda: per la Costituzione della III Repubblica, quella della rappresentanza politica; per la Costituzione della V Repubblica, quella della stabilità e, infine, per il progetto di riforma attuale, quella di un riequilibrio dei poteri tra gli organi costituzionali.

Gabriella Angiulli, Cristina Fasone, Valentina R. Scotti