Se un senatore fa una dichiarazione di voto in dissenso rispetto al proprio Gruppo di appartenenza, deve necessariamente votare di conseguenza?

18.02.2008

Nel corso della seduta dell’Assemblea del Senato n. 252, del 14 novembre 2007, sul disegno di legge n. 1817 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2008”), il senatore Novi (FI) svolge una dichiarazione di voto, in dissenso dal suo Gruppo, rispetto all’emendamento 93.800, presentato dal senatore Stracquadanio e su cui il relatore ha espresso parere contrario.
Al momento della votazione nominale con scrutinio simultaneo, il Presidente di turno, sen. Angius, richiama all’ordine il senatore Novi (FI), invitandolo a votare conseguentemente rispetto alla dichiarazione di voto in dissenso appena pronunciata e lo invita, pertanto, a togliere la scheda o a votare in dissenso.
Sollecitato dal Presidente di turno, anche il capogruppo, il senatore Schifani (FI) invita il senatore Novi ad essere conseguente con la dichiarazione di voto.
Conclusa la votazione (in cui il Senato non approva) il senatore Novi (FI) prende la parola per evidenziare che nel corso della medesima votazione senatori firmatari di emendamenti hanno votato contro i propri emendamenti.
Alla replica del Presidente Angius, il quale ricorda che “tutti hanno il diritto di cambiare opinione e di gestire la propria decisione di voto”, il senatore Castelli (LNP) replica che anche la firma su un emendamento è una dichiarazione, sebbene di natura scritta.
I senatori Storace (Misto-LD) e Nania (AN) ribadiscono che il voto è un fatto personale e che la presidenza non può assolutamente impedire ad un parlamentare, che ha fatto una dichiarazione in dissenso, di maturare poi una convinzione diversa.
Il senatore Stracquadanio (DCA-PRI-MPA) chiarisce che la decisione del senatore Novi è probabilmente da addebitare alla richiesta avanzata – da parte dello steso senatore Stracquadanio attraverso un sms – di non esprimere un voto contrario all’emendamento a sua prima firma.
Il senatore Schifani (FI), pur ribadendo, che “costituzionalmente qualunque parlamentare, fino al momento in cui non manifesta la sua volontà con il voto, è libero di cambiare idea rispetto a quella manifestata precedentemente”, ricorda che per prassi (quasi sempre), in presenza di un voto in dissenso, il voto è espresso in coerenza rispetto al dissenso manifestato. Tuttavia, ritiene errato il comportamento della Presidenza, la quale doveva consentire al senatore Novi di manifestare liberamente il proprio voto, salvo poi l’opportunità di azionare determinate procedure dopo l’espressione del voto. Il senatore Buttiglione (UDC) ritiene che, successivamente all’espressione del voto, il Presidente avrebbe potuto sottrarre il tempo usato dal senatore Novi al suo Gruppo parlamentare, o eventualmente denunciando il senatore per truffa alla magistratura ordinaria.
Al contrario, il senatore Divina (LNP) e il senatore Silvestri (IU-Verdi-Com) ritengono la decisione assunta dal Presidente corretta da un punto di vista etico e necessaria per consentire il corretto andamento dei lavori parlamentari: diversamente, si finirebbe per togliere valore all’espressione del dissenso dal proprio Gruppo.
Il senatore Morselli (Misto-LD) chiede al Presidente di specificare a norma di quale articolo del Regolamento ha effettuato il richiamo al senatore Novi. Dal momento che l’articolo 66 del Regolamento recita che «Se un senatore turba l’ordine o pronuncia parole sconvenienti, il Presidente lo richiama all’ordine e può disporre l’iscrizione del richiamo nel processo verbale». A parere di Morselli, vista la lettera dell’articolo, esiste un vuoto regolamentare, in quanto il Regolamento si limita a prevedere il voto in dissenso, senza disciplinarne gli effetti.
Il senatore Boccia (Ulivo), a parere del quale il Presidente ha agito correttamente nel rispetto della prassi, ricorda che il motivo stesso per cui è stato introdotto il voto in dissenso ha portato a stabilire che chi avesse chiesto la parola in dissenso doveva votare diversamente dal suo gruppo. Ricorda, inoltre, che in questa direzione sono state pronunciate delibere della Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati che stabiliscono tale regola. Ribadisce, poi, che non è possibile paragonare il voto in dissenso rispetto alla firma o al ritiro della firma su un emendamento. E che, tuttavia, sarebbe forse stato più opportuno lasciare al senatore la possibilità di scegliere se votare contro o se astenersi, oltre che se ritirare la scheda.
Il Presidente Angius rassicura l’Assemblea che la questione sorta, con riguardo al modo in cui le espressioni di dissenso rispetto alle posizioni del proprio Gruppo si possono manifestare nel voto, rispettando pienamente la libertà di coscienza di ciascuno, verrà rimessa alla valutazione della Giunta per il Regolamento. Ribadisce, inoltre, che nel richiamare all’ordine il senatore Novi è stata rispettata non una prassi, quanto piuttosto la lettera del Regolamento, che all’articolo 109, comma 2, prescrive che tutti i senatori hanno diritto di parlare, anche dopo che c’è stata un’espressione di dichiarazione di voto da parte del Presidente del Gruppo, o comunque di un delegato del Presidente a dare un certo parere su un determinato provvedimento a nome del Gruppo medesimo. In quel momento del dibattito il diritto alla parola, cioè il diritto a prendere la parola su quell’argomento da parte del parlamentare, è, però, subordinato alla dichiarazione di dissenso. Il Presidente ricorda, a tal proposito, di aver ripetutamente chiesto al senatore Novi se il suo intervento era in dissenso, ottenendo dallo stesso una risposta positiva. Invita infine l’Aula, e in particolare i senatori Nania e Schifani, a riflettere sulle conseguenze che deriverebbero da una prassi di mutamento di voto rispetto alla dichiarazione fatta all’ultimo momento: si accetterebbe, in tal caso, una palese e aperta violazione del Regolamento del Senato.

a cura di Giovanna Perniciaro