Codice degli appalti tra Stato e Regioni: la Corte costituzionale scioglie molti nodi – Resoconto convegno

07.01.2008

Roma, 7 dicembre 2007

Lo scorso 11 dicembre 2007 si è tenuto, presso il Jolly Hotel di Roma, un convegno promosso dall’Istituto Grandi Infrastrutture (IGI) sul tema “Codice degli appalti tra Stato e Regioni: la Corte Costituzionale scioglie molti nodi”.
L’incontro di studio è intervenuto all’indomani della sent. Corte Cost. n. 401/2007 nella quale, il 23 novembre c.a., la Consulta si è pronunciata in merito alle censure di legittimità costituzionale mosse da cinque Regioni (Piemonte, Veneto, Toscana, Abruzzo, Lazio) e da una Provincia autonoma (quella di Trento) avverso una serie di disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.
Ad avviso dell’On. Giuseppe Zamberletti, Presidente dell’IGI, che ha aperto i lavori del convegno, l’importanza della pronuncia testè menzionata consiste nell’aver messo un punto fermo ad una vicenda nata a seguito dell’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione (l. cost. n. 3/2001) che, come noto, ha ampliato la competenza legislativa delle Regioni senza, però, riuscire a delimitarne esattamente i confini. In forza di tale sentenza gli operatori del settore possono, invece, contare oggi su un quadro normativo che, ancorché non definitivo, si presenta quantomeno unitario: la Corte Costituzionale ha infatti scongiurato il pericolo che ciascuna Regione, facendo leva sul criterio della mera localizzazione dell’opera, disciplini in maniera diversa, generando così confusione e disparità di trattamento tra gli addetti del settore, istituti di portata generale.
L’On. Zamberletti ritiene, tuttavia, che la sentenza della Corte, pur avendo il merito di contribuire a portare ordine nel settore, non possa ovviamente garantire da sola la certezza assoluta delle norme, per assicurare la quale sarebbe stato sufficiente il letterale recepimento delle direttive europee emanate in materia, mentre, oggi, si è in attesa addirittura di un terzo decreto correttivo del provvedimento del 2006. Il pedissequo recepimento della normativa europea potrebbe, invece, costituire la soluzione al problema dei contrasti che nascono tra lo Stato e le Regioni in ordine alle leggi nazionali appunto di recepimento che finiscono col fornire un appiglio al sistema legislativo regionale per cercare di trovare dei possibili spazi di intervento. L’impellenza di far fronte a questa situazione è tanto più evidente se si considera che, da sola, la giurisprudenza della Corte non vale a scongiurare il pericolo di aggiustamenti della normativa nazionale da parte di quella regionale: un caso emblematico è quello della Regione Calabria che ha recentemente creato un albo dei subappaltatori, ignorando di fatto il divieto della Consulta; la norma regionale non specifica tra l’altro se l’impresa non iscritta all’albo possa comunque ricevere subappalti nel rispetto del principio della concorrenza.
L’intervento introduttivo del convegno è stato affidato al Prof. Antonio Catricalà, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha espresso massima soddisfazione nei confronti di una sentenza, quale quella in argomento, che afferma un principio cardine in base al quale le Regioni non possono prevedere discipline difformi da quella prevista dal Codice degli appalti perché quest’ultima è legittimata da tre titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato che fanno riferimento alla tutela della concorrenza, all’ordinamento civile nonché alla giurisdizione e alle norme processuali. Sono state accolte, infatti, solo tre censure di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni relativamente a questioni di rilievo marginale. La sentenza inoltre, secondo il Prof. Catricalà, fa intravedere la possibilità di ulteriori interventi dello Stato nella materia del Codice che non potranno subire gli attacchi delle Regioni dinnanzi alla Corte Costituzionale.
La sent. 401/2007 si muove nell’alveo della tutela della concorrenza; un titolo di competenza, quest’ultimo, sul quale la Consulta si era già espressa in quattro precedenti significative sentenze (nn. 14/2004, 272/2004, 336/2005 e 29/2006) nelle quali aveva precisato che, in realtà, la tutela della concorrenza non individua una materia in senso tecnico ma piuttosto una “funzione trasversale” che non ha confini certi e che quindi può essere esercitata su più oggetti, con la conseguenza che lo Stato può intervenire anche su materie riservate alla competenza residuale e, dunque, esclusiva delle Regioni.
Ebbene, secondo il Presidente dell’AGCM, la sentenza sul Codice degli appalti va oltre a quanto precedentemente affermato dalla Corte perché fa rientrare nella nozione di tutela della concorrenza non solo gli interventi normativi volti a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali delle imprese (la disciplina antitrust in senso stretto) ma anche quelli volti alla liberalizzazione dei mercati (e non solo di quello degli appalti) attraverso l’eliminazione dei diritti speciali o esclusivi delle imprese che possono limitare, in violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., la libertà di competere per dare alle amministrazioni e, di conseguenza, ai cittadini quanto di meglio le imprese sono capaci di produrre e di offrire.
Il Prof. Catricalà ha posto l’attenzione, nel suo intervento, anche sugli appalti sotto soglia. Nella sent. 401, la Corte afferma la competenza esclusiva dello Stato anche sui contratti sotto soglia comunitaria laddove stabilisce che “la distinzione tra contratti sotto soglia e sopra soglia non può essere di per sé invocata quale utile criterio ai fini dell’individuazione dello stesso ambito materiale della tutela della concorrenza. Tale ambito ha, infatti, una portata che trascende ogni rigida e aprioristica applicazione di regole predeterminate dal solo riferimento come nella specie al valore economico dell’appalto. Anche un appalto che si pone al di sotto della rilevanza comunitaria può giustificare un intervento unitario da parte del legislatore statale”.
La pronuncia costituzionale sul Codice degli appalti rappresenta, dunque, per il Prof. Catricalà una “rivincita della concorrenza”, da un lato, sugli scetticismi di quanti ritengono che i privilegi riconosciuti alle imprese siano ineliminabili, per quanto ci si sforzi di superarli e, dall’altro, sulla c.d. direttiva servizi che ha escluso dall’ambito della concorrenza interi mercati di cruciale importanza per la vita economica, nonché su quei convincimenti che si stavano radicando anche nel nostro Paese a seguito di momenti in cui Paesi vicini al nostro hanno abiurato alla concorrenza o alla liberalizzazione (il riferimento è alla Francia e alla riformulazione della Costituzione europea in cui la concorrenza, che era uno degli obiettivi, è stata derubricata a strumento per raggiungere tali obiettivi).
Il convegno è proseguito con la relazione dell’Avv. Claudio Linda, Avvocato dello Stato, il quale ha espresso apprezzamento nei confronti della sentenza in questione soprattutto nella parte in cui questa afferma alcuni principi fondamentali: 1) che il fenomeno della concorrenza è un valore assoluto; 2) che la concorrenza rientra nella competenza esclusiva dello Stato; 3) che, trattandosi di competenza esclusiva, lo Stato può dettare anche una disciplina di dettaglio del settore in oggetto, nonché una normativa di livello regolamentare ex art. 117, c. 6, Cost., senza che sia richiesto alcun coinvolgimento delle Regioni.
L’Avv. Linda non ha, tuttavia, mancato di esprimere perplessità sul fatto che l’intervento della Consulta abbia davvero posto fine al contenzioso Stato-Regioni sulla materia, considerando che la sentenza lascia impregiudicate una serie di questioni, per un verso, dichiarandole inammissibili per genericità e, per altro, rinviando la loro risoluzione ad un momento successivo, quello in cui saranno le stesse Regioni ad impugnare (eventualmente) la normativa di attuazione delle singole disposizioni del Codice (ormai in dirittura d’arrivo) che incida sulle loro prerogative.
A detta dell’Avv. Linda, inoltre, le norme dichiarate incostituzionali dalla Corte non hanno – come sostenuto dal Prof. Catricalà – rilievo marginale ma sono comunque importanti, anche se ciò vale più per quanto hanno dietro che per quanto effettivamente dicono. A parte la censura relativa alle guarentigie di cui godono le Province autonome, la dichiarazione di incostituzionalità delle norme del Codice sulle funzioni, sulla composizione e sulla modalità di nomina dei membri della Commissione di verifica delle offerte anomale è interessante perché la Corte ha ritenuto che la disciplina di questi aspetti rientri nella competenza delle Regioni con riferimento alla materia dell’organizzazione amministrativa non considerando che la verifica delle offerte anomale è funzionale alla tutela della concorrenza. L’Avvocato dello Stato ha espresso dubbi anche sul punto in cui la Corte ha ricondotto alla materia di legislazione concorrente del governo del territorio e non alla materia ambientale che è, invece, di competenza esclusiva dello Stato, la norma del Codice la quale dispone che “al fine di accelerare la realizzazione di infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi, tese a migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente nelle città, l’approvazione dei progetti definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante urbanistica a tutti gli effetti”.
La seconda relazione del convegno è stata svolta dal Prof. Avv. Alfonso Celotto, Ordinario di diritto costituzionale presso l’Università Roma Tre, per il quale la sent. n. 401/2007 rappresenta una “spallata al regionalismo” perché, pur essendo stato attaccato l’intero impianto del Codice con la promozione di ben 74 censure, soltanto 3 questioni sono state accolte dalla Corte, anche se non si può ritenere che quest’ultima si sia espressa una volta per tutte perché la stessa sarà senz’altro adita ancora, sia pure in via incidentale.
Per il Prof. Celotto, la pronuncia in oggetto si fonda su quattro pilastri: 1) la riconducibilità della materia dei lavori pubblici alla competenza statale; 2) l’estensione da riconoscere alla tutela della concorrenza; 3) quanto possa rientrare nella materia dell’ordinamento civile; 4) la potestà regolamentare.
Tralasciando i punti 2) e 3), il Prof. Celotto ha fermato la sua attenzione sul primo e sul quarto punto. Con riferimento al primo punto, il Professore ha messo in evidenza come sia stato agevole per la Corte replicare alle Regioni, che avevano contestato che i lavori pubblici dovessero rientrare nella competenza esclusiva delle Regioni ex art. 117, c. 4, Cost. non figurando tra le materie di competenza esclusiva dello Stato menzionate nell’art. 117, c. 2, Cost., mediante l’affermazione – in linea con i suoi precedenti – in base alla quale le disposizioni del Codice, per la molteplicità degli interessi perseguiti e degli oggetti implicati, non sono riferibili ad un unico ambito materiale.
La Corte ha altresì superato la censura mossa, in via subordinata, dalle Regioni le quali sostenevano che, anche ammessa la riconduzione delle disposizioni del Codice alla competenza esclusiva dello Stato essendo in gioco una materia di natura trasversale, comunque avrebbe dovuto riconoscersi un ruolo alle Regioni in nome della leale collaborazione; principio, questo, che le Regioni ritenevano violato, considerando in particolare che il parere della Conferenza unificata era stato richiesto e reso solo sul primo schema del Codice dei contratti che rappresentava una versione molto differente da quella che è poi stata approvata in via definitiva al secondo passaggio del testo in Consiglio dei Ministri. La Consulta ha dato sul punto torto alle Regioni svuotando di fatto il ruolo del sistema delle Conferenze laddove afferma che “…non è necessario che il testo modificato torni nuovamente alla Conferenza per un ulteriore parere, anche perché altrimenti si innescherebbe un complesso e non definibile meccanismo di continui passaggi dall’uno all’altro dei soggetti coinvolti”. In pratica, il parere della Conferenza unificata non è più né forte né debole ma debolissimo perché è soltanto un parere consultivo che non ha nessun valore.
Tutta un’altra serie di questioni sollevate dalle Regioni avverso il d.lgs. n. 163/2006 verte sulla titolarità della potestà regolamentare che dalla Corte viene ricondotta, ai sensi dell’art. 117, c. 6, Cost., in capo allo Stato avendo quest’ultimo competenza esclusiva in materia di lavori pubblici con riferimento alla tutela della concorrenza, con l’unica riserva a favore delle Province autonome in ragione della loro autonomia statutaria nel settore disciplinato dal Codice.
Il Prof. Celotto ha fatto, infine, una serie di considerazioni di sistema sulla sentenza che, a suo parere, rappresenta una conferma di come l’esperienza del Titolo V della Costituzione non abbia funzionato non solo perché quella del 2001 è stata una riforma incompleta ma anche perché nella sua attuazione ha avuto difficoltà notevoli dal momento che l’elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato è risultata lacunosa, con il conseguente sforzo richiesto alla Corte Costituzionale di colmare i vuoti lasciati dal legislatore. A tal proposito, il Prof. Celotto ha rilevato l’importante assenza nel nostro ordinamento del Senato federale come camera di compensazione degli interessi dello Stato e delle Regioni; istituzione, questa, che tra l’altro dovrebbe essere nominata dalle Regioni e non invece eletta dal popolo laddove il progetto di riforma costituzionale bocciato dal referendum nella scorsa legislatura prevedeva un Senato federale ibrido, perché in parte eletto e in parte nominato.
Per il Pres. dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, cui è stata affidata la relazione di sintesi del convegno, la sentenza in parola ha operato la “costituzionalizzazione” del riparto delle competenze legislative e regolamentari denifito dal Codice nell’art. 4, che fu scritto dal Consiglio di Stato nel suo secondo parere reso sul testo del provvedimento, e, anche se non in toto, nell’art. 5.
Per il Pres. Giampaolino, la pronuncia della Corte ha, infine, il merito di aver riportato la materia dei lavori e dei contratti pubblici al mercato, determinando così la fuoriuscita di tale settore dal dominio riservato al pubblico, il quale dovrebbe, dunque, limitarsi a dettare solo delle regole generali e a controllare che il sistema del mercato funzioni correttamente.

Maria Elisabetta Fazio