Tar Lombardia, Sez. Brescia, 27 dicembre 2007, n. 1373, sulla distinzione tra “servizi strumentali” e “servizi pubblici” e sull’interpretazione dell’art. 13, co. 1, del d.l. 223/06 alla luce del diritto comunitario e costituzionale.

27.12.2007

Deve ritenersi in contrasto con l’articolo 13, comma 1, del d.l. 223/2006, la partecipazione di una «società a capitale interamente pubblico o misto, costituita o partecipata dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività», ad una gara per l’affidamento del servizio di gestione integrata ed ottimizzazione del sistema energetico indetta da un Comune che non figura tra gli azionisti di tale società.
Ad avviso dei Giudici, infatti, il comma 1 dell’articolo 13 del d.l. 223/2006 contempla «pacificamente un divieto, ossia quello che determinate società non possano svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, rispetto gli enti costituenti o partecipanti alle stesse».
Nel caso di specie, inoltre, non può trovare applicazione neanche la previsione che esclude «i servizi pubblici locali» dal divieto delineato in via generale dell’articolo 13, comma 1, del d.l. 223/2006.
In riferimento a tale profilo, la pronuncia rileva come vi siano due possibili interpretazioni dell’esclusione prevista per i «servizi pubblici locali» dal divieto delineato dall’articolo 13, comma 1. Secondo una prima interpretazione, che attribuisce rilievo al profilo soggettivo delle società affidatarie, dovrebbero ritenersi escluse dal divieto solo le «società costituite esclusivamente per la gestione dei servizi pubblici locali, che potrebbero quindi partecipare ad ogni sorta di affidamento extra moenia (sia che abbia ad oggetto un vero e proprio servizio pubblico ovvero un c.d. servizio strumentale). Secondo un’altra interpretazione, invece, il divieto di cui all’articolo 13, comma 1, opererebbe «anche nei confronti dell’oggetto della gara» attribuendo rilevanza al fatto se questo «riguarda la produzione di beni e servizi strumentali all’attività della stazione appaltante» – da ritenersi incluso nel divieto –, oppure l’affidamento di «servizi pubblici locali» da ritenersi, invece, al di fuori del divieto.
In tale linea di ragionamento, i Giudici affermano come nel caso di specie è dato comunque riscontrare l’esistenza di un motivo preclusivo della possibilità di partecipazione alla gara sulla base dell’articolo 13 del d.l. 223/2006, «relativamente all’oggetto» della stessa che riguardava la produzione di beni e servizi strumentali all’attività della stazione appaltante.
Sul punto, viene rilevato come la distinzione tra «servizio strumentale» e «servizio pubblico» vada ricercata nel beneficiario diretto dello stesso.
Più nel dettaglio, nella pronuncia si osserva come ricorre «l’ipotesi del servizio pubblico se la prestazione resa dall’appaltatore viene fornita per soddisfare in via immediata le esigenze della collettività o del singolo utente», mentre costituisce «mero servizio strumentale quello le cui prestazioni vengono effettuate direttamente a favore della stazione appaltante».
In un caso come quello controverso, dunque, deve rilevarsi come non vi sia dubbio che il servizio di “pubblica illuminazione” debba essere considerato servizio pubblico, poiché dell’erogazione dello stesso, da parte dell’appaltatore, beneficia direttamente ed esclusivamente la collettività (o il singolo utente) senza alcuna intermediazione del Comune nello svolgimento del processo produttivo», mentre il cd. “servizio energia” – comprendente la fornitura di combustibile, la conduzione, gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti di riscaldamento e condizionamento nonché l’esecuzione di interventi di adeguamento alle normative vigenti e di riqualificazione tecnologica degli impianti di riscaldamento e condizionamento – non possa essere qualificato tale.
La gestione calore non viene, infatti, resa direttamente alla collettività, ma viene fornita alle strutture gestite dall’ente (palazzo comunale, scuole e palestre) ovvero a strutture gestite da altri soggetti rispetto al fornitore del servizio energia (residenza sanitaria assistita, ufficio postale e distaccamento di protezione civile). Si tratta, in sostanza, di un servizio di supporto (o strumentale) ad una diversa attività principale.
Il cittadino (uti singuli) ovvero la collettività, non beneficiano del “calore” esclusivamente in quanto tale, ma perché contemporanei fruitori di altri servizi (principali) di cui chiedono l’erogazione all’ente competente (quali l’attività amministrativa del comune, la pubblica istruzione, lo sport, il servizio assistenziale, il servizio postale e il servizio di protezione civile).
In riferimento all’asserito contrasto dell’articolo 13 del d.l. 223/06 con la normativa comunitaria (in particolare con le Direttive 17 e 18/2004) nella pronuncia si afferma che l’art. 13 trova fondamento nel fatto che «l’Unione Europea ha reiteratamente previsto la necessità che gli Stati membri provvedano alla regolamentazione dell’accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi di proprietà o partecipati da enti pubblici, evitando distorsioni della concorrenza nei confronti dei soggetti privati (quarto considerando della Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e di servizi)».
In tale linea di ragionamento deve rilevarsi come «la finalità della norma è pertanto quella di limitare il vantaggio competitivo nella quale si trovano dette società con accesso privilegiato al mercato della pubblica amministrazione a scapito di altri operatori privati».
Infine, con riferimento ai lamentati profili di incostituzionalità dell’articolo 13 per contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, i Giudici affermano che «è la stessa Costituzione, all’art. 41, che pone limitazioni all’iniziativa economica privata sul libero mercato, sia per tutelare interessi generali di rilievo pubblicistico, sia per garantire esigenze della concorrenza in conformità ai principi comunitari costantemente affermati dalla Corte di Giustizia (cfr. Corte Cost., sentenza 26/01/2004 n. 36; sentenza 16/01/2004 n. 17)».
In tale prospettiva, dunque, l’art. 13 del d.l. 223/06, «lungi dal violare l’art. 41 Cost., ne costituisce invece immediata applicazione mirando dichiaratamente a preservare il mercato da alterazioni e fenomeni distorsivi delle regole della concorrenza».
Relativamente all’art. 3 della Costituzione, va poi osservato come «l’intento dichiarato del Decreto ha come finalità precipua quella di tutela dell’interesse pubblico generale con l’introduzione di un livello ulteriore di concorrenza e di libertà nel mercato al fine di permettere agli operatori di poter agire in posizione di uguaglianza, evitando che alcune imprese possano avvantaggiarsi, nel confronto concorrenziale, della struttura della propria compagine societaria per la presenza di un socio pubblico».
a cura di Luigi Alla


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