Deve ritenersi ammissibile che un’Amministrazione possa decidere di sottrarre al mercato attività in relazione alle quali essa ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazione.
La scelta di optare tra outsourcing e in house providing non è sindacabile alla stregua del diritto comunitario. La creazione di un mercato comune e l’applicazione delle regole di tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano, infatti, il limite del potere di organizzazione della Pubblica Amministrazione riconosciuta agli Stati membri dalle Istituzioni comunitarie.
Tale limite non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche tutelate dal mercato comune, ma è definizione di ciò che non è mercato.
La disciplina della concorrenza per l’aggiudicazione degli appalti e delle concessioni presuppone, infatti, un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dell’Amministrazione di rivolgersi ad esso non può essere coartata per realizzare l’apertura al mercato di taluni settori di attività in cui l’Amministrazione Pubblica voglia, invece, ricorrere all’autoproduzione.
Un’autorità pubblica che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi.
In tal caso non si può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice e non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici (così Corte Giust. C.E. 11/1/2005 in causa C-26/03, Stadt Halle).
Ai fini del legittimo ricorso all’affidamento in house è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti sul soggetto affidatario un «controllo analogo» a quello che essa detiene sui propri uffici e che il soggetto affidatario svolga «in via prevalente» la propria attività per l’ente di appartenenza.
In riferimento al concetto di «controllo analogo» deve rilevarsi come secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario ma non sufficiente ad integrarne la nozione, la quale si sostanzia in «un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario (così Cons. Stato, VI Sez., 25/1/2005 n°168, si veda anche Cons. Stato, V Sez., 3/4/2007 n°1514; Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98; 6/4/2006 in causa C-410/04; 11/5/2006, in causa C-340/04).
In argomento, deve rilevarsi, da un lato, come la Corte di Giustizia nella pronuncia da ultimo richiamata abbia precisato che il «controllo analogo» è configurabile allorché l’ente pubblico detentore del capitale, abbia la possibilità di esercitare un’«influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società», mentre, dall’altro, il Consiglio di Stato abbia affermato che, ai fini in questione, «le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante» (così Cons. Stato, V Sez., 8/1/2007 n°5).
Tali requisiti devono ritenersi soddisfatti in un caso come quello di specie nel quale lo statuto di una società a responsabilità limitata, il cui capitale è interamente detenuto dall’Ente locale affidante, prevede che:
– il Comune è tenuto a costituire un apposito Comitato di Controllo sulla gestione della società “composto da cinque membri, presieduto dal Sindaco o dall’organo da questi delegato, dal direttore generale del comune se nominato o dal segretario comunale, dal dirigente del settore finanziario del comune ovvero dal dirigente del settore competente in relazione alla materia oggetto della decisione, indicato per ciascun caso in via discrezionale dal Sindaco, e da due consiglieri comunali individuati dal consiglio stesso in unica votazione. Ciascun consigliere comunale potrà esprimere una sola preferenza. Il Comitato assume le proprie decisioni in base a regolamento interno adottato dalla Giunta comunale ed è operativo fin dalla data di approvazione del presente statuto con la presenza dei tre membri di diritto” (art 25, co. 2 Statuto);
– per garantire un efficace controllo sulla gestione da parte del socio unico, “in caso di atti di straordinaria amministrazione, almeno sette giorni lavorativi prima della seduta del C.d.A. convocata per decidere in ordine a tali atti, il Presidente, o suo delegato, dovrà redigere apposito documento scritto dal quale dovrà risultare con chiarezza l’argomento oggetto di decisione e l’eventuale parere del Collegio Sindacale, se nominato” (art 20, co 2 Statuto);
– tale documento, accompagnato da una relazione illustrativa, “dovrà essere inviato, contestualmente, al Comitato di controllo sulla gestione costituito dal socio unico, il quale, entro i successivi tre giorni, potrà esprimere il potere di veto spettante al socio o avocare all’assemblea dei soci la decisone. Il Consiglio di Amministrazione potrà esprimersi su tali atti solo a seguito di assenso scritto da parte del Comitato o in caso di mancato esercizio del potere di veto nel termine previsto” (art 20, co 3 Statuto);
Deve ritenersi manifestatamene infondata la questione di costituzionalità sollevata in riferimento all’asserito contrasto tra l’articolo 113, comma 5, lett. c) del d.lgs 267/2000 e l’articolo 118, comma 4 della Costituzione.
La nozione di sussidiarietà orizzontale è suscettibile di assumere due distinte significazioni: una negativa, che si sostanzia nel dovere di astensione dei pubblici poteri laddove le forze individuali e della società siano in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente ed una positiva che implica l’affermazione di un dovere di intervento dei pubblici poteri ove gli individui e le forze sociali non abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie necessità. Mentre nel primo senso il principio opera come criterio di delimitazione di competenza dei soggetti pubblici a vantaggio di quelli privati, nella seconda accezione implica un’azione della Pubblica Amministrazione preordinata al sostegno e allo sviluppo delle attitudini degli individui, singoli o associati; comporta, quindi, un’attribuzione di competenza e, ad un tempo, ne definisce le modalità di esercizio.
Ad avviso dei Giudici, l’art. 118, comma 4, Costituzione – così come avviene nelle norme di legge ordinaria in cui il principio di sussidiarietà orizzontale trova applicazione (a titolo esemplificativo, artt. 4 della L. 15/3/1997 n°59, 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n°267 e L. 8/11/2000 n°328) – «valorizza soltanto il profilo positivo del detto principio, ossia quello che afferma la necessità di un intervento della Pubblica Amministrazione a sostegno e promozione dell’attività dei privati».
La disposizione costituzionale si limita, infatti, a prevedere la necessità che i soggetti pubblici ivi contemplati, favoriscano l’autonoma iniziativa dei privati, senza, peraltro, contenere ulteriori indicazioni ermeneutiche che consentano di ritenere sottratto ai primi il potere di intervento nell’area delle “attività di interesse generale”.
A ciascun ente pubblico, nell’ambito delle proprie attribuzioni, deve riconoscersi la potestà di valutare quali siano le modalità più consone al soddisfacimento degli interessi pubblici coinvolti nelle attività cui la norma costituzionale fa riferimento.
Del resto, osservano conclusivamente i Giudici, «il principio di sussidiarietà orizzontale non può essere letto ed applicato che in coerenza con l’ordinamento giuridico-costituzionale inteso nella sua complessità: in particolare, esso non può essere disgiunto dagli altri principi costituzionali che regolano l’attività della pubblica amministrazione, ed in particolare dal principio di “buon andamento” previsto dall’art. 97 Costituzione».