Dirigenza pubblica – passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione – non “conservabilità” della retribuzione di posizione – parte variabile.

11.12.2007

Con l’art. 202 del T.U. n. 3/57, che prevede che “nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per le progressioni di carriera anche se semplicemente economica”, il legislatore ha intenso evitare che possibili peggioramenti del trattamento economico possano costituire, per il dipendente pubblico, un disincentivo alla mobilità nel corso della propria vita lavorativa.
La posizione economica del dipendente pubblico è tutelata attraverso l’attribuzione di un assegno personale pensionabile, il cui valore è pari alla differenza tra lo stipendio o retribuzione in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione (art. 3, comma 57, l. n. 537/93); si prevede inoltre che l’assegno in questione non sia cumulabile con indennità fisse e continuative, anche se non pensionabili, spettanti nella nuova posizione, salvo che per l’eventuale eccedenza (art. 3, comma 58, l. n. 537/93).
Al fine di determinare il valore dell’assegno personale vanno presi in considerazione solo gli elementi della retribuzione che abbiano carattere “fisso e continuativo”, cioè che siano “corrisposti in misura fissa (o automaticamente variabile) ed in modo continuativo, con cadenza periodica costante”. A supporto della lettura suesposta il Consiglio di Stato richiama l’intervenuto art. 1, comma 226, l. n. 266/05 (finanziaria 2006), che prevede che “l’art. 3, comma 57, l. n. 537/93 vada interpretato nel senso che alla determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorra il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi”.
La parte variabile della retribuzione di posizione del dirigente di prima fascia, (diversamente dalla parte fissa della retribuzione di posizione), non riceve una precisa quantificazione in sede di contrattazione collettiva nazionale, ma la sua determinazione è rimessa alla contrattazione individuale con l’amministrazione con riferimento agli obiettivi affidati al singolo dirigente. Tale voce della retribuzione si caratterizza sia per un grado di variabilità in relazione all’autonomia negoziale delle parti, che per l’assenza del carattere della continuità, in quanto non è in grado di modificare in modo durevole il valore del trattamento economico.
La parte variabile della retribuzione di posizione del dirigente di prima fascia con funzioni di direttore generale, non rivestendo il carattere della continuità e della fissità, nel pieno rispetto del divieto di riforma peggiorativa del trattamento economico, non è “conservabile” da parte del dipendente che transiti da un’amministrazione ad un’altra.

http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/CDS_200600014_PS.htm

a cura di Daniela Bolognino