Poteri pubblici e laicità delle istituzioni. Sessant’anni di esperienza costituzionale – Resoconto convegno

06.12.2007

Convegno organizzato dagli allievi del prof.Sergio Lariccia 
Roma, 7 novembre 2007

Università “La Sapienza”

Pietro Bellini, nel presiedere la sessione mattutina, si dichiara lieto di rendere onore a Sergio Lariccia per le battaglie combattute assieme a tutela della libertà di tutti, con lealtà e spirito di abnegazione. Sottolinea come gli uomini dotati di ingegno abbiano il dovere di spendere il proprio talento per non tradire la loro missione.La prima relazione è di Stefano Rodotà, dedicata al rapporto tra laicità e democrazia. Questi esordisce col rievocare le svariate avventure in cui si è ritrovato, sin dagli anni più lontani, a condividere con Lariccia la difesa dei fondamentali principi della convivenza democratica. Richiama la frase che Jemolo aggiunse all’edizione del 1963 del suo libro sui rapporti fra Stato e Chiesa (“nel fresco cielo di giugno ti ergi chiara davanti agli occhi cupola di S.Pietro” ) e lo scoramento con cui registrava che la relazione fra lo Stato e la Chiesa non si era inverata come egli avrebbe auspicato: non si era cioè concretizzata una struttura statuale autenticamente laica in cui i credenti fossero animati da un alto afflato morale che li spingesse ad attuare come veri pastori cristiani, per una proficua convivenza civile e democratica. Avverte quindi di non potersi soffermare sulle valutazioni di Zagrebelsky sulla religione come dogma inconciliabile con la democrazia come confronto di opinioni e ricorda la recente proclamazione del Cardinal Ruini di considerarsi un animale politico, in linea con il riposizionamento della Chiesa evidenziato da Leopoldo Elia nell’ultimo convegno dei costituzionalisti. La Chiesa vuole affermarsi come soggetto politico ma non accetta le regole del gioco democratico, supportata da personalità come quelle degli ex-comunisti che, dopo il fallimento storico della loro ideologia, considerano il sacro come l’unico orizzonte di senso. Il punto cruciale è la spettanza della sovranità. Nel mancato riconoscimento delle radici cristiane nel progetto di costituzione europea, il ruolo decisivo è stato svolto dalla Francia, dato che l’art.2 della costituzione del 1958 recita che la Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Dunque il conflitto si appunta ormai sui fondamenti costituzionali della convivenza democratica. Emblematica è la mozione proposta al Senato dai senn. Cossiga e Schifani, in cui si esprime la più viva preoccupazione per la sentenza Englaro, considerata una invasione da parte del potere giudiziario delle attribuzioni proprie del legislativo. In realtà la Cassazione, come già il tribunale di Roma e quello di Cagliari, hanno seguito le indicazioni della migliore dottrina costituzionalistica, che già da tempo suggerisce di decidere attuando direttamente i principi costituzionali. Certo, non bisogna sostituire alla tavola dei valori costituzionali quelli desumibili dai documenti del Magistero, richiamandosi alle Encicliche piuttosto che alla Costituzione, come ormai sono soliti fare molti leaders politici. Ricorda che i principi supremi sono sottratti alla stessa volontà dei consociati a meno di assumersi il richio di sconfinare in un mutamento di regime. Il Papa ha recentemente invitato i farmacisti all’obiezione di coscienza riguardo ai cosiddetti farmaci immorali. E’ inquietante una tale ingerenza sull’espletamento di un servizio pubblico afferente al diritto di autodeterminazione delle persone. Al contrario la ben nota sentenza costituzionale n. 203 del 1989 sembrava voler valorizzare il pluralismo culturale e religioso in un clima di reciproco rispetto. L’interventismo politico della Chiesa collude ora con motivazioni identitarie, che si sposano felicemente con i valori non negoziabili della morale cattolica, e non con la spassionata ricerca di un diritto naturale. Evidenziato l’uso strumentale della religiosità cattolica per acquisire consenso elettorale, ritiene che sia innegabile il tentativo da parte della Chiesa di impadronirsi della vita delle persone. Miriam Mafai ha giustamente sottolineato l’incongruenza del Pontefice che, da un lato, auspica la stabilizzazione del precariato e, dall’altro, espropria la persona del diritto di autodeterminazione. L’art. 32 Cost. impedisce che si violino i limiti imposti dal rispetto della persona umana. La nozione di dignità della persona è sparsa a piene mani, a volte ambiguamente, nel testo costituzionale: l’articolo più significativo è il 36 che la ricollega ad un’esistenza libera. La libertà esige spazi istituzionalmente deputati al confronto e al dialogo permanenti. La scuola pubblica è essenziale per la reciproca conoscenza al fine di evitare la chiusura in una miriade di ghetti culturali. Uno spazio pubblico di ascolto quotidiano del diverso, ad accesso universale, è basilare per la vitalità democratica. Un argomento suggestivo usato in occasione del referendum sulla legge n. 40 del 2004 per incitare all’astensione fu quello dell’eccessiva complessità tecnica della materia da regolare. E’ deleterio per la democrazia espropriare i cittadini con il pretesto dell’incomprensibilità dei temi in discussione. Così si finisce per affidare le decisioni a chi non ha una sufficiente legittimazione democratica. In questo senso il comitato di bioetica resta una piaga aperta.Bellini, nel commentare l’intervento di Rodotà, rileva che la fortuna politica della Chiesa è dovuta alla scomparsa del partito cattolico. Ma non si può neppure impedire alla Chiesa di essere se stessa, strenua sostenitrice dei valori su cui si fonda. Semmai sono i parlamentari a tradire il loro dovere di rappresentare l’intera Nazione. Insomma, non è deprecabile la sovrabbondanza di Ruini, ma quella dei parlamentari che ne accolgono le direttive impedendo così che nella legislazione si sancisca la libertà di coscienza di ogni singolo cittadino. Condivide la configurazione della scuola pubblica come imprescindibile luogo del pluralismo dialettico.Luciano Guerzoni affronta il rapporto tra società civile e Stato. Ricorda il lavoro che egli stesso fece sulla laicità nel ’67 e che, contariamente alle intenzioni di allora, non ebbe un seguito. Rievoca quindi Nicolò Lipari, nella sua asserzione che il diritto rappresenta uno dei più forti fattori di condizionamento sociale ma a sua volta subisce l’influenza dell’evoluzione dei costumi. Enzo Bianchi nel suo libro “La differenza cristiana” scrive che lo Stato è laico ma la società civile non lo è. Questa proposizione suggerisce tre piani interpretativi: il primo meramente descrittivo; il secondo, ottativo, di auspicio che si vigili, da parte dei pubblici poteri, sulla pacifica convivenza delle multiformi attitudini etiche; e il terzo normativo. Quest’ultimo impone di salvaguardare la laicità come valore basilare del costituzionalismo liberal-democratico. L’agnosticismo della sfera pubblica deve conservarsi come attributo indefettibile del politico e della statualità. Sorge l’interrogativo se questo paradigma sia adeguato agli attuali problemi della forma di Stato rispetto all’ideal-tipo che aveva tentato di configurare la sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale. Già nella successiva sentenza n. 13 del 1991 si nota un evidente slittamento semantico con inedite e suggestive ridefinizioni del termine laicità. Da un’accezione positiva ed accogliente se ne propone una negativa e polemica. Questa ambiguità può imputarsi al lento ma progressivo mutamento del ruolo dello Stato che nella sua attuale forma democratico-sociale pervade il tessuto civile in una logica di servizio che parrebbe la trasposizione dei compiti paternalistici delle istituzioni religiose nei pubblici apparati. Infatti, secondo Augusto Barbera, quello di laicità non sarebbe un autonomo principio ma solo un corollario del costituzionalismo. Risulta però impossibile che una sfera pubblica che abbia preso in carico la persona nella sua globalità resti neutrale in rapporto alle opzioni valoriali insite in ogni umana esistenza. L’inevitabile pluralismo culturale e religioso che innerva la società civile offre all’individuo molteplici possibilità di appartenenza ed identità, come evidenziato da Amartya Sen. E’ necessario che il pubblico sappia organizzare questa incandescente situazione sociale senza discriminazioni, garantendo l’uguale libertà e impedendo che un solo soggetto, la Chiesa, eserciti un potere di veto sull’agenda politica nazionale. Bellini, riprendendo l’affermazione di Enzo Bianchi prima riportata, ribadisce come sia doveroso che lo Stato rimanga laico benché la società civile non lo sia e, proprio coerentemente con la sua natura, non sia certo tenuta ad esserlo. Lo Stato deve conservarsi eticamente neutrale affinché ciascuno possa fare delle leggi l’uso più congruente con la propria dimensione morale. Ad esempio, la monaca di clausura è assolutamente libera di rinunciare ai propri diritti fondamentali.Interviene quindi Francesco Pizzetti, presidente della Commissione interministeriale per le intese con le Confessioni religiose, ribellandosi all’idea che la società e lo Stato possano considerarsi distinti, dato che i protagonisti di entrambe le istanze sono i medesimi. Si tratterebbe di una visione hegeliana che non ha portato molta fortuna alla storia dell’Europa, causa della paura nei confronti del potere e della pretesa al diritto di resistenza di fronte ad atti iniqui. Critica la richiesta di uniforme trattamento dei vari fenomeni religiosi, parametrati tutti su quello cattolico che offre però schemi inappropriati: porta ad esempio i maestri d’armi buddisti che si sono dovuti equiparare ai ministri di culto. Proprio per elaborare una disciplina più adeguata il presidente del consiglio Prodi ha istituito la commissione per la libertà religiosa.Bellini riprende la parola rimarcando che, ormai, dobbiamo lasciar stare Hegel ma salvaguardare sempre la distinzione dello Stato dalla società civile, premessa indispensabile per la protezione della libertà di ogni singolo. Il potere non deve appartenere ad altri che non sia lo Stato. Il tema affidato ad Augusto Cerri è “Le pubbliche amministrazioni”. Esordisce congratulandosi con la vasta competenza interdisciplinare di Lariccia, unita ad un’ immancabile accuratezza filologica. Il diritto è opera collettiva, nasce dal pensiero di molte persone, attraverso un’operazione storica complessiva e comune: dunque occorre permanentemente uno spazio ampio di confrontabilità, un’apertura senza protezioni arbitrarie. La struttura interattiva del diritto si esalta nel diritto amministrativo, rispetto al quale Lariccia ha sempre avuto una pregevolissima e non comune conoscenza storica ed un’acuta attenzione alla realtà dei problemi, senza mai lasciarsi incantare da sterili nominalismi. L’elemento differenziale del servizio pubblico rispetto al mercato è l’obbligo di risultato senza il quale anche attività d’interesse generale restano ascrivibili al mercato, sia pur regolamentato. Dunque la valutazione dei risultati, il controllo di gestione dovrebbero essere maggiormente valorizzati nel valutare la carriera dei funzionari. Concorda con quanto sostenuto da Calamandrei in Assemblea Costituente a favore dell’unicità di giurisdizione.Nicola Colaianni parla dei giudici proprio in virtù della sua esperienza trentennale come magistrato. Elogia il risalente interesse di Lariccia per la nota a sentenza, genere ormai negletto dai giovani studiosi, ma indispensabile all’accademia per contrastare il potere giudiziario. Ricorda una sentenza della corte d’appello di Genova, agli inizi degli anni ’60, poi confermata dalla Cassazione, annotata da Lariccia su Giurisprudenza Italiana, in cui si giudicava di un’ingiuria verso gli ebrei ritenuti, in quanto deicidi, carenti di ogni moralità. Il codice penale non offriva una norma adeguata di tutela in quanto l’unica esistente riguardava solo il vilipendio alla religione dello Stato (art. 402). Tale disposizione fu criticata da Lariccia per violazione del principio di uguaglianza. Considera che la pronuncia più significativa della Corte Costituzionale non sia la n. 203 del 1989, ma la n. 334 del 1996, in cui si enunciano due divieti correlati: quello allo Stato di usare l’autorità religiosa per sanzionare i propri precetti e il reciproco. Occorre con rigore distinguere i due ordini con i relativi sistemi normativi. Eppure negli anni ’50 nessun incidente di costituzionalità riuscì a scalfire la tutela privilegiata della Chiesa. Comici appaiono adesso i casi del contadino che rifiutava che il parroco benedicesse la sua mandria e della pubblicazione del testamento di Garibaldi. Negli anni ’90 la Corte finalmente annullò la discriminazione, in un crescendo rossiniano in gran parte riconducibile all’opera di Zagrebelsky. Certo il cambiamento si deve alla trasformazione dei costumi visto che, come dice Jemolo, la Corte si spinge fin dove la società civile glielo consente. Infatti negli anni ’70 la Corte non ha mai affrontato le antinomie scaturenti dal sistema concordatario, tra cui, la più aberrante, quella del matrimonio, denunciata nel 1976 anche dalle sezioni unite della Cassazione. Tant’è che il principio di uguaglianza non è mai stato annoverato tra quelli supremi. Spesso da parte della Corte costituzionale si è preferito non entrare nel merito, come accadde ad opera di Elia per il sistema matrimoniale concordatario che, pur nella sua peculiarità, fu considerato costituzionalmente coperto ex art.7, 1 comma, essendo previsto dall’art. 34 del Concordato. Riguardo alla questione dei simboli religiosi, i consiglieri di Stato vengono definiti una sorta di consulenti del Governo che entrano ed escono dalle stanze del potere. Già i referendari del Tar Veneto sono ritenuti più sobri. Si è trattato, nella nota pronuncia della sesta sezione, della più sprovvedutamente autorevole celebrazione del paradosso che, fra l’altro, ha trascurato una encomiabile sentenza della Cassazione del 2000 sulla salvaguardia degli spazi pubblici come luoghi neutrali. Un magistrato, alcuni mesi addietro, si è rifiutato di tenere udienza in un’aula in cui era appeso il crocifisso. Il CSM, chiamato a pronunciarsi in sede disciplinare, ha statuito che nel bilanciamento degli interessi primaria è l’esigenza di giustizia. La sentenza Englaro si inserisce nel solco della valorizzazione del principio personalistico in caso si debbano ponderare interessi tutti costituzionalmente rilevanti. Bellini conclude la sessione mattutina evidenziando come l’idea di laicità abbia di gran lunga preceduto l’uso del termine nel dibattito pubblico. La sessione pomeridiana è presieduta da Mario Tedeschi, il quale esordisce ricordando che Lariccia ha dedicato il suo manuale del 1986 a Mario Condorelli, personalità altrettanto trasparente nella dottrina ecclesiasticista, a volte lacerata da scoraggianti divisioni ed asservita ad idee precostituite. La ventata di freschezza portata da Lariccia in un ambiente scientifico “imbalsamato” potrebbe essere dipesa dal fatto che avesse deciso di dedicarsi esclusivamente all’insegnamento. Pasquale Colella si occupa delle garanzie del pluralismo. Inizia col ricordare l’amicizia con Lariccia, derivante da convergenze di ideali e di scelte, e la sua dirittura morale. Cita quindi la voce “Pluralismo” di Bobbio, contenuta nel dizionario di politica di Bobbio stesso, leggendone alcuni passi. Richiama Pietro Rescigno, sottolineando come nel suo “Persona e comunità” sia stato il primo civilista ad occuparsi dei corpi intermedi suscitando a quei tempi lo sconcerto di Carnelutti. La Costituzione italiana, prodotto spirituale di insuperate personalità intellettuali e morali come Mortati, Dossetti, La Pira e Moro, Lelio Basso, già conteneva il germe dello Stato laico e pluralista nell’art. 2, da cui emerge che nella vita sociale nessuno può considerarsi depositario della verità. Sono leciti solo il confronto e la discussione nel reciproco rispetto dal momento che i valori non possono essere visti come un metro per considerare gli eventi dall’esterno ma vanno rinvenuti dentro gli eventi stessi, come insegna Pietro Scoppola. Nobilissimi furono i compromessi raggiunti all’epoca della Costituente. Mai il popolo italiano fu così buono, disponibile e attento. La Carta costituzionale è stata giustamente difesa contro chi l’anno scorso ha proposto un progetto di riforma indegno ed ignobile. Dossetti morente si preoccupò di indirizzare una supplica a D’Alema, in procinto di partire per la Palestina, affinché non modificasse la Costituzione. Purtroppo D’Alema non rispettò quell’accorata preghiera in quel suo aborto di progetto che ha avuto di peggio solo il disegno Berlusconi.Ribadisce quindi che il pluralismo deve restare il fulcro del sistema democratico: le formazioni sociali sono lo strumento di integrazione della personalità umana. Ricorda il contributo di Lariccia sull’Enciclopedia del Diritto, nel quale sostiene che, se lo Stato e la Chiesa fossero consequenziali con le loro asserzioni, dovrebbero ripudiare l’art.7, primo comma, Cost. Molte battaglie sono state perse ma la guerra è ancora aperta. La legislazione pattizia ha prevalso su forme di separatismo agnostico che sarebbero state la soluzione più coerente. L’incoffessabile e degenerato pluralismo attuatosi nei fatti è stato solo quello della lottizzazione del potere politico.Le concezioni canonistiche sono state acriticamente recepite per scopi non certo congruenti col loro fondamento teologico. Ne è scaturita un’ambiguità di formule che ha riversato nel tessuto ordinamentale un’indeterminatezza irriducibile. Ne deriva una conflittualità strisciante foriera di soluzioni compromissorie caso per caso che a loro volta rinfocolano i contrasti creando nuove forme di anticlericalismo. Carlo Esposito nel 1973, negli studi in onore di Jemolo, asserì che sarebbe stato contraddittorio consentire il permanere in vigore dei Patti Lateranensi. La fede autentica non s’impone. Cita il numero 76 della costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, nella parte in cui la Chiesa si dichiara pronta a rinunciare a qualsiasi privilegio se questo si riveli nocivo alla trasparenza della sua testimonianza evangelica. Deplora come tale norma sia disapplicata dallo stesso Pontefice. Conclude con un commosso ricordo di Dossetti, cattolico integerrimo e uomo aperto, che ha sempre saputo anteporre l’interesse generale al suo particolare e ha sempre pagato di persona la fedeltà ai suoi valori. L’irripetibile onestà intellettuale dei cattolici che parteciparono alla Costituente è emblematizzata dall’atteggiamento di La Pira. Di fronte all’obiezione di Calamandrei, il quale sosteneva che sarebbe stato offensivo per il Dio dei credenti essere menzionato nella Costituzione grazie all’apporto di una manciata di voti di differenza, La Pira ritirò la sua proposta. Tedeschi commenta come la tensione civile di Colella lo porti a lottare contro i progetti di revisione costituzionale. E’ d’accordo nel ritenere che la nostra Costituzione non meriti una fine così penosa. Ammette che il Concordato limiti il pluralismo. Del resto un interesse di tal genere non rientrava certo fra quelli dei suoi sottoscrittori. Se oggi dovessimo riscrivere la Costituzione non raggiungeremmo una tale altezza. Manca la tensione ideale scaturita dagli orrori del conflitto. Marina Gigante tratta delle scuole e delle università. Quello dei luoghi di formazione è un tradizionale terreno di scontro. Agli antichi problemi se ne sono aggiunti altri: i simboli religiosi, la bioetica, l’identità collettiva, l’immigrazione. Si ritiene connotato del post-secolarismo il massiccio ritorno del fattore religioso nella sfera pubblica. I casi giurisprudenziali degli anni ’70 (Cordero, Lombardi-Vallauri) riguardavano il conflitto fra la libertà nella scuola e la libertà della scuola. Erano in questione i poteri discrezionali attribuiti ex art. 38 del Concordato alla Santa Sede, deputata ad approvare i requisiti morali dei docenti della Lumsa e della Cattolica di Milano. Con riguardo a tali università già Lariccia aveva sostenuto come non fosse necessario riconoscerle come enti pubblici per attribuire efficacia ai titoli accademici che rilasciavano. Allo scopo sarebbe stata sufficiente l’uniformità nell’ordinamento degli studi. Attualmente problemi spinosi concernono le richieste, come nel caso della scuola coranica di via Quaranta a Milano, di comunità islamiche di istituire scuole parificate nelle quali, in orario extracurricolare, si possano impartire lezioni di arabo e di Corano. La pretesa è difficilmente conciliabile con l’universalità dell’acccesso che dovrebbe caratterizzare il servizio della pubblica istruzione. D’altra parte, il problema della reciproca indipendenza di Stato e Chiesa è stato aggravato dall’istituzione,in una legge del 2003, dell’apposito ruolo degli insegnanti di religione. Il punto critico è la ripartizione delle risorse pubbliche destinate alla formazione e alla ricerca. Si constata come il meccanismo avviato dal decreto Mussi non abbia in realtà beneficato l’autonomia delle università, rendendole, al contrario, più “porose” . Gregorio Arena, incaricato di parlare di cittadinanza e immigrazione, vuole ribadire come Lariccia sia sempre stato uno studioso coerente e con la schiena dritta e che non molla; ma, nonostante molti attori della scena pubblica dimostrino di pensare che mitezza faccia rima con debolezza, egli ha sempre indicato con la sua condotta come mitezza si sposi con fermezza. L’educazione e la gentilezza del festeggiato, unite al rigore con cui ha attuato i valori professati, hanno apportato agli studenti insegnamenti ben al di là di quelli meramente tecnici. C’è una sovrabbondanza di benefici effetti nella condotta nobile di un insegnante che mai potrà essere quantificata. Il conflitto tra cittadini e stranieri è quello tra chi sta dentro e teme la perdita di quanto ha acquisito e chi sta fuori ed anela ad entrare in una relazione d’inclusione piuttosto che di ostilità. Le due leggi sulla cittadinanza del secolo trascorso, la n. 555 del 1912 e la n. 91 del 1992, sono entrambe basate su quello che un’autorevole studiosa, Giovanna Zincone, chiama familismo legale. L’immigrazione fu valutata, in chiave nazionalistica, come una risorsa per l’espansione coloniale. Così la cittadinanza venne concessa per ius sanguinis. Lampante è la distinta ratio rispetto a grandi paesi bisognosi di essere popolati, come ad esempio gli Stati Uniti e l’Argentina, che adottano invece il criterio dello ius soli. Resta però, pur nel mutamento delle dinamiche sociali, la necessità per un immigrato, salvo il caso di matrimonio, di risiedere per dieci anni ininterrottamente e regolarmente nel territorio per ottenere la cittadinanza. Ed il procedimento amministrativo di concessione è ad altissimo tasso di discrezionalità, a mitigare la quale è solo intervenuta una circolare del ministro Amato il 5 gennaio 2007.Insomma, si tratta di regole che rendono difficile l’integrazione, configurando l’immigrazione come un rischio da soppesare volta per volta invece che come una risorsa da inglobare. Si potrebbe iniziare con lo scomporre il monolite dello status civitatis in varie microsfere: ad esempio quella dei diritti civili, quella dei diritti sociali e, solo da ultimo, quella dei diritti politici. Si rammenti che già la legge n. 40 del 1998 enucleava i diritti fondamentali come quelli spettanti all’essere umano indipendentemente dal suo vincolo di appartenenza ad una comunità politica. Una specifica forma di cittadinanza, introdotta dalla riforma costituzionale del 2001, è quella delineata dall’ultimo comma dell’art. 118 Cost.: la cittadinanza attiva, quella dei cittadini solidali e responsabili che si attivino autonomamente in attività strumentali rispetto al bene comune. Qui davvero, nonostante la lettera del testo costituzionale, non possono trovare spazio discriminazioni di status. Marco Ventura conclude il convegno illustrando la prospettiva europea. Ricorda l’accuratezza di Lariccia nel selezionare libri giovevoli alla maturazione degli allievi. Infatti, quando da tesista frequentava la biblioteca di Perugia, constatava che i volumi più interessanti erano stati ordinati su indicazione dello stesso Lariccia. Nell’ultima assemblea generale del sinodo dei vescovi italiani, il Papa ha detto che l’Italia deve continuare ad essere in Europa un bastione contro la deriva del relativismo. Se si vuole schematizzare cosa significhi Europa oggi si possono enucleare tre punti: sovranità complessa non più includibile nell’esclusivo monopolio statuale; secolarizzazione; persistente ruolo delle religioni. Tutto ciò implica che il credente è libero di esprimere la sua fede, ma non può impedire che vari ambiti di potere siano gestiti congruentemente con una visione immanentistica dell’esistenza. L’Europa richiama subito alla mente la Corte di Strasburgo a cui vengono indirizzate le richieste di tutela da parte di chi si senta leso nei suoi diritti fondamentali da norme irragionevolmente discriminatorie nate dall’alleanza tra il trono e l’altare. Leggendo alcune pronunce, ad esempio quella sul sistema matrimoniale concordatario, del marzo 2007, sembrerebbe che chi ha impostato il caso nemmeno si sia curato di studiare un manuale di diritto ecclesiastico. Purtroppo nelle controversie non si affronta direttamente il tema dell’ art. 9 CEDU, ma si preferisce entrare per la porta di servizio del diritto di difesa. La visibilità del canale comunitario di difesa dei diritti fondamentali dovrebbe spronare il giurista ad avere sempre gli occhi ben aperti sulla complessità della dimensione normativa che attualmente ci governa. L’interazione non si attua solo con le fonti comunitarie, ma anche fra i vari modelli nazionali. Emblematico è il caso della Spagna che, nella costituzione del 1978, si ispirava all’Italia per quanto attiene al regime concordatario mentre ora, in seguito al nuovo corso aperto da Zapatero, offre essa stessa un modello ai giuristi e ai politologi italiani. Per quanto riguarda la Francia, occorre registrare un’incongruenza fra le commendevoli dichiarazioni e la realtà. L’episcopato francese ha sempre con fierezza sostenuto che la laicità contribuisse a rafforzare la fede, svincolandola da torbide commistioni col potere temporale. Però bisogna costatare che le chiese di quel paese sono semivuote. Sembra che la pari competizione fra le diverse proposte religiose non giovi alla chiesa tradizionale. Dunque non si possono astrarre schemi concettuali di soluzione, ma occorre di volta in volta, con infaticabile pragmatismo, superare la pigrizia intellettuale e mescolarsi alla vita, senza alcun restringimento di orizzonti. Tedeschi osserva come sia innegabile che il sistema concordatario faccia acqua da ogni parte, e spetterebbe proprio agli ecclesiasticisti essere un presidio contro certe inframmettenze, come ad esempio quella di Ruini che con orgoglio si definisce un animale politico. Fabio Giglioni suggerisce un paragone del principio di laicità con quello di legalità, ugualmente assente nella lettera della Carta fondamentale italiana. Potrebbe dirsi che la legalità attiene al potere e la laicità alla libertà, ma ormai l’ Amministrazione ha perso la sua veste autoritativa per trasformarsi in una negoziatrice che aspira al consenso, più attenta alle prestazioni di servizio che a quelle d’ordine. L’unico manuale di diritto amministrativo che tratta della laicità, quello appunto di Sergio Lariccia, la ricollega al principio di imparzialità. E’ interessante verificare se l’intero sistema amministrativistico possa porsi al servizio della laicità. Per comprenderlo occorre scomporre il concetto di imparzialità in tre accezioni: la prima è quella di terzietà-neutralità, che non significa estraneità ma costruzione della regola del caso concreto insieme con i terzi destinatari del precetto; la seconda è di neutralizzazione della parzialità con l’apertura di uno spazio per il confronto accessibile alla pluralità dei contributi partecipativi; la terza è la misura di ponderazione, il criterio di giustizia da discernere in ogni singola fattispecie. Insomma si devono integrare le differenze in una sintesi che non sia livellatrice ma valorizzatrice delle multiformi peculiarità con adeguatezza e proporzionalità. A conclusione dei lavori, interviene Sergio Lariccia il quale ricorda come abbia iniziato la sua attività di professore alla fine del 1962, contemporaneamente all’apertura del Concilio Vaticano II. Ha quindi seguito il rinnovamento sia della Chiesa sia delle istituzioni statali. Preferì lasciare la Corte dei Conti per dedicarsi esclusivamente all’insegnamento. Deplora che la classe docente non goda né di una retribuzione, né di spazi nelle strutture pubbliche adeguati all’importanza del suo ruolo. Cita alcune personalità che hanno contribuito alla sua formazione: Gaetano Salvemini, Francesco Santoro Passarelli, Guido Calogero e Vittorio Bachelet. Sottolinea i rapporti affettuosi sempre intercorsi con gli studenti di Modena, Cagliari, Urbino, Perugia e Roma, che però mai hanno nuociuto al rigore della valutazione. Ribadisce la sua convinzione che il diritto nasca dal fatto: il che richiede un’attenzione primaria e interdisciplinare agli accadimenti quotidiani. Infine, concorda con l’asserzione di Cesare Pavese secondo cui i libri dischiudono le porte della vita: di qui la sua accuratezza nel conservare tutti i volumi collezionati.

Monica Giorgi