La V sezione del Consiglio di Stato (CdS), investita dell’appello avverso la sentenza del TAR Piemonte, Sez. II, 4 giugno 2007, n. 2539 con la quale era stato accolto il ricorso promosso contro l’affidamento diretto del servizio di supporto integrativo per attività sanitarie territoriali di cura alla persona (cure sanitarie domiciliari) da parte di una ASL piemontese in favore di una società mista pubblico-privato, partecipata dalla stessa ASL affidante, ha deciso di rimettere all’Adunanza Plenaria la definizione delle condizioni che consentono il legittimo affidamento di servizi pubblici e di appalti pubblici con il sistema dell’ «in house providing» e della «società mista».
I giudici di prime cure hanno fondato la propria pronuncia sulla ricostruzione ermeneutica proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana (C.G.A.R.S.), Sezione Giurisdizionale 27 ottobre 2006 n. 589, secondo cui «l’art. 113, co. 5, lett. b) d.lgs. 267/2000 (come sostituito dall’art. 14, co. 1, lett. b), l. 326/2003), nella parte in cui consente l’affidamento diretto di un servizio pubblico di rilevanza economica ad una società mista a prevalente capitale pubblico, con socio privato scelto a seguito di gara, va interpretato restrittivamente, se non disapplicato, posto che, alla stregua della giurisprudenza comunitaria, deve attivarsi, per la scelta del gestore del suddetto servizio, una seconda procedura ad evidenza pubblica. La gara per la scelta del socio privato, infatti, non è sovrapponibile a quella per l’affidamento del servizio, avendo tali procedure finalità ben distinte».
Gli elementi centrali che, nella motivazione della sentenza appellata, hanno determinato l’illegittimità dell’affidamento diretto possono essere sinteticamente individuati nel fatto che:
a) si era in presenza di «una società avente un oggetto plurimo e variegato dal punto di vista qualitativo», per cui non poteva «affermarsi che la scelta con gara del socio effettuata “a monte” della costituzione della società garantis[se] gli stessi effetti di una pubblica gara da svolgersi con riferimento al singolo servizio»;
b) non era stata rinvenuta «alcuna norma statutaria che limit[asse] l’operatività dell’[affidatario] entro l’ambito territoriale all’interno del quale operano le Aziende Sanitarie che partecipano al capitale sociale della…società, che quindi può, almeno astrattamente, operare anche in un ambito territoriale esterno rispetto a quello degli enti che l’avevano costituita beneficiando della “rendita di posizione” derivante dal collaborazione con le ASL di riferimento»;
c) le azioni della società mista erano «liberamente trasferibili tra soggetti pubblici (con la possibilità quindi di trasferire anche la relativa area territoriale di competenza), mentre le azioni dei soggetti privati [potevano] essere alienate o trasferite (con diritto di prelazione degli altri soci) dietro autorizzazione del Consiglio di Amministrazione che si intende concessa qualora il Consiglio non si pronunci nel termine di trenta giorni dal ricevimento della richiesta;
d) vi era «un’ampia possibilità di accesso al capitale della società da parte di soggetti privati per i quali non viene rispettata la regola della scelta con procedura ad evidenza pubblica».
I Giudici della V Sezione del Consiglio di Stato hanno quindi rilevato come le questioni sollevate dal caso di specie riguardano profili giuridici della massima importanza, in ordine ai quali, pur potendosi rilevare, su alcuni singoli punti, ampie convergenze della giurisprudenza (e anche della dottrina), si registrano differenti orientamenti e permangono alcune notevoli incertezze interpretative.
In tale linea di ragionamento, dunque, viene ritenuto opportuno che l’Adunanza Plenaria individui una linea ermeneutica omogenea e unitaria, tanto relativamente:
a) all’individuazione dei presupposti sostanziali per la configurabilità di una situazione riconducibile allo schema del legittimo in house providing,
b) quanto in ordine alle condizioni di compatibilità della “società mista”, ferma restando la necessità di considerare con attenzione le peculiarità di ciascuna fattispecie (affidamenti di appalti e di servizi pubblici, realizzazione di opere pubbliche, settori speciali, ecc.).
In riferimento all’individuazione dei presupposti sostanziali di un legittimo in house providing – comunque ritenuti insussistenti nel caso di specie – la V Sezione chiede all’Adunanza Plenaria di:
– puntualizzare, preventivamente, in linea di diritto e alla stregua dell’ordinamento europeo e nazionale, le condizioni prescritte per il legittimo affidamento in house, considerando che, in precedenti occasioni, si era ritenuto ammissibile in giurisprudenza l’affidamento a società in cui la partecipazione pubblica era limitata al 51%, a condizione che fosse riscontrata la presenza del requisito del “controllo analogo”;
– delineare le coordinate di riferimento del concetto di prevalenza dell’attività svolta per l’amministrazione affidante, talvolta incentrate sulla metà del fatturato complessivo della società, altre volte su requisiti più rigorosi, specificando se «…il concetto di prevalenza debba essere calcolato tenendo conto, o meno, dell’obbligo di dismissione delle attività svolte per il mercato e non per l’amministrazione di riferimento, imposta dall’art. 13 del decreto legge n. 223/2006.»
– valutare la necessità, o meno, di fissare ulteriormente i contorni essenziali della nozione di “controllo analogo”, benché i tratti principali di tale requisito siano già emersi con sufficiente chiarezza nella giurisprudenza comunitaria.
In relazione all’ammissibilità dell’affidamento di servizi, senza gara, a società miste prive del requisito della sottoposizione al controllo dell’amministrazione affidante, nell’ambito delle quali la scelta dei soci privati di minoranza sia stata effettuata mediante gare ad evidenza pubblica, la V Sezione rileva come sia alquanto «incerta e discussa la soluzione delle questioni riguardanti la compatibilità del modello con il diritto comunitario».
In tale linea di ragionamento, i Giudici, se da un lato rilevano come nella vicenda sottoposta al loro apprezzamento emergano alcune «circostanze di fatto che potrebbero risultare idonee a comprovare l’illegittimità dell’affidamento diretto», con particolare riguardo al «dato oggettivo costituito dall’acquisto successivo di alcune quote della società mista da parte dell’amministrazione affidante», dall’altro riconoscono che il caso prospetti «numerose questioni di massima, di portata più generale, che giustificano il deferimento alla valutazione dell’Adunanza Plenaria dei diversi profili attinenti alla legittimità dell’affidamento di contratti pubblici o servizi a società miste, in assenza di un’apposita procedura di gara».
Sul punto, viene, infatti, rilevato come in giurisprudenza e in dottrina siano stati proposti tre diversi indirizzi interpretativi.
1. Secondo un primo indirizzo – incentrato sull’idea di fondo in base alla quale l’ordinamento comunitario profila una rigida alternativa tra i due distinti moduli di affidamento dei servizi (più in generale, dei contratti) a terzi mediante gara e l’affidamento diretto secondo la formula dell’in house providing – «non devono ritenersi consentiti gli affidamenti diretti a società miste, anche se a prevalente partecipazione pubblica e anche se la scelta del socio privato sia stata effettuata mediante gara ad evidenza pubblica». In tale linea di ragionamento, dunque, l’amministrazione che intenda affidare il servizio alla società da essa costituita dovrebbe comunque svolgere una seconda gara, non potendo rilevare nemmeno ulteriori requisiti particolari (quali la durata limitata del contratto sociale, l’inalienabilità delle partecipazioni, la limitazione dell’oggetto sociale, ecc.). In giurisprudenza, l’espressione più chiara e puntuale di tale ricostruzione ermeneutica è contenuta nella decisione del C.G.A.R.S. del 27 ottobre 2006 n. 589.
2. A tale orientamento si contrappone un diverso indirizzo, manifestatosi essenzialmente in dottrina, ad avviso del quale, «la società mista a prevalente partecipazione pubblica possa essere sempre affidataria diretta dei servizi, alla sola condizione che la scelta del contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure selettive». Alla base di tale impostazione vi è l’idea secondo cui «il contratto sociale presenta caratteristiche e funzioni radicalmente diverse da quelle proprie degli appalti. [C]on la conseguenza che non avrebbero particolare rilevanza le regole – anche di derivazione comunitaria – concepite per garantire la concorrenza nei settori disciplinati dalle direttive in materia di appalti».
3. In una posizione intermedia tra le due ricostruzioni si colloca, invece, la posizione espressa dal Consiglio di Stato, Sez. II, con il parere 456/2007, ad avviso del quale, se da un lato deve riconoscersi che il fenomeno dell’affidamento a società mista pubblica e privata vada accuratamente distinto dall’in house providing, dall’altro, non appare corretto considerare la «carenza del requisito del controllo analogo» come motivo sufficiente per affermare l’illegittimità dell’affidamento diretto delle prestazioni alla società mista, essendo al contrario necessario valutare «la sussistenza di alcuni elementi ritenuti necessari per esprimere un giudizio positivo di compatibilità con il diritto comunitario».
Stante tale articolato quadro di riferimento, i Giudici della V Sezione, rilevano come il fatto che la Corte di Giustizia non si sia mai espressamente e analiticamente pronunciata sulla compatibilità comunitaria della “modalità organizzativa” della società mista, «renda non agevole stabilire quale sia l’ordinamento normativo compatibile con la disciplina comunitaria e quali siano gli eventuali specifici requisiti di utilizzazione dello strumento in questione».
In tale linea di ragionamento, viene espresso l’auspicio che l’Adunanza Plenaria, nell’esaminare complessivamente l’intera problematica e nel delineare la corretta ricostruzione del sistema normativo vigente in ambito nazionale, potrà valutare la necessità, o meno, di deferire alla Corte di Giustizia la seguente specifica questione: «se sia compatibile o meno con il diritto comunitario la regola di diritto interno che permette l’affidamento diretto di un servizio rientrante nell’ambito applicativo della direttiva n. 18/2004 effettuato da un’amministrazione aggiudicatrice in favore di una società mista, costituita dalla stessa amministrazione e da altri soci privati, individuati mediante apposita gara ad evidenza pubblica».
La V Sezione solleva, inoltre, delle perplessità relativamente alle singole condizioni “di compatibilità” indicate dal parere del C.d.S. n. 456/2007 al fine di riconoscere la legittimità dell’affidamento diretto della “società mista”.
Di seguito vengono richiamate alcune di queste condizioni, unitamente alle osservazioni e richieste di chiarimento sollevare dalla pronuncia di rinvio all’Adunanza Plenaria.
In relazione al requisito di carattere generale, affermato nella pronuncia consultiva, secondo cui per l’ordinamento interno il ricorso al modello della società mista deve ritenersi ammesso «solo quando esista un’apposita norma speciale che lo consenta (si veda anche C.d.S., VI Sezione 3 aprile 2007, n. 1514)», i Giudici della V Sezione rilevano come la questione meriti «un approfondimento, sia per la sua indubbia rilevanza di massima, sia perché l’indicata connessione con una puntuale norma abilitante potrebbe determinare la maggiore o minore ampiezza della utilizzabilità del modello».
A giudizio della V Sezione, infatti, si pone il problema di chiarire quando si possa fare ricorso al modulo della società mista posto che «secondo un consolidato orientamento, i soggetti pubblici godono di una capacità generale di diritto privato, che li abilita a concludere ogni tipo di contratto, salva la sola valutazione di compatibilità con le finalità istituzionali assegnate al singolo ente».
In tale linea di ragionamento, si afferma come «il necessario rigore con cui devono essere accertati i concreti presupposti del legittimo affidamento ad una società mista», non può essere inteso nel senso di ritenere «che il modulo societario debba essere considerato “eccezionale”, o consentito in presenza di particolari situazioni, trattandosi di scelta riconducibile all’autonomia organizzativa del singolo ente pubblico».
Altro profilo in relazione al quale si auspica un chiarimento è relativo alla «compatibilità con il diritto comunitario della costituzione di società miste in cui uno o più partner privati si limitino ad apportare capitale, nella prospettiva di definire una forma di finanziamento per lo svolgimento di impegnative funzioni richiedenti ingenti capitali di investimento, dal momento che nell’ordinamento comunitario non emerge con evidenza un assoluto divieto di coinvolgere nel partenariato pubblico-privato soggetti che intendano solo finanziare la società, purché il loro apporto presenti, comunque, un adeguato tasso di specificità professionale. Né sembra che si possa considerare del tutto privo di interesse per l’amministrazione l’istituzione di un rapporto con soggetti esperti del settore finanziario».
Sul punto, viene quindi richiesto all’Adunanza Plenaria di valutare l’opportunità di demandare alla Corte di Giustizia anche uno specifico quesito interpretativo, concernente «i limiti di compatibilità con il diritto comunitario di una partecipazione societaria privata di carattere meramente finanziario, purché la procedura selettiva per l’individuazione del socio privato abbia consentito, in modo trasparente e imparziale, di scegliere l’impresa in possesso delle prescritte attitudini professionali, che abbia offerto la migliore proposta».
La Sezione rileva anche che andrebbe meglio chiarito il significato della formula «affidamento dell’attività operativa» la quale potrebbe anche essere intesa nel senso di «presupporre la necessità di una regolamentazione contrattuale più complessa, affiancata al contratto sociale, da cui risulti che l’attività materiale di erogazione del servizio o della realizzazione dell’opera sia effettivamente compiuta dal socio privato con la propria organizzazione di impresa».
Un altro specifico requisito di legittimità del ricorso alla società mista su cui la Sezione ritiene utile un pronunciamento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria è quello concernente la necessità, indicata nel parere del C.d.S. 456/2007, di «stabilire un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale, accompagnata dalla espressa previsione della “scadenza del periodo di affidamento…evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista». Al riguardo, viene, infatti, rilevato come sussistono «alcuni dubbi dottrinari circa la compatibilità del modulo societario con una così rigorosa limitazione temporale del rapporto sociale ed una notevole inerenza nello svolgimento dell’attività operativa della prestazione del servizio».
Ed ancora, si sollecita un chiarimento sull’indirizzo interpretativo espresso nel parere 456/2007, secondo cui «il ricorso al modello della società mista dovrebbe essere limitato ai soli casi in cui esista un concreto riferimento allo svolgimento di attività e funzioni pubbliche».
Quest’ultimo requisito, infatti, può essere inteso, alternativamente, in una «prospettiva “minima”», che richiede di valutare solo che «l’oggetto sociale sia comunque compatibile con le finalità statutarie pubblicistiche dell’ente che intende istituire la società», oppure, in una prospettiva “più rigorosa”, in virtù della quale il riferimento all’attività pubblicistica potrebbe indicare la necessità di accertare «la connessione tra la funzione svolta e l’esercizio di poteri pubblicistici in senso stretto». In tale ultima evenienza – osservano i Giudici – dovrebbe allora riconoscersi che «la società mista sarebbe difficilmente ammissibile nei casi di attività “neutre”, quali la prestazione di servizi destinati, con le stesse caratteristiche oggettive, a soggetti pubblici e privati».
Infine, la V Sezione rileva come l’orientamento interpretativo espresso in sede consultiva dalla II Sezione del Consiglio di Stato potrebbe influenzare la soluzione della questione relativa «alla legittimità dell’affidamento di un servizio effettuato senza gara ad una società mista da parte di un’amministrazione che abbia acquistato successivamente la partecipazione nella società stessa».
In tema viene, infatti, rilevato come ammettere la legittimità di un’acquisizione successiva di quote da parte di un’amministrazione pubblica, determina un pregiudizio al principio di trasparenza, volto a regolare la gara per la selezione del socio privato, perché «potrebbe essere modificato, sul piano qualitativo e quantitativo, l’oggetto originario dell’attività della società mista».Questo rischio non sembra eliminato nemmeno nei casi in cui l’originaria procedura selettiva preveda la possibilità di ampliare, in un momento successivo, la concreta attività materiale, compatibile con l’oggetto sociale e le amministrazioni destinatarie del servizio. In tale eventualità, infatti, si profilerebbe l’eccessiva indeterminatezza dell’originario oggetto sociale.
Del resto, l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza comunitaria risulta compatto nel senso di giudicare illegittimo l’affidamento di servizi a società preesistenti e non appositamente costituite per quella specifica attività. Sul punto – osservano conclusivamente i Giudici – si potrebbe pervenire ad una diversa soluzione, solo «qualora si ritenesse che la società mista resti disciplinata, in ogni caso, dalle regole generali delle società, consentendo, quindi, una certa dinamica evolutiva dell’oggetto sociale».