Applicazione della cosiddetta ficta confessio al rito societario

12.10.2007

Corte costituzionale, 12 ottobre 2007 n. 340

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale sollevato dal Tribunale di Catania

Norme impugnate e parametri di riferimento:
Il tribunale di Catania ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del
decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 ( Definizione dei procedimenti in materia di diritto
societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).
La norma introduce il meccanismo della cosiddetta ficta confessio stabilendo che, in caso di mancata o
tardiva notifica della comparsa di costituzione e risposta, qualora l’attore abbia presentato istanza di
fissazione dell’udienza, i fatti dedotti dall’ attore debbono ritenersi come ammessi.
Secondo il remittente il legislatore delegato ha violato l’art. 76 Cost., andando al di là della delega di cui
all’art. 12, comma 2, lettera a), della legge n. 366 del 2001, la quale prevedeva solo la concentrazione dei
procedimenti e la riduzione dei termini, ma non anche una così sostanziale modifica del procedimento
contumaciale contraria alla tradizione giuridica italiana.
Una innovazione come quella introdotta con la disposizione impugnata avrebbe richiesto una specifica
direttiva, come è anche dimostrato dal fatto che nel disegno di legge di delega per la generale riforma del
processo civile, approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003, al punto 23 è indicato come
criterio direttivo quello cui è autonomamente, e quindi illegittimamente, ispirata la disposizione in
scrutinio.
In via subordinata, il Tribunale di Catania deduce il contrasto con il 3 Cost., in quanto attribuisce un
ingiustificato privilegio alla parte attrice nei procedimenti che si svolgono con il cosiddetto rito
societario; in via ancor più gradata, il remittente lamenta la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto dalla
disposizione impugnata consegue l’irragionevole e perciò illegittima compressione del diritto di difesa
della parte convenuta.

Argomentazioni della Corte:
La Corte ribadisce la sua reiterata indicazione sul giudizio di conformità della norma delegata alla norma
delegante.Questo deve esplicarsi attraverso il confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli:
l’uno relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla
delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e
le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro relativo alle norme poste dal legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e criteri direttivi della delega.
Considerando la varietà delle materie riguardo alle quali si può ricorrere alla delega legislativa, non è
possibile enucleare una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di “principi e criteri direttivi”. Il
cosiddetto potere di riempimento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o criterio
direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata quale è per definizione la legislazione su
delega.
La disposizione censurata detta una regola del processo contumaciale in contrasto con la tradizione
processualcivilistica italiana.
La legge di delegazione era finalizzata all’emanazione di norme dirette ad assicurare una più rapida ed
efficace definizione di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria
nonché in materia bancaria e creditizia.
A tal fine il Governo era delegato a dettare regole processuali che prevedessero “la concentrazione del
procedimento e la riduzione dei termini processuali “.
La norma impugnata non può ritenersi funzionale alle suddette finalità in quanto l’introduzione della
ficta confessio non conduce automaticamente ad una rapida e corretta definizione dei procedimenti.
La fondatezza della questione per violazione dell’art.76 Cost. assorbe l’esame degli altri profili di
illegittimità costituzionale.

Decisione della Corte:
La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio
2003 n. 5 nella parte in cui stabilisce : “in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il
convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il
tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa”.

Giurisprudenza richiamata:
-sul giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante, condotto alla stregua dell’art. 76 Cost.: n. 7 e n. 15 del 1999, n. 276, n. 163, n. 126, n .425, n. 503 del 2000, n. 54 e n. 170 del 2007
-sul tipo di regole che il Parlamento è tenuto a rispettare approvando una legge di delegazione: n. 250 del 1991
-sulla libertà di apprezzamento del legislatore delegato: n. 68 del 1991
-sul carattere derogatorio della legislazione su delega rispetto alla regola costituzionale di cui al 70 Cost.:
n. 171 del 2007

a cura di Monica Giorgi