Strategie di contenimento della spesa sanitaria nell’Europa Unita e in Italia – Resoconto convegno

25.09.2007

Roma, 14 settembre 2007

Venerdì 14 settembre 2007, presso la Sala Colonne dell’Università Luiss Guido Carli, si è tenuto il secondo di una serie di incontri -Speaker series Il “Mondo” della Sanità: Esperienze Internazionali di Eccellenza- realizzati dall’area Pubblica Amministrazione e Sanità della Luiss Business School.

Ha aperto i lavori il Prof. Paolo Boccardelli, Docente di Economia e Gestione delle Imprese presso la Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli, che ha anticipato l’indubbia complessità del tema sotto il profilo delle problematiche da risolvere, considerando da un lato l’innovazione tecnologica e dall’altro l’invecchiamento della popolazione come cause principali di aumento della spesa sanitaria; dopo di che, ha spiegato lo svolgimento dell’incontro realizzato con due relazioni guida che hanno riguardato il fenomeno della spesa sanitaria in Europa con un approfondimento specifico sulla dinamica in Italia:
– la prima tenuta dal Prof. Elias Mossialos, Brian Abel-Smith Professor di Health Policy presso il Department of Social Policy della London School of Economics and Political Science, Direttore della LSE Health and Social Care e Direttore dell’European Observatory on Health Systems and Policies. Inoltre, il Prof. E. Mossialos è anche un dottore e conosce il fenomeno sanità in parte anche come operatore;
– la seconda dal Prof. Andrea Monorchio, Docente di Economia Pubblica presso la Luiss Guido Carli e Docente presso l’Università degli Studi di Siena, nonché Ragioniere generale dello Stato per diversi anni ed esperto delle dinamiche della spesa sanitaria.

Il primo relatore, il Prof. E. Mossialos ha analizzato con grande attenzione i trend ed i fenomeni della spesa sanitaria in Europa ed ha fornito informazioni dettagliate sulle condizioni che stanno alla base dei trend stessi.
Il Prof. E. Mossialos, nella sua relazione, ha parlato di pagamenti ed ha preso in considerazione altri metri di paragone che costituiscono dei benchmarks, come nella produzione di energia o di elettricità. Il costo unitario dovrebbe essere lo stesso a parità di condizioni; infatti, l’idea che è emersa nel settore sanitario è che una missione ospedaliera dovrebbe avere lo stesso costo dappertutto.
Per il Prof. E. Mossialos il settore della sanità -a differenza di altri settori- è molto più complicato ed i pazienti non hanno solo una patologia, ma molto spesso soffrono di patologie continue e multiple. Gli impiegati pubblici devono essere motivati a fare meglio ed a fare di più con il passaggio ad un quadro di incentivi che li motivi.
Bisogna separare la funzione dell’acquisizione da quella della fornitura, in quanto lontano dai sistemi integrati si può trovare un contesto in cui non ci sono interessi celati da parte dei fornitori a entrare nel circuito dell’assistenza sanitaria.
Il relatore ha parlato, inoltre, di responsabilità e di qualità, di contenimento dei costi e di aumento dell’efficienza.
Riguardo alla qualità, ha affermato che non si parla solo di costi, ma anche di cura e di terapia nei confronti dei pazienti e di miglioramento delle loro condizioni di salute e, che il discorso della qualità richiede dei compromessi: inserire l’innovazione tecnologica e la sua diffusione.
Molte attrezzature sanitarie e molti prodotti farmaceutici sono il frutto dello sviluppo tecnologico e di una sua azione di diffusione.
Il relatore ritiene che sarebbe opportuna l’introduzione di un criterio di valutazione delle tecnologie sanitarie guardando all’efficienza ed alla qualità.
Mediante la proiezione di grafici ha messo in evidenza le differenze di costi dei vari paesi, ad esempio Regno Unito e Stati Uniti, nonostante abbiano una spesa sanitaria elevata hanno una dalle aspettative di vita media più basse, rispetto agli altri paesi.
Le discrepanze tra i paesi sono tante e, questo riflette delle differenze che possono derivare dalla combinazione demografica: maggiori diseguaglianza, ad esempio gli espanici o il gruppo dei neri americani che vivono in condizioni peggiori e di conseguenza hanno aspettative di vita più basse.
Il Prof. E. Mossialos ha detto che la mortalità è riconducibile all’assistenza sanitaria. Molte morti potrebbero essere prevenute se i malati fossero adeguatamente assistiti, persone che non sarebbero morte secondo le statistiche prima dei 75 anni. Ha sostenuto, inoltre, che c’è anche una serie di eventi che potrebbero essere prevenuti come gli attacchi di cuore ed alcuni tipi di cancro.
Gli americani in confronto all’Italia, per quanto riguarda queste forme di prevenzione, non sono allo stesso livello, sicuramente l’Italia regge il confronto, ma la mortalità dipende anche dagli stili di vita negativi per la salute e l’Italia per colpa del fumo perde molto.
Per il Prof. E. Mossialos, nel nostro Paese, c’è bisogno di contenere i costi ed aumentare l’efficienza, ma contestualmente si fornisce la migliore assistenza sanitaria possibile dal punto di vista della qualità e ha dimostrato anche come la misurazione dei dati qualitativi è essenziale per migliorare la qualità stessa dell’assistenza sanitaria erogata.
Le assicurazioni sanitarie private potrebbero assorbire i rischi maggiori; in questo caso il mercato potrebbe essere reso efficiente a meno che non sia il Servizio sanitario nazionale ad assorbire i costi. Si può dar logo ad una redistribuzione. I servizi sanitari esistono perché si vuole dare assistenza a quei pazienti che non possono pagare e che corrono dei rischi dal punto di vista sanitario. Se il 10% della popolazione è responsabile del 75-76% dei costi della spesa sanitaria, come si può migliorare in modo significativo il costo dell’assistenza e della qualità che viene erogata a beneficio di queste persone?
Per quanto riguarda l’intervento dell’assicurazione sanitaria i rischi non riguardano soltanto l’assistenza sanitaria, ma sono tutti rischi finanziari che dovrebbero essere raggruppati su un arco di pazienti e su un lasso temporale molto maggiore.
Il Prof. E. Mossialos ha affermato che una delle problematiche è il tempo, nel senso che non si può prevedere l’insorgenza di una malattia, né la gravità ed il costo.
Nel nostro mercato ci sono delle situazioni di incertezza che rendono questo settore diverso da tutti gli altri e che non ci permettono di comportarci come se ci trovassimo in un mercato diverso dove ci sono degli operatori privati e dove la questione non è la salute umana.
Possiamo avere dei contratti fissi o relativi, dar fiducia al fornitore e chiedere determinati risultati. Anche questo andrà a fissare ed a sclerotizzare le cose in modo legislativo.
Altre funzione del sistema sanitario è quella dei prepagamenti, si concentrano i fondi ed in teoria si dovrebbe essere in grado di far pressione sui fornitori ad erogare una migliore qualità. Non sempre funziona, soprattutto, si frappone l’ostacolo della burocrazia e poi le assicurazioni ci sono per assicurare che il paziente possa pagare l’assistenza sanitaria.
La protezione contro il rischio finanziario e sanitario potrebbe essere risolto dai prepagamenti: comprare l’assistenza finanziaria nel modo più efficace ed efficiente possibile. Questo risolve anche le problematiche dell’incertezza e ci porta a parlare degli obiettivi delle politiche.
Per quanto riguarda gli obiettivi bisogna prima definirli e poi cercare i mezzi per raggiungerli.
Già il fatto di parlare di mezzi è uno dei problemi. Noi discutiamo se vogliamo un sistema pubblico o privato; se vogliamo pagare gli ospedali sulla base delle attività svolte oppure dei loro bilanci.
Il problema è: qual è il nostro obiettivo ed a che cosa miriamo?
Raramente ci soffermiamo a parlare degli obiettivi, a migliorare l’equità, l’efficienza o entrambe le cose. Molto spesso si riflette non sugli obiettivi, ma sui mezzi e sulle misure da utilizzare. Raramente viene posto in discussione il costo dell’opportunità e molto spesso il controllo dei costi viene anche confuso con l’efficienza, o meglio con il rendimento, ma si tratta di concetti diversi che non corrispondono; per esempio, a volte bisogna aumentare i costi per migliorare l’efficienza o la qualità. Il contenimento dei costi non significa una gestione più efficiente del sistema sanitario.
Se vogliamo più scelta nella cura, nell’ospedale, dobbiamo accettare un maggiore volume di spesa, al contrario se vogliamo tagliare la spesa dobbiamo ridurre la scelta.
Non si tratta, dunque, solo di raccogliere fondi ma, anche di erogare l’assistenza a chi la necessità ed il problema sorge nel momento in cui coloro che hanno maggiore necessità non la ricevono.
Bisogna capire se un sistema sanitario o un ospedale costa di più di quello che dovrebbe costare, se tratta casi più complicati; ovviamente non si possono avere specialisti e pronto soccorsi ovunque.
Bisogna controllare i costi, capire come si gestiscono i salari e gli stipendi dei medici, paramedici e farmacisti. Il metodo è abbassare la remunerazione dei professionisti, quelli che non sono i migliori del settore pur mantenendo una determinata efficienza.
La storia degli ultimi vent’anni dei sistemi sanitari è caratterizzata dal trasferimento dal governo centrale a quello locale, da quello locale ai fornitori, dai fornitori ad altri fornitori per rimandarlo sulle spalle dei pazienti. Si può trasferire il rischio, ma si devono creare incentivi per eliminare i rischi negativi.
Per controllare la spesa ci si è concentrati sui tentativi fatti nei nostri paesi sulla frammentazione, c’erano dei sistemi di assicurazione sociale con dei fondi sociali per coordinare le attività di acquisizione, si sono introdotte poi metodologie di stanziamento delle risorse verso le regioni.
Nel mercato assicurativo si è poi introdotta la concorrenza non solo a livello di fornitori, ma anche di acquirenti. C’è la divisione fornitori acquirenti e poi ci sono degli accordi di servizio, contratti di prestazione con bonus per i fornitori che hanno o non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati.
Ci sono dei metodi, inoltre, che si basano su un finanziamento a ticket, come ad esempio in Italia.
Alcuni paesi stanno sperimentando il metodo della sostituzione dei servizi; particolare importanza assume il day hospital, molto spesso però il paziente nei casi di intervento domiciliare non si sente adeguatamente assistito e lo vede come una forma minoritaria di assistenza.
Cosa si può fare per contenere la spesa sanitaria? Concentrarsi sui prezzi, controllare cioè i prezzi dei farmaci e delle apparecchiature, ma soprattutto effettuare il controllo del volume dei farmaci e delle attrezzature sanitarie. Questo è un problema dell’Italia dove c’è uno scarso controllo di volume.
In molti paesi in Europa ci sono diversi modi di controllare i prezzi, per esempio raggruppare i prezzi delle stesse categorie.
E’ giusto definire i benefici ed i beneficiari? In molti paesi lo hanno fatto e sarebbe il caso che lo facesse anche l’Italia. E’ difficile, però, valutare ogni nuova tecnologia e le scelte operate sono tante, si devono anche valutare gli effetti clinici.
Gli attori principali del sistema: farmacisti, dottori e dentisti possono essere controllati a livello settoriale o attraverso un sistema di remunerazione per prestazioni?
Si deve cercare di non collegare il costo del farmaco al pagamento del farmacista, tedeschi, olandesi e scandinavi lo stanno facendo e spendono solo il 5% della spesa farmaceutica, e dovrebbe farlo anche l’Italia dove le farmacie rappresentano una lobby.
Al fine di diminuire la domanda, si possono aumentare i prezzi delle prestazioni? Si possono anche introdurre incentivi a livello di assicurazioni sanitarie private, così che questi rischi non gravino nel settore pubblico, ma ci sono dei problemi di redistribuzione: coloro che beneficiano delle esenzioni e delle detrazioni fiscali sono effettivamente i più abbienti e quindi si deve pensare se il denaro che si perde attraverso il sovvenzionamento di una determinata copertura di rischio va ad essere coperta dalla sostituzione introdotta dalla presenza delle assicurazioni.
Per concludere il Prof. E. Mossialos, ha parlato di impegno e sfide per il futuro: giocano un ruolo importante i politici, ma non devono mettere insieme troppe riforme; bisogna anche pensare a sistemi dei pagamenti non rigidi guardando ai pazienti.

Il secondo relatore, il Prof. A. Monorchio, prima di iniziare la sua relazione si complimenta con il Prof. E. Mossialos per aver condotto una relazione nella quale ha illustrato, veramente con grande efficacia, le aspettative ed i comportamenti dei pazienti e degli assicurati e come questi comportamenti influiscono nel sistema e, quindi, sulle possibili azioni che possono essere condotte per razionalizzare e rendere efficiente la spesa.
Il Prof. A. Monorchio ha parlato dell’Italia con un taglio a lui congeniale relativo alle manovre di contenimento. In particolare, ha affermato che fino agli anni novanta le correzioni erano dovute ad aumenti della spesa ma, a partire dagli anni novanta, la questione del contenimento diventa più razionale, non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei a causa delle regole rigide del Trattato di Maastricht e della convergenza macroeconomia: tutte esigenze che hanno portato a razionalizzare il contenimento con il passaggio da un sistema di regolazione centralizzato ad un sistema basato sulla contrattazione affidata al sistema delle regioni con l’aziendalizzazione e l’istituzione di meccanismi di concorrenza.
A seguito di queste riforme i servizi sanitari nazionali sono stati organizzati nella forma dei c.d. quasi-mercati o mercati regolamentati e le prestazioni vengono erogate da strutture pubbliche e strutture private accreditate in concorrenza tra loro.
Il relatore, nel corso del suo intervento, prende in considerazione dati e statistiche sull’andamento e sulle caratteristiche della spesa dei paesi dell’aera OCSE, concentrandosi sui grandi paesi dell’Europa continentale più che su quelli anglosassoni, per il fatto che si differenziano dal punto di vista etico. Il Prof. A. Monorchio considera, infatti, imparagonabile il sistema europeo con quello americano mettendo in evidenza come la spesa pubblica americana è il 34% del Pil, rispetto a quella europea che è il 44%: differenza del 10% che spiega la presenza del welfare state, (le pensioni, l’assistenza sanitaria). In particolare, la partecipazione pubblica alla spesa sanitaria totale si aggira al 76% in Italia, all’81% in Francia, invece, negli Stati Uniti al 45%.
A partire dagli anni novanta la spesa sanitaria totale è cresciuta rispetto al Pil in tutti i paesi industrializzati e l’aumento della spesa sanitaria pubblica è risultato in genere superiore a quello della spesa privata; infatti, in tutti i paesi dell’area OCSE la spesa sanitaria pubblica prevale nettamente su quella privata (ad eccezione degli Stati Uniti) e dagli anni novanta ad oggi sono diminuite le risorse per l’assistenza ospedaliera a vantaggio di quella territoriale, domiciliare.
Riguardo alla spesa sanitaria pubblica in Italia, il relatore ha affermato che non ci sono stati aumenti -rispetto agli altri paesi OCSE nei quali c’è stato un aumento dell’1-2 %- per cui non deve essere ridotta, ma solo razionalizzata. La spesa ospedaliera, invece, suscita problemi, infatti, l’Italia ha un livello di spesa ospedaliera superiore a quello della Germania e di altri paesi del nord Europa che hanno agito molto sul territorio attraverso l’assistenza domiciliare.
Il Prof. A. Monorchio parlando di sanità ha affermato che non si può dimenticare che tutto il sistema si muove sullo sfondo di una situazione demografica globale: l’invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, l’aumento delle patologie; considera, infatti, l’invecchiamento della popolazione come un fattore da tenere in considerazione, in quanto l’aumento demografico comporta l’aumento delle malattie croniche e degenerative e, di conseguenza, un aumento della spesa.
Il Prof. A. Monorchio, individua come soluzioni: l’aumento dell’assistenza domiciliare per evitare le grandi spese ospedaliere, il day hospital, una formazione mirata alla prevenzione con l’introduzione di almeno un’ora settimanale di educazione sanitaria nelle scuole, vaccinazioni antinfluenzali, ecc.
Per quanto riguarda la spesa farmaceutica insiste sul fatto che non si devono ridurre i farmaci, ma i margini di profitto sulla vendita di questi, in considerazione del fatto che per ogni medicinale si pagano il 6% per l’Iva, il 9% per il rivenditore ed il 24% per il farmacista; afferma, inoltre, che i farmaci per malattie croniche dovrebbero essere distribuiti dalle azienda sanitarie.
In conclusione, il Prof. A. Monorchio ha parlato del sistema sanitario italiano che come costi si allinea grosso modo a quello degli altri paesi, che è un sistema che non può assolutamente essere definito inefficiente, ma deve essere razionalizzato ed “efficentato” e che con la ricostruzione dei comportamenti della domanda e dell’offerta si può ottenere anche di più in salute.

A queste due relazioni ha fatto seguito una tavola rotonda alla quale hanno partecipato illustri esponenti. Il dibattito è stato coordinato dal Prof. Riccardo Fatarella, Docente di Organizzazione Sanitaria presso l’università La Sapienza di Roma e la Luiss Business School, nonché, Presidente Sezione Sanità Confindustria Lazio.

Apre il dibattito il Prof. Franco Fontana, Docente di Economia e Gestione delle Imprese presso la Luiss Guido Carli e Direttore della Luiss Business School.
Il Prof. F. Fontana ha iniziato il dibattito affermando che la situazione della spesa sanitaria in Italia non è preoccupante e che i parametri rispetto al Pil si avvicinano a quelli degli altri paesi ma, fa due considerazioni: una, legata alla preoccupazione della sostenibilità, in quanto la spesa pubblica fa parte di quella complessiva e, l’altra, legata al livello del controllo della spesa che, anche se si fanno i tagli e i tetti di spesa, alla fine non si razionalizza.
Come soluzioni ha sottolineato l’importanza dell’assistenza territoriale e dell’aumento dei day hospital e day surgery.
Il Prof. F. Fontana ha anche parlato di qualità e di efficienza affermando che al crescere della spesa cresce la qualità e, come spesso, la crescita della spesa non è un indicatore di qualità; per esempio, in Italia le regioni che spendono di meno sono quelle che importano più malati, quelle che spendono di più hanno una mobilità passiva più elevata. Ha sottolineato, inoltre, l’importanza dell’efficienza come variabile che ci dice se la spesa si trasforma in qualità; non basta efficienza nella riduzione, nei tetti e nei tagli di spesa, ma la vera efficienza si fa andando nelle strutture erogatrici, territoriali ed ospedaliere, all’interno dei loro processi e, vedere se effettivamente la spesa si trasforma in qualità attraverso un maggiore efficienza.
Il relatore, inoltre, ha sottolineato la mancanza di collegamento con gli ospedali e le strutture territoriali, infatti, ancora oggi ci sono ospedali in cui la cartella clinica per poter fare un minimo di raccordo per la continuità assistenziale, non la danno prima dei 30 gg.
Come soluzione ha parlato, della necessità di “una cura organizzativa di reingegnerizzazione dei processi”, in altre parole, della necessità di modernizzare i processi all’interno degli ospedali mediante l’introduzione dell’informatizzazione e la riduzione del cartaceo, tenendo anche presente le difficoltà di realizzazione a causa della spesa non modificabile all’interno degli ospedali.

Successivamente è intervenuto il Dott. Ivan Cavicchi, Presidente del Collegio di direzione del Servizio di controllo interno del Ministero della Salute, che ha confessato le sue perplessità sul tema oggetto del seminario “strategie di contenimento” e dalla tendenza a “supersemplificare” emersa dalle relazioni precedenti.
Il relatore ha affermato che in trent’anni di riformismo -a partire dalla riforma sanitaria del 1978- di strategie e di contenimenti ne sono stati fatti tanti. Ha confessato di essere meravigliato del fatto che la preoccupazione è la variazione tecnologica e l’invecchiamento della popolazione, perché tutti i progetti e gli studi preparatori precedenti hanno ruotato intorno a questi presupposti.
Negli anni ottanta è stato abbandonato un disegno riformatore per seguire strategie di contenimento della spesa: una grande strategia di contenimento della spesa è stata l’istituzione dell’azienda nel 1992 che ha contribuito a ridurre il tasso di spesa e, la legge n. 229/1999, la c.d. “riforma ter”, che ha razionalizzato il sistema sanitario.
Il Dott. I. Cavicchi, inoltre, ha affermato che per contenere una certa spesa bisogna investirla e l’atto di investimento non è certo quello del contenimento finanziario. Ci sono politiche di contenimento che producono costi; basta pensare ai costi di transazione, al contenzioso legale o alla medicina difensivistica, tutti costi che nascono con intenti di razionalizzazione e di risparmio.
Il contenimento non è solo una questione di risparmio; in sanità, infatti, il problema del contenimento dei costi non è solo un problema di soldi è un problema di tante altre cose.
In Italia non si può parlare di razionalizzazione negli stessi termini: per esempio, l’appropriatezza in alcune regioni come l’Emilia-Romagna è una strategia portante, in altre regioni, invece, c’è bisogno di un intervento riformatore profondo a livello di sistema.
In conclusione del suo intervento, il Dott. I. Cavicchi ha sostenuto di essere d’accordo con il Prof. F. Fontana sul termine di sostenibilità, perché anche lui crede che il problema sia la sostenibilità, ma ha precisato che usa il termine non come equivalente di compatibilità, ma lo intende come una strategia che per contenere la spesa deve produrre la salute, come se fosse una risorsa naturale.
Il relatore parla, inoltre, della contrapposizione tra le politiche che migliorano e quelle che cambiano. La spesa non è un fattore isolabile ma emerge da un sistema e bisogna tener conto anche delle diseguaglianze.
Per il Dott. I. Cavicchi il paradosso, che in un suo libro chiama “il miglioramento senza cambiamento”, è che sono dieci anni che si cerca di migliorare, di razionalizzare, ma che tutto sommato l’Italia ha un trend molto basso rispetto ai paesi europei. Allora, si deve andare avanti con politiche di miglioramento o si deve pensare anche alla contraddizione dei modelli?
Ha sostenuto, anche di avere una percezione molto critica dell’azienda, non sa più se è un’azienda ed il direttore generale somiglia ed un amministratore vecchia maniera.
Riguardo all’ospedale dice che è stato riformato l’ultima volta da Mariotti nel 1968, ma se si vogliono effettivamente perseguire degli obiettivi si deve ridiscutere un modello.
Ha concluso: non basta un elenco di ciò che bisogna fare, c’è bisogno di una strategia che lo coordini, non è una strategia semplice, ma è di riforma.

In seguito ha preso la parola il Dott. Francesco Massicci, Ispettore Generale per la Spesa Sociale presso la Ragioneria generale dello Stato, che ha parlato delle strategie di contenimento della spesa sottolineando come il settore della spesa sanitaria, rispetto ad altri, assume una dimensione diversa, è un problema di lungo termine e l’obiettivo del contenimento si pone perché ci sono tendenze in atto che non si possono correggere nel breve periodo. Il relatore ha sottolineato -come è emerso anche dagli interventi precedenti- che la spesa sanitaria in Italia non si discosta molto da quella degli paesi, ma c’è un problema di contenimento dovuto al rientro del debito; nel breve periodo non si deve intervenire molto sulla sanità, ma alcune correzioni sono necessarie.
Il Dott. F. Massicci ha affermato che in questi anni la capacità di conoscere che cos’è il settore sanitario si è incrementata e, anche, come sono organizzate le attività della sanità nelle regioni, ha inoltre precisato che la sanità è una funzione tutelata costituzionalmente, ma che come si produce è un’attività industriale gestita da politici. Se si guarda più da vicino la situazione delle regioni, infatti, emerge chiaramente come in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana la sanità funziona bene, ma il resto delle regioni ha problemi rilevanti, problemi che vanno risolti con procedimenti costituzionalmente tutelati.
L’obiettivo è che nel corso del 2008 nessuna Asl o regione debba avere debiti pregressi, ma solo il corrente, in realtà si chiede alle regioni di correggere e smettere di indebitarsi. Ha affermato che si possono risolvere i problemi mediante la regolamentazione: fissazione di tetti, negoziazione con gli erogatori privati e procedimenti amministrativi corretti.
Inoltre, ha affermato che la spesa sanitaria che lo Stato intende finanziare è il 6,4%; le regioni più ricche hanno livelli di spesa elevati che gestiscono con le proprie risorse, ma ci sono regioni come il Lazio che non riescono a coprire le spese.
Il governo ha attivato piani di rientro, ma quello che necessità è la capacità di gestione e professionalità per un’attività industriale, anche se tutelata dalla costituzione.

Successivamente è intervenuto il Dott. Pier Natale Mengozzi, Presidente Federsanità Anci, che ha affermato come il settore della sanità in Italia presenta molti punti di occlusione e di incomprensione. Il relatore non ha fatto la disamina delle regioni virtuose, di quelle meno capaci o di quelle abbandonate a se stesse ma, ha piuttosto fatto riferimento al concetto di strategia.
Ha affermato che diversi anni di attenzione alla politiche sanitarie gli hanno insegnato che una delle funzioni principali è la programmazione.
La programmazione nazionale, per il relatore, dovrebbe dare le grandi indicazioni e coprire i grandi bisogni, mentre, quella regionale dovrebbe essere un processo organizzativo complessivo che legge la realtà sociale di quella regione ed applica, in un processo virtuoso, quelli che sono i metodi ed i criteri per garantire il diritto costituzionale alla salute.
Il relatore ha messo in evidenza come negli ultimi dieci-dodici anni di sviluppo dell’aziendalizzazione si ha, da un lato, una forte razionalizzazione di impronta economica e, dall’altro, un tentativo sufficientemente riuscito, da parte del sistema delle aziende, di rendere sostenibile un sistema.
L’avvento dell’aziendalizzazione -pur nella limitatezza della concezione aziendale in sanità- è stata una delle più grandi rivoluzioni, in materia, che ci sono state in Italia.
Quanto si parla di strategie di contenimento una delle prime riflessioni da fare, secondo il Dott. P.N. Mengozzi, è quella di capire se questo paese è uguale nella parità di offerta che si da ai cittadini, nel senso della proposta di servizi che devono essere garantiti. Ha sottolineato, inoltre, che secondo lui l’elemento dirompente è il concetto di “essenzialità ed uniformità dei servizi” che dovrebbe stare nella responsabilità di tutti del Ministro della salute come del Ministro dell’economia e delle finanze. In altre parole, dovrebbe essere quel decidere cosa a livello costituzionale deve essere garantito a tutti dalla Val d’Aosta alla Sicilia.
Il sistema organizzativo in sanità deve, sempre meno, essere per le professioni e per i soggetti che operano all’interno del sistema e, sempre più, per la centralità dei diritti. Si tratta di una situazione presente in molte regioni italiane in cui c’è l’arrangiamento e l’abbandono del cittadino a se stesso; chi ha la disponibilità economica cerca altre strade senza accorgersi che in quella regione sta succedendo il “macello organizzativo”, invece, chi non ha la possibilità ha come risultato il non servizio, l’abbandono.
Il politico deve rispondere alle richieste che il cittadino che viene amministrato gli rivolge e, se le risorse sono insufficienti per erogare il servizio richiesto, il politico deve indagare se è un problema della sola regione o un problema generale.
Per concludere, in termini di proposta, il relatore crede che uno dei primi elementi che si devono mettere in cantiere -precisando di non essere per la centralizzazione o per toccare il Titolo V il processo federalista in questo paese- è che per alcune questioni di così grande sensibilità se non c’è un elemento di governo generale del sistema, che è quello dei diritti essenziali da garantire, si apre la deriva alle invenzioni di “ingegneria istituzionale” ed alle volontà individuali.
Fino a quanto non c’è un ragionamento chiaro sui compiti, sulle funzioni, sui ruoli e non c’è la richiesta di verificare il prodotto che il soggetto di responsabilità da ai cittadini, che sono i titolari del diritto, i ragionamenti sulle strategie di contenimento non servono a nulla, perché: “è il rapporto tra gli uomini che condiziona il diritto tra le persone”.

Da ultimo interviene il Dott. Guido Riva, Presidente del Comitato Tecnico Sanità di Confindustria, che ha affermato di essere a favore della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, in quanto lo considera un bene del paese. Inoltre, ha precisato che per il funzionamento della sanità in alcune regioni come l’Emilia Romagna l’Italia è superiore anche agli altri paesi dell’area OCSE, anche se tiene conto del fatto che per la situazione delle altre regioni non è così.
Riguardo alla politica ha affermato di volerla tenere fuori dalla sanità, in quanto crede in una governance forte della sanità stessa.
Crede non nella “politica spicciola”, ma in quella vera che fornisce gli indirizzi, gli obiettivi, gli standard, che deve far si che tutti la rispettino: pubblici e privati, con organi di controllo forti e credibili. Il relatore ha sottolineato che ciò che lo terrorizza sono le strategie per il futuro, per esempio, le nuove tecnologie a cui nessuno è disposto a rinunciare e che in futuro aumentano sempre di più, ma il problema è proprio quello di trovare le risorse per pagare questa sanità in futuro. Si deve guardare agli sprechi, alle strutture, alle inefficienze di chi lavora e per ridurre gli sprechi sicuramente una soluzione è quella di tenere fuori la politica spicciola dalla sanità.

L’incontro si chiude con un breve intervento del Prof. E. Mossialos che risponde ad alcune osservazioni che sono emerse nel corso della dibattito e giunge alla conclusione che tutti sono d’accordo del bisogno di un cambiamento nei comportamenti e che questo avrà un effetto sulla spesa e sull’efficienza. Il problema, ha affermato, sta nel fatto che alcuni pensano che lo si può fare con la regolamentazione altri, invece, attraverso una bonifica dei costi; lui, invece, pensa che si può cambiare il comportamento umano cambiando gli incentivi. Resta comunque il fatto che cambiare il comportamento umano è molto difficile.

Leonilda Bugliari Armenio