Corte dei conti, Sez. Giur., Lombardia, 5 settembre 2007 n. 448 – Sulla configurabilità di un’impresa pubblica e la conseguente sussistenza della giurisdizione della Corte di conti nei riguardi dei relativi amministratori e dipendenti.

05.09.2007

Deve riconoscersi la giurisdizione della Corte di Conti nei confronti di amministratori e dipendenti di persone giuridiche aventi le caratteristiche di una società di capitali, interamente controllata al 100% da un’altra società di capitali quotata in Borsa.
La nozione di impresa pubblica è una nozione oggettiva che si configura nel caso in cui le amministrazioni aggiudicatrici siano in grado di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che la disciplinano.
Quanto all’individuazione dell’influenza dominante, deve osservarsi come se è vero che in alcune ipotesi tale influenza dominante è «presunta ex lege» (cfr. ad esempio l’art. 3, comma 28, del d.lgs. n. 163 del 2006, che ricalca l’art. 2 d.lgs. n.158 del 1995, relativo agli appalti nei c.d. settori esclusi)[1], in altre circostanze essa può ben sussistere «indipendentemente dalla ricorrenza delle circostanze che ne rendano ex lege da presumere la sussistenza».
Da questo punto di vista, viene in rilievo l’art. 2359, testo vigente, c.c., in base al quale devono essere considerate come «società controllate le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. E, in questo senso, è evidente che per il diritto interno una quota del 30 % del capitale sociale – in società ad azionariato fortemente diffuso – ben può essere sufficiente per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria».
Nella medesima prospettiva, inoltre – ed ad ulteriore conferma della natura pubblica della impresa de qua – devono essere inquadrate, ad avviso della Corte dei Conti, anche le previsioni normative  che estendono il meccanismo del c.d. spoil system agli esponenti aziendali delle società «controllate» o anche solo «partecipate dallo Stato» (cfr. art. 6, c. 1, della l. n. 145 del 2002).
Secondo la magistratura contabile, infatti, deve riconoscersi che la norma, nel prevedere l’estensione del meccanismo del c.d. spoil sistem, «muove da un presupposto concettuale che pare rifiutare la logica della partecipazione puramente finanziaria al capitale della società controllata per riproporre il tradizionale “schema” delle società controllate dallo Stato come vero e proprio strumento di politica industriale».
In tale linea di ragionamento, dunque, i giudici affermano che «il rapporto fiduciario che per effetto dell’art. 6 della l. n. 145 del 2002 deve essere costantemente assicurato fra gli esponenti aziendali nominati in società controllate o partecipate e lo Stato nominante vale con sicurezza ad istituire, quanto meno con riferimento al soggetto nominato, sia esso titolare di organo monocratico aziendale (ad es., amministratore delegato) oppure componente di organo collegiale aziendale (ad es., membro del consiglio di amministrazione) quel rapporto di servizio che è condizione sufficiente, benché oggi non più in via esclusiva, per radicare (nel minimo) nei suoi confronti la giurisdizione del giudice contabile».
Deve altresì essere riconosciuta la giurisdizione della Corte dei Conti nell’ambito delle operazioni di approvvigionamento compiute da società a partecipazione pubblica, le quali per legge debbono svolgersi, di regola, applicando le medesime regole che sono tenute ad osservare le amministrazioni a conformazione tradizionale (Ministeri, Enti pubblici non economici, enti pubblici territoriali, etc.) al fine di procurarsi beni e servizi.
Tra le finalità connesse all’obbligo di ricorrere, salvo casi residuali, alle procedure di evidenza pubblica per l’aggiudicazione di appalti pubblici, vi è evidentemente anche quella di «pervenire ad un’utilizzazione razionale del pubblico denaro attraverso la scelta dell’offerta migliore».
Si tratta – osservano i giudici – «di una questione essenziale, nella prospettiva del giudice contabile nazionale. Ciò perché, a dispetto di un dibattito che in diverse sedi troppo spesso sembra dimenticarsene, sarebbe improprio e riduttivo ritenere che il problema dell’applicazione delle regole di aggiudicazione di matrice pubblicistica si risolva puramente in una questione di tutela della concorrenza fra imprese, all’interno dell’UE. Accanto a questa istanza, su un piano di pari dignità, si colloca infatti, e non da ora, l’istanza che tende ad elevare siffatte regole di aggiudicazione a strumento di garanzia del miglior uso delle risorse finanziarie pubbliche».

[1] Tali ipotesi si verificano quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa).
a cura di Luigi Alla


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