Giornate di studio sulle liberalizzazioni – Resoconto convegno

19.04.2007

Lecce, 30-31 marzo 2007*

Sotto la Presidenza dell’Avv. Mario Egidio Schinaia, Presidente del Consiglio di Stato, i lavori del Convegno di Studi promosso dall’Università del Salento, dalla Scuola Superiore ISUFI e dalla Fondazione nuove proposte culturali, sono stati introdotti dal Prof. Franco Gaetano Scoca, che ha posto in rilievo la distinzione tra “liberalizzazione giuridica” e “liberalizzazione economica”, sottolineando come la prima consista, principalmente, nella rimozione di autorizzazioni e vincoli giuridici alle attività economiche e imprenditoriali, mentre la seconda si esprima in processi di effettiva apertura dei mercati agli operatori economici.
In questa prospettiva, sotto il primo profilo (liberalizzazione giuridica), il relatore ha individuato diverse forme di liberalizzazione: dalla semplice sostituzione del mezzo concessorio con il mezzo autorizzatorio, alla sostituzione dell’autorizzazione con la dichiarazione di inizio di attività (mezzo utilizzato abbondantemente nel decreto Bersani), alla semplice mancata iscrizione in ruolo.
Quanto alle vere e proprie liberalizzazioni economiche, invece, Scoca ha sottolineato che esse si dovrebbero sostanziare in misure finalizzate a garantire il passaggio a un mercato aperto. In particolare, per i mercati contingentati, si dovrebbe procedere soprattutto nel senso di attenuare i restringimenti imposti al mercato attraverso, ad esempio, l’eliminazione di parametri numerici o di misure che prescrivono distanze minime che impediscono l’effettiva realizzazione di condizioni di mercato.
In conclusione, il relatore ha sottolineato il ruolo del diritto comunitario nell’imporre forme di liberalizzazioni.
La successiva relazione del Prof. Massimo Luciani ha precisato come la Costituzione italiana sia sostanzialmente indifferente quanto alle forme di esercizio dei servizi pubblici (in senso soggettivo, siano essi esercitati da soggetti pubblici o privati). Quello che rileva sul piano costituzionale è piuttosto il rispetto del principio di eguaglianza formale o sostanziale.
Il relatore ha proseguito rilevando come per la Costituzione non è però necessariamente migliore un servizio se costa di meno: tra interessi economici e interessi delle persone prevalgono questi ultimi (tesi del c.d. bilanciamento ineguale, già enunciata da Luciani sin dalla voce Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, V, Torino, Utet, 1990).
Venendo all’esame della giurisprudenza costituzionale, Luciani ha sottolineato come la Corte non abbia sviluppato una dottrina delle liberalizzazioni perché questo le avrebbe impedito certe conclusioni. Nel complesso, la Corte costituzionale usa la parola “liberalizzazione” soltanto 84 volte, le prime alla fine degli anni Sessanta.
Proseguendo nella ricostruzione, è stato sottolineato che tre paiono le cifre essenziali di questa giurisprudenza:
1) discrezionalità legislativa: le liberalizzazioni corrispondono ad una precisa strategia politica;
2) esigenza di gradualità ed esigenza dell’adozione di una normativa transitoria;
3) mantenimento di forme di regolazione pubblica nella misura in cui esse sono necessarie per la tutela di diritti costituzionali.
Sotto il primo profilo, la Corte costituzionale non ha fornito una vera e propria nozione di liberalizzazione: nella sentenza n. 39/2000, nel giudizio di ammissibilità sul referendum sulla normativa sul mercato del lavoro, nel dichiarare la richiesta inammissibile per mancata omogeneità della materia, la Corte ha riconosciuto che “con il vincolo di gratuità dell’attività nei confronti dei lavoratori, il legislatore si propone di proteggere una soltanto delle parti dell’istituendo rapporto di lavoro, quella parte che anche in un contesto di liberalizzazione del collocamento è valutata come la più debole, sia rispetto al datore di lavoro che all’agente intermediario”, cosicché “unificare questi eterogenei ordini di limiti sotto l’indistinta rubrica ‘liberalizzazione’ significa appunto precludere agli elettori l’opportunità di modulare la propria risposta sulla diversità dei valori legislativi sottesi alle singole disposizioni che formano oggetto del quesito”.
Anche nella sentenza n. 188 del 1992, nel giudizio di legittimità costituzionale su una legge statale sulla liberalizzazione dei prezzi del settore turistico, impugnata da alcune regioni per l’introduzione di un regime indifferenziato di liberalizzazione (e, dunque, secondo le ricorrenti lesivo della competenza legislativa regionale in materia), la Corte ha dichiarato non fondata la questione, in quanto la determinazione dei prezzi non sarebbe ricompressa nella materia “turismo”, rilevando, tra l’altro, che “la stessa disposizione di legge statale, nel segnare il passaggio da un sistema di formazione dei prezzi in via amministrativa a uno basato sul libero incontro della domanda e dell’offerta, stabilisce un principio, quello del ‘libero mercato’, che, concernendo un profilo fondamentale del regime economico nel settore considerato, esige un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale”.
In altre parole, la Corte utilizza la nozione di liberalizzazione nel senso del passaggio da determinazioni eteronome della pubblica amministrazione a determinazioni autonome degli interessati, ma entro i limiti dovuti alla garanzia dei diritti costituzionali. In questo senso, pare particolarmente significativa la sentenza n. 36 del 2000, in cui la Corte, nel dichiarare inammissibile un quesito referendario in materia di liberalizzazione nel settore assicurativo, non ravvisa nelle liberalizzazioni un strumento di sufficiente tutela dei diritti costituzionali, in quanto “l’utile di impresa è un ‘fattore estraneo’ alle assicurazioni sociali, la cui funzione è invece esclusivamente quella di garantire ai beneficiari la sicurezza del soddisfacimento delle necessità di vita”.
In definitiva, la giurisprudenza costituzionale adotta una nozione di “liberalizzazione” molto ampia, richiamandosi, da questo primo punto di vista, moltissimo alla discrezionalità del legislatore: la scelta di liberalizzare è – pur, come si è visto, nel rispetto dei diritti costituzionali – una scelta politica e per questo non sindacabile dalla Corte (cfr. sentt. nn. 188/1992; 27/2003). Liberalizzazione, tuttavia, non significa sopprimere le regole, tanto è vero che, a volte, si moltiplicano i regolatori e/o i vigilanti. Il fine delle liberalizzazioni è infatti quello di tutelare la concorrenza.
Per quanto riguarda il secondo profilo individuato da Luciani – relativo all’esigenza di procedere in maniera graduale nelle liberalizzazioni – la Corte sottolinea il ruolo della normativa transitoria, rilevando come, ad esempio, in materia di locazione, senza una disciplina transitoria si sarebbero lesi i diritti costituzionalmente tutelati (sent. n. 283/1993).
Per quanto riguarda, infine il terzo profilo – relativo ai limiti alle liberalizzazioni – secondo il relatore la Corte ha più volte sottolineato la necessità di mantenere forme di regolazione pubblica nella misura in cui esse sono necessarie per la tutela di diritti costituzionali. Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale sembra però indicare che fini pubblicistici, tutela dei diritti costituzionali e liberalizzazioni non sono, di per sé, inconciliabili.
In conclusione, Luciani ha rilevato come il legislatore, nelle discipline di settore, tenda a porre poche norme transitorie, quando invece, attraverso questo strumento, si potrebbero meglio tutelare i diritti costituzionali e garantire il diritto all’affidamento.
Sono infine seguite alcune relazioni settoriali, specificante dedicate all’esame del settore degli aeroporti (M.A. Sandulli), servizi postali (M. Corradino), professioni non protette (P. Balducci), commercio (F. Cintioli), gas (F. Vetrò).

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* Il resoconto è relativo soltanto alla prima giornata dei lavori del Convegno.

Guido Rivosecchi