Vige una consuetudine che consente di usare in Parlamento solo la lingua italiana?

03.04.2007

Nel corso della seduta antimeridiana dell’Assemblea della Camera del 28 marzo 2007, intervenendo in dichiarazione di voto sulla proposta di legge costituzionale A.C. 648-A e abb. recante “Modifica all’articolo 12 della Costituzione concernente il riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica”, l’on. Bricolo (LNP) si è ripetutamente espresso in vernacolo veneto.
Il Presidente, dopo averlo richiamato più volte all’uso della lingua italiana, non ottenendo riscontro gli ha tolto la parola ricordando che la consuetudine dell’Aula non permette di esprimersi in maniera diversa dalla lingua italiana, come dimostrato da numerosi precedenti – si richiamano le sedute del 10 agosto 1983, del 1° agosto 1996 e del 25 agosto 1998 [in quest’ultima data, invero, non risultano esservi state sedute] – oltre ad essere stato ribadito, da ultimo, nella XIV [rectius: XV] legislatura dall’Ufficio di Presidenza per i deputati italiani eletti all’estero.
Successivamente è intervenuto l’on. Gibelli (LNP) che ha richiamato l’attenzione sulla eccezionalità del provvedimento in esame e la circostanza che alcune settimane prima l’on. Alessandri (LNP) aveva lasciato agli atti della Camera alcune considerazioni in idioma emiliano.
Il Presidente ha risposto che in quella circostanza l’on. Alessandri si era limitato ad una frase in dialetto, oltretutto in una relazione scritta, e che per qualunque ipotesi di utilizzo di altre lingue o idiomi nel dibattito in Aula sarebbero necessarie modifiche regolamentari.

a cura di Giovanni Piccirilli