Per una riflessione sulle riforme amministrative all’inizio della XV legislatura: nodi pendenti, iniziative e prospettive

29.11.2006

1. – Principi costituzionali e pubblica amministrazione.

Se si vuole oggi tratteggiare il volto dell’amministrazione pubblica non si può prescindere dall’analizzare e dal valutare le tappe raggiunte dal percorso di riforme avviato nei primi anni novanta, volto tanto a ricercare una nuova legittimazione quanto ad introdurre nuovi modelli organizzativi e procedurali. Tra i grandi cambiamenti che le amministrazioni pubbliche sono attualmente chiamate ad affrontare possiamo segnalare la modifica degli assetti istituzionali, la semplificazione dell’agire amministrativo, la rimodulazione delle strutture organizzative e dei meccanismi operativi.
Le risposte che l’ordinamento ha avanzato negli ultimi tre lustri sottolineano un profondo legame tra il ripensamento del ruolo delle istituzioni nella comunità, la ridefinizione del rapporto tra cittadino ed amministrazione e la riorganizzazione degli apparati pubblici.
E così la riforma del Titolo V della Costituzione ci consegna un sistema amministrativo profondamente modificato. Si è passati da una disciplina e da un esercizio prevalentemente statali delle funzioni amministrative – soluzione avallata dal criterio del parallelismo delle competenze legislative ed amministrative ed assicurata dallo strumento della delega -, ad una competenza amministrativa generale del comune, da una regolazione tendenzialmente statale dell’organizzazione amministrativa al concorso di una pluralità di istanze di auto-regolazione, da una ricostruzione autoritativa del rapporto amministrativo ad una valorizzazione della partecipazione del cittadino.
L’esito del referendum sulle innovazioni costituzionali approvate dal Parlamento nella XIV legislatura se da un lato potrebbe comportare un rinvio della trattazione dei problemi relativi ad una generale revisione dell’assetto ormai tradizionale dei poteri, dall’altro spinge il legislatore e gli operatori a riavviare il percorso di riforme interrotto nella trascorsa legislatura, – nella quale la maggioranza parlamentare aveva privilegiato la revisione di un ampia parte della costituzione -, attraverso misure dirette a completare ed attuare lo stesso non solo con interventi di legislazione ordinaria, ma anche con scelte amministrative.
Tuttavia, il precario equilibrio politico ha posto in evidenza la necessità di impegnarsi in una sostanziale innovazione del sistema elettorale, senza rinunciare alla costruzione di un sostanziale bipolarismo, ma nel contempo contenendo la proliferazione strumentale delle formazioni politiche.
In questo contesto rischiano di rimanere in secondo piano i problemi relativi alla pubblica amministrazione, e si ripropone l’atteggiamento che la dottrina assunse cinquant’anni or sono, quando si affermava erroneamente che la portata delle nuove norme costituzionali era del tutto marginale nei confronti della pubblica amministrazione. Se si riconosce la necessità di una completa, ancorché diversa, attuazione del vigente titolo V della Costituzione, al contempo non si può rinunciare al tentativo di ampliare le stringate norme attuali sull’organizzazione della pubblica amministrazione, ad esempio al fine di disciplinare con diversa incisività le cosiddette amministrazioni indipendenti.

2. – Valorizzazione del sistema delle autonomie locali.

Il dibattito relativo alla cosiddetta “devolution” ha messo in luce alcuni aspetti fondamentali riguardanti la ripresa del dibattito sulla riforma del sistema delle autonomie, ed in questa sede se ne è trattato durante la giornata di studio del mese scorso. L’impossibilità di rifarsi a modelli stranieri collaudati e la conseguente necessità di costruire un sistema originale, rispettoso delle tradizioni ed adeguato alle esigenze di efficacia, nonchè le difficoltà di ordine finanziario, potrebbe costituire una effettiva remora ad un ripensamento del sistema in termini razionali; nel contempo viene generalmente apprezzata la stabilità conseguente all’attuale sistema elettorale amministrativo.
Una valutazione attenta della situazione induce ad alcune considerazioni critiche.
Il sistema elettorale, se ha comportato stabilità, ha anche mortificato in alcune occasioni il dibattito politico, contribuendo all’affermarsi di una personalizzazione dei ruoli e ad una disaffezione nei confronti dell’impegno civico, che si ripercuote nella percezione dell’esigenza di innovazioni istituzionali, segnatamente a livello costituzionale.
Dall’altra parte il principio di sussidiarietà, che anima il nuovo quadro istituzionale, chiede alle autonomie locali di assolvere adeguatamente alla missione di governo dei fenomeni sociali e delle istanze delle collettività locali e induce a ripensare le responsabilità dei diversi livelli istituzionali.
Tuttavia, l’attuazione della cosiddetta sussidiarietà, secondo la quale ogni attività amministrativa viene esercitata dagli organi comunali, a meno che non sia espressamente riservata ad altri, appare difficoltosa, soprattutto a causa della scarsa omogeneità delle strutture e della carenza di risorse degli enti locali.
Il pensare ad un’attività, che deve esser svolta sempre più in una dimensione “di rete”, pone parallelamente due ordini di questioni, circa l’organizzazione dei soggetti che agiscono e circa le procedure da adottare. Entrambi gli aspetti (organizzazione ed attività) risultano poi condizionati dal modo di porre e di risolvere il rapporto tra attività politica e funzione amministrativa.
La “prossimità” dell’ente locale e il carattere generale dell’amministrazione comunale rischiano di rimanere un’affermazione dottrinaria se non si da la possibilità alle autonomie di sperimentare forme e strumenti di semplificazione del proprio modo di agire, ad esempio con l’istituzione di “sportelli unici comunali” quali unici uffici interlocutori dei cittadini.

3. – Il rimodellamento delle strutture centrali e periferiche delle amministrazioni statali.

L’intera organizzazione della pubblica amministrazione non può considerarsi indifferente alle innovazioni apportate all’inizio della XV legislatura con il c.d decreto di “spacchettamento dei ministeri” circa il numero dei ministeri e le loro attribuzioni. Non si tratta, infatti, di una mera distribuzione formale di potere politico, eventualmente censurabile sotto il profilo etico, ma di una sostanziale contraddizione con recenti, seppur timidi, tentativi di razionalizzazione dell’organizzazione dell’amministrazione dello Stato. Ciò che rileva, infatti, non è il numero complessivo ampliato dei ministri e dei sottosegretari, ma l’aumento degli incarichi dirigenziali e del numero di dipartimenti nei ministeri.
Sembra il legislatore non cogliere la sfida, conseguente all’ampliamento dei compiti delle amministrazioni locali, di “ripensare il centro”. Anziché muovere verso una ridimensionamento degli apparati centrali ed una rimodulazione delle articolazioni periferiche si tenta di snaturare i compiti di un’amministrazione di coordinamento ed indirizzo qual dovrebbe essere la Presidenza del Consiglio e riattivare strutture periferiche soppresse.
Le norme, poi, che disciplinano il cosiddetto “spoils system” all’italiana, sono state finora applicate e modificate secondo criteri di frettolosa opportunità, impedendo di riconoscere un compiuto sistema, ispirato a principi di efficienza e di correttezza.
A ciò si aggiunge il fenomeno della cosiddette “privatizzazioni”, ovvero – in senso non sempre coincidente – della “esternalizzazione” di funzioni pubbliche, attraverso le quali si instaurano nuovi e diversi rapporti tra indirizzo ed attività con il facile emergere di aggregazioni di interessi non sempre trasparenti, e che comunque sfuggono ad un controllo sia formale sia sostanziale.
Si manifestano in questo contesto alcune tendenze particolarmente riscontrabili anche negli enti locali (soprattutto di maggiori dimensioni, regioni e grandi comuni), di una gestione personalistica del potere, che prescinde da criteri di obiettività e maschera con valutazioni di dirigismo aziendalistico il soddisfacimento di interessi estranei alla pubblica amministrazione.
E se da un lato possiamo invocare una riduzione e un riposizionamento dell’amministrazione statale, dall’altro bisogna denunciare la tendenza verso un nuovo “centralismo regionale”, fatto di enti, agenzie, società regionali, che rischia di rendere vano ogni reale ed efficace decentramento.

4. – La semplificazione procedurale.

Ad una scelta di semplificazione istituzionale ed organizzativa dovrebbe corrispondere un’azione di semplificazione procedurale.
E’ forse giunto il tempo di considerare, nel contesto di problemi istituzionali fondamentali, la concreta attuazione della legge sul procedimento amministrativo, soprattutto dopo gli interventi legislativi del 2005, volti da un lato a completarne il disegno normativo, e dall’altro a “liberalizzare”, sebbene con alcune scelte contraddittorie, l’attività amministrativa. È il caso dell’ampliamento delle ipotesi di silenzio assenso e di converso l’allungamento dei tempi di conclusione del procedimento. Sono stati introdotti nell’ordinamento alcuni principi innovativi, ma non tutti hanno avuto la medesima attuazione, ed alcuni sono stati disattesi, e comunque non sembrano applicati.
In particolare, la partecipazione al procedimento è rimasta un fatto del tutto marginale, ma soprattutto ha riguardato momenti non sostanziali, nelle fasi procedimentali di minor impatto.
L’accesso riguarda momenti organizzativi e procedurali ai livelli meno elevati, costituendo un’obiettiva difficoltà per l’espletamento di procedure non particolarmente significative, mentre viene offerta particolare visibilità a soggetti ed organizzazioni costantemente alla ricerca di occasioni per evidenziare criticamente carenze spesso supposte e scorrettezze assai discutibili.
Ugualmente, la conclusione concordata del procedimento, e cioè una forma di esercizio condiviso del potere, specialmente nel suo aspetto discrezionale, non pare molto diffusa, anche perché in occasioni significative l’interesse del destinatario del provvedimento, trova comunque il modo e l’occasione per manifestarsi in forme diversamente efficaci, anche se non apprezzabili dal punto di vista formale.
L’istituto della conferenza di servizi, per contro, ha subito una progressiva evoluzione normativa, per cui attualmente assume un carattere talmente dirompente da trovare applicazione solo in casi eccezionali. La legge, infatti, permette di travolgere nel procedimento ogni attribuzione legislativa di competenza, cosicché l’organo che agisce si trova titolare di una competenza normalmente di altri, ma che il titolare originario non ha esercitato, ovvero non ha voluto esercitare, ovvero ancora ha esercitato in modo difforme da quello valutato idoneo da altri organi, titolari di altre e diverse competenze, che tuttavia hanno la possibilità di esautorare il titolare normalmente competente.
Una norma di questo tipo porta ad un sostanziale disordine nel sistema delle competenze, e pertanto ha assunto un carattere eccezionale. E del tutto eccezionale è la sua applicazione, anche perché sono prevalsi altri strumenti, evidentemente più semplici e più efficaci.
Altrettanto poco percorsa è la strada dell’informatizzazione – automatizzazione – digitalizzazione delle procedure decisionali pubbliche e dei rapporti con i cittadini, spesso considerata soltanto una possibilità e non una doverosità per l’amministrazione.
A solenni dichiarazioni di impegno non corrispondono investimenti, e conseguenti comportamenti, adeguati a realizzare una reale “teleamministrazione”. Si corre in tal modo il rischio di una riforma, come nel caso del codice dell’amministrazione digitale o del codice dei contratti pubblici, più proclamata che attuata.

5. – Le gestioni commissariali.

La quotidiana consultazione del solo indice della Gazzetta Ufficiale ci presenta un paese in costante stato di emergenza. Tali e tanti sono i provvedimenti relativi all’attività di commissari, da far ritenere che l’attività ordinaria non possa esser quella prevalente.
Non esiste, d’altra parte, uno strumento conoscitivo di semplice consultazione che ci dia un quadro delle gestioni commissariali in atto.
Perché vi sono i commissari negli enti locali, quelli del Governo secondo la legge 400, quelli previsti da leggi speciali e quelli della legge sulla protezione civile, che oggi si applica anche in occasione di “grandi eventi”. E’ difficile individuare oggi un settore di pubblico interesse nel quale non si intervenga, o non si sia intervenuto, con la nomina di commissari.
In origine, la legge sulla protezione civile era limitata nella sua applicazione ad eventi del tutto straordinari: ed anzi, metteva un limite all’intervento straordinario, poichè voleva che si approntassero dei piani, a vario livello, che al momento dell’emergenza diventavano attivi, e davano il via ad una serie di provvedimenti sostanzialmente preordinati.
Inutile dire che i piani non sono mai stati fatti, e che in ogni nuova situazione individuata, il commissario nominato ha potuto operare “in deroga” ad ogni norma, con il solo rispetto dei principi generali. Il meccanismo, oggi, è secondo la legge estensibile ad ogni situazione che il governo individui, e dichiari idonea all’applicazione del “commissariamento”. Se, eventualmente, interviene una norma, è per garantire il finanziamento dell’intervento straordinario, ma spesso si ricorre al “fondo” disponibile, che viene ampliato in modo estremamente discreto.
Smaltimento dei rifiuti, quelli normali, ma anche quelli radioattivi, passante di Mestre, da ultimo viabilità a Roma, Olimpiadi, sono occasioni per gestioni commissariali.
In questi casi non solo non si applica la legge sul procedimento, ma lo stesso commissario si improvvisa legislatore, ed emana ordinanze, ovviamente in deroga, che permettono ai soggetti destinatari di ulteriormente derogare.

6. – Conclusioni e prospettive.

L’esame, ancorché sommario, di alcuni aspetti che sembrano significativi dell’attuale situazione in cui versa la pubblica amministrazione, rende possibili alcune considerazioni di prospettiva, in modo da indicare almeno alcuni indirizzi dai quali difficilmente sembra possibile discostarsi.

In primo luogo va perseguito il lodevole intento di semplificare l’apparato normativo concernente la pubblica amministrazione, e ciò non solo provvedendo alla compilazione di opportuni testi unici ed abrogando esplicitamente norme in gran parte desuete, secondo il modello di una “legislazione alternativa”, ma anche ricorrendo agli strumenti “alternativi alla legislazione”.

Parallelamente appare opportuno introdurre criteri di semplificazione nell’organizzazione: ciò è evidente a livello centrale, ma è forse più importante nei confronti degli enti territoriali. La diffusione di strumenti informatici, che rende immediata la possibilità di reciproca informazione e confronto, attraverso comunicazioni in gran parte standardizzate, è occasione per una sostanziale semplificazione non solo procedurale, ma anche organizzativa.

Va vinta, poi, la tentazione di collegare direttamente agli organi di direzione politica strutture burocratiche settorialmente parcellizzate: ciò può sembrare al momento occasione di immediata efficacia, ma si traduce nel tempo in ingombri difficili da gestire razionalmente.

Del pari va considerato se le cosiddette amministrazioni indipendenti rispondano ancora tutte in modo adeguato alle intenzioni che hanno portato alla loro costituzione, Sommariamente appare che alcune non si differenzino nell’organizzazione e nell’attività dai tradizionali organi amministrativi: in un contesto di generale riordino potrebbero esser ricondotte ad un ruolo peculiare, magari introducendo un’opportuna previsione a livello costituzionale, anche perché non risulta più attuale la necessità di ricorrere ad organizzazioni speciali per acquisire professionalità particolari e garantire trattamento economici differenziati.

Un’attenzione speciale, poi, pare opportuna nei confronti delle cosiddette “esternalizzazioni”. Spesso è stata evitata in questo modo l’assunzione di precise responsabilità, ma soprattutto sono stati introdotti artifici finanziari che non solo non giovano alla trasparenza, ma talvolta introducono delle disparità di trattamento del tutto prive di giustificazione.

La proliferazione di nuovi enti, non più pubblici, ma formalmente di natura privata, quali società commerciali, o con più sottile ingegno fondazioni, spesso di diritto speciale, ma comunque estranee alla pubblica amministrazione, o con questa vincolate convenzionalmente, costituisce un fenomeno da non sottovalutare. In questo modo, infatti, mentre si enfatizza l’applicazione generale di una legge sul procedimento, si rendono possibili comportamenti non classificabili, che sfuggono ad un controllo puntuale, per venir denunciati con ritardo annuale dalla Corte dei conti, senza conseguenza alcuna.

L’insofferenza nei confronti di procedure formali, che è evidenziata non solo nelle gestioni commissariali, ma nell’esternalizzazione, nelle “false” amministrazioni indipendenti, ed in generale costituendo organi nuovi, mostra in effetti la difficoltà di mantenere nella pubblica amministrazione l’impegno circa la distinzione tra attività politica e attività gestionale.

Ciò non sarebbe necessario se trovasse diffusione una diversa cultura, vuoi tra i politici, vuoi tra i dirigenti: alcune norme più precise e stringenti potrebbero essere opportune, ma, non disponendo di strumenti per agire sulla cultura del personale politico, appare possibile prevedere adeguate occasioni di formazione per il personale della pubblica amministrazione, non solo sotto l’aspetto professionale, ma con riguardo all’impegno morale, e ciò non attraverso prediche superficiali, ma attraverso un approccio culturalmente appropriato, e la creazione di un adeguato ed efficiente sistema della formazione pubblica.

La misurazione dell’azione amministrativa, la valutazione del livello qualitativo dei servizi resi alla collettività, sono oggi considerati dimensioni rilevanti dell’azione di riforma e rinnovamento della pubblica amministrazione.
Pertanto, le amministrazioni devono impegnarsi ad individuare metodologie di analisi e strumenti che consentano di migliorare l’organizzazione dei processi interni per assicurare una consonanza tra domanda e offerta di servizi.
La necessità di orientare le Amministrazioni Pubbliche verso una gestione valutabile e misurabile dovrà essere uno dei cardini del processo di riforma delle stesse. Il superamento dei modelli organizzativi precedenti, che vedevano nella conformità alle norme il principale criterio di valutazione dell’operato pubblico, deve orientare l’amministrazione a sviluppare la capacità di soddisfare le esigenze della collettività in modo efficiente ed efficace.

Infine, a fronte della diversificazione dei compiti attributi alle amministrazioni la costruzione di un funzionante ed efficace sistema amministrativo richiede la creazione di un sistema di condivisione delle informazioni al fine di rendere comparabili e misurabili le scelte effettuate dagli attori pubblici, e al contempo di supportare le azioni di policy making.

di Fabio Severo Severi