L’Amministrazione sta cambiando? Come verificare l’effettività delle riforme – Resoconto convegno

31.10.2006

20 ottobre 2006
Villa Umbra – Perugia

Il 20 ottobre 2006, si è tenuto presso Villa Umbra, Pila – Perugia, il convegno sul tema “L’Amministrazione sta cambiando? Come verificare l’effettività delle riforme”, in occasione del quale sono stati presentati i risultati della ricerca FIRB “Una verifica dell’effettività dell’innovazione nella pubblica amministrazione: organizzazione, trasparenza e risultato”.

Ha presieduto: Sabino Cassese;
Relatori: Francesco Merloni, Roberto Segatori, Alessandra Pioggia, Enrico Carloni.
Discussants: Ernesto D’Albergo, Gianfranco D’Alessio, Ugo Campese, Francesca Gagliarducci.

Francesco Merloni – La distinzione tra indirizzo politico e gestione amministrativa.

Il convegno è stato organizzato per la presentazione dei risultati della ricerca FIRB “Una verifica dell’effettività dell’innovazione nella pubblica amministrazione: organizzazione, trasparenza e risultato”, in cui si è tentato di ricostruire un bilancio dell’attuazione delle riforme amministrative con un approccio interdisciplinare. L’indagine si è concentrata su un numero di dodici amministrazioni, che, sebbene non costituiscano un campione, hanno consentito di verificare se e quali fossero stati i punti di applicazione delle riforme amministrative.

La tematica del rapporto tra politica e gestione amministrativa è stata affrontata sia nella generale ottica della distinzione tra indirizzo e gestione, sia nello specifico caso dello spoil system. Dalla ricerca effettuata è emerso che tutte le amministrazioni rispettano, dal punto di vista formale, la distinzione tra indirizzo e gestione, ma questo principio subisce degli “aggiramenti” attraverso interventi diretti della politica nella gestione, in particolare:
a) attraverso gli uffici di diretta collaborazione;
b) attraverso le figure di vertice, la cui nomina avviene sulla base di criteri fiduciari ed i cui poteri sono di coordinamento puntuale, instaurando relazioni di tipo gerarchico;
c) attraverso le modifiche organizzative, dove può avvenire una modificazione dell’articolazione degli uffici o della trasformazione della natura giuridica di una struttura vigilata, per realizzare una rotazione o una rimozione degli incarichi;
d) attraverso il potere di nomina e di revoca degli incarichi dirigenziali (di tipo professionale), dove il potere politico esercita una forte pressione, anche aggravato dall’assenza di una durata minima dell’incarico dirigenziale predisposta dalla legge n. 145/02 (termine ripristinato dalla legge del 17 agosto 2005, n. 168).

Si segnala inoltre un uso distorto dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/01 nell’affidamento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione, non legato all’assenza di una professionalità interna all’amministrazione, ma legato ad una spiccata connotazione fiduciaria, tanto da risultare coinvolto degli nello spoil system, (si veda la previsione dell’art. 41 del decreto legge del 3 ottobre 2006, n. 262 – “Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria).

Con particolare riferimento allo spoil system è possibile affermare, che, la distinzione tra politica ed amministrazione non è morta, ma di certo non gode di buona salute; ci si riferisce in particolare alla sentenza n. 233/06 della Corte Costituzionale, che, sebbene non costituisca una piena copertura di un sistema di spoils system generalizzato, presenta limiti gravi. La Consulta, infatti, conferma la validità dello spoil system per le posizioni dirigenziali che implicano un rapporto fiduciario, ma non afferma con certezza che tutte le posizioni che comportano l’adozione di atti amministrativi e di gestione dovrebbero essere sottratte allo spoil system.

Roberto Segatori – Politici e burocrati nell’amministrazione.

Le riforme amministrative sono suscettibili di almeno tre chiavi di lettura: a) su un piano giuridico in senso stretto; b) su un piano sociologico di medio livello; c) su un piano sociologico di ampio raggio. Il problema che il sociologo si pone non è se la norma giuridica è o non è applicata, ma perché la norma giuridica è o non è applicata.
La pubblica amministrazione è stata per oltre 150 anni costruita e concepita come un monolite e solo negli ultimi 15 anni si è tentato di apportare delle modifiche. Più in dettaglio, per oltre un secolo la costruzione del modello di pubblica amministrazione era stato influenzato da una scelta di Stato di tipo centralistico, la burocrazia era volta a soddisfare la domanda occupazionale della borghesia e si assisteva ad una fidelizzazione acritica alla politica (da parte dei burocrati). Negli ultimo 15 o 20 anni lo scenario ha subito dei mutamenti per due macro fenomeni:
– il primo esterno, si è assistito ad un progressivo fenomeno di decentramento e alla concezione di una nuova governance;
– il secondo interno, legato alla nuova concezione di new public management orientato ai risultati.
Nei fatti la ricerca rileva come l’amministrazione non abbia assunto un modello uniforme, ma abbia proprie connotazioni peculiari in ciascuna amministrazione e negli spazi di autonomia “legislativa” dei dirigenti emergono numerosi condizionamenti.

Alessandra Pioggia: La managerialità nella gestione amministrativa.

Oggi i dirigenti operano in una dimensione in cui le risorse sono più ridotte e sono chiamati a raggiungere dei risultati, operando anche con le capacità ed i poteri del privato datore di lavoro (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165/01). La privatizzazione di parte dell’attività dirigenziale è suscettibile di alcune particolarità perché si innesta in un sistema pubblico, così per la dirigenza pubblica occorrerà tener distinti la posizione di organo da quella di manager, come per l’organizzazione si è proceduto ad una separazione tra macro-organizzazione e micro-organizzazione.
Il dirigente pubblico si trova dunque ad operare in uno spazio autonomo, di piena discrezionalità, delimitato dall’esterno dalla disposizione di interessi pubblici. Nello spazio di autonomia sarà possibile affermare che non c’è una sola scelta valida ed ottimale per la risoluzione di una questione, ma esisteranno una pluralità di scelte che sarà possibile effettuare, ben potendo nelle medesime condizioni operare scelte diverse. In questo quadro è necessario investire sulle capacità individuali/professionali dei dirigenti. Tra gli indicatori su cui verificare il funzionamento dell’apparato amministrativo possiamo ricordare:
a) la mancata ingerenza della politica nella micro-organizzazione;
b) la gestione del personale;
c) i rapporti con il sindacato;
d) la qualità degli atti di indirizzo;
e) gli strumenti della managerialità;
f) la qualità degli atti dirigenziali;
g) le relazioni interne;
h) la valutazione della dirigenza.

Con particolare riferimento a quest’ultimo elemento si fa presente che allo stato attuale emerge una presenza esclusivamente formale del sistema di valutazione della dirigenza pubblica, ma occorre lavorare per un reale funzionamento del sistema in questione, sia ancorandolo al conferimento degli incarichi che al sistema di retribuzione di risultato.

Enrico Carloni – Imparzialità e rapporto con gli interessi.

L’imparzialità si pone quale nodo centrale e problematico con cui valutare le riforme avvenute nell’amministrazione italiana a partire dal 1992. Il modello del 1992 nasce in un contesto in cui emerge una crisi della politica e si avverte l’esigenza di individuare una specifica responsabilità in capo agli operatori. La dimensione di imparzialità esterna è garantita dalle norme, sul versante dell’imparzialità interna dunque sul piano dell’organizzazione, il modello di distinzione della politica dall’amministrazione è messo in crisi dalla continua ricerca di nuove strade da parte della politica per imporre la propria volontà alla dirigenza (si ricorda in particolare l’accentuarsi della fiduciarietà, che incide sull’imparzialità riproponedo il cassessiano scambio sicurezza contro potere). Si è inoltre indebolito il modello di responsabilità disciplinare a seguito dell’intervenuta privatizzazione della responsabilità, con ripercussioni sul codice di comportamento. L’indagine effettuata non consente di individuare elementi univoci, ma dalla relazione della Corte dei Conti nella gestione dei procedimenti disciplinari emerge che la funzione disciplinare è collegata principalmente al sorgere di procedimenti penali in capo alla dirigenza pubblica.

Discussants:

Ernesto D’Albergo: La ricerca effettuata ha un approccio top down all’analisi dei processi decisionali ed attuativi nel settore pubblico. Dalle analisi empiriche nell’ambito della policy science e della sociologia dell’organizzazione amministrativa non è dimostrato che, pur in presenza di una distinzione normativa di ruoli, si assista ad una drastica separazione tra il momento decisionale ed il momento gestionale, e che tale separazione produca l’effetto di migliorare l’efficacia dei processi politici ed amministrativi. Gli scostamenti del modello e la loro varianza dipendono da una parte da una tensione latente al controllo politico sull’intero arco delle decisioni di cui è fatta l’azione e l’organizzazione amministrativa e dall’altra dalla fungibilità degli strumenti attraverso cui viene aggirato il modello. Si può ipotizzare che le differenziazioni locali dipendano da variabili indipendenti, tanto da condurre a proporre interventi non uniformi, ma indirizzati a target specifici.
Il modello della separazione tra politica ed amministrazione è correlato al principio dell’orientamento dell’azione al risultato, tuttavia non è facile ricostruire empiricamente un nesso causale tra effettività della distinzione dei ruoli ed orientamento al risultato; sicché il rischio di una deriva particolaristica nel rapporto tra i risultati amministrativi e una micro- gestione politica degli interessi attraverso il controllo politico della burocrazia dovrebbe essere soppesato tenendo contro del coinvolgimento degli interessi sociali come attuatori e codecisori delle politiche, attraverso esternalizzazione, outsourcing, sussidiarietà orizzontale. Per lo studio di questi fenomeni si consiglia la prospettiva bottom–up , che permette di stabilire quali mutamenti dipendano dalle riforme e quali da altri fattori.

Gianfranco D’Alessio: Quando parliamo di politica ed amministrazione è possibile verificare la debolezza del modello di analisi basato sulla formazione della legge cui segue la fase di attuazione. L’analisi dell’attuazione della normativa sulla contrattualizzazione della dirigenza pubblica ha fatto emergere che i modelli sono stati utilizzati in maniera distorta (si veda l’uso del ruolo unico, dello spoils system, dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/01) e strumentalizzati. Le norme di accompagnamento alla finanziaria sono un residuo di un tentativo di “ruolizzare” tutti gli incarichi esterni a tempo determinato; anche se, su un altro versante, in sede di prima applicazione, si può comprendere che vi sia un fenomeno di spoils system, certo tale sistema non può rimanere in vigore “a regime”. I particolari insuccessi che hanno riguardato l’attuazione della normativa sulla dirigenza pubblica derivano da ragioni metagiuridiche; come emerge dalla ricerca, sulla carta il grado di attuazione sembra raggiunto con soddisfazione a seguito della riscontrata presenza di regole normative diffuse; ma non è così in realtà. I problemi risiedono nel modo di pensare dei protagonisti: i politici ritengono che l’amministrazione sia uno strumento da piegare ai loro fini, conducendo a individuare nella distinzione tra politica ed amministrazione il modo per “scaricare” la responsabilità sulla dirigenza senza fornirla di reale autonomia. D’altro canto la dirigenza pubblica non ha rivendicato la propria autonomia gestionale. Molti dirigenti hanno difficoltà ad adattarsi alla figura manageriale, manca una consapevolezza del proprio ruolo. Dove esistono corpi di dirigenza consapevoli del proprio ruolo (si vedano i prefetti o i diplomatici), la temporaneità degli incarichi e la rotazione nell’assunzione degli stessi è vista come una opportunità di crescita professionale; questo medesimo atteggiamento non può dirsi riscontrato nella dirigenza statale. Sebbene l’attuazione della normativa abbia presentato molti limiti, il ritorno al modello pubblico non è ne realistico ne opportuno. Occorrerà, oltre che lavorare sul rafforzamento della privatizzazione del lavoro pubblico, migliorare i sistemi di accesso e di formazione della dirigenza pubblica, al fine di favorire un ricambio generazionale e creare un corpo di manager pubblici consapevoli del proprio ruolo.

Ugo Campese: Dai risultati della ricerca emerge la necessità di migliorare il sistema del pubblico impiego. Non è però detto che la strada della privatizzazione sia quella migliore per il perseguimento dell’interesse pubblico. Emergono oggi rilevanti problemi legati alla fiduciarietà degli incarichi, alla assenza di sostegno negli apparati in relazione alla formazione. Occorrerà creare un corpo di dirigenti autonomi e consapevoli sul modello delle grandi scuole europee.

Francesca Gagliarducci: Lo scenario che si prospetta a chi osservi le riforme della dirigenza pubblica non è confortante, perché emerge un forte scostamento tra la normativa ed il momento attuativo; manca una reale distinzione tra indirizzo e gestione, non si effettua una programmazione e questa non si accompagna ad un sistema di controllo direzionale. Il sistema di controlli interno non viene praticato dalle amministrazioni, né con riferimento ai controlli interni sui costi, né con riferimento al sistema di valutazione dirigenziale. Con riferimento poi al momento del conferimento dell’incarico dirigenziale, può affermarsi lo svuotamento del momento della contrattazione: non solo si individuano con decreto gli obiettivi (dunque non a seguito di accordo bilaterale), ma è assente la contrattazione anche con riferimento alla retribuzione. In futuro occorrerà lavorare prima di tutto sulla cultura e sulla presa di coscienza del proprio ruolo da parte degli attori sia da parte dei politici che dei dirigenti, e successivamente lavorare per una effettività della contrattazione nel momento del conferimento degli incarichi (legati anche alla trasparenza nell’affidamento degli stessi) e ad un efficace sistema di valutazione.

Conclusioni – Sabino Cassese: In questi quindici anni di riforma abbiamo assistito al tentativo di operare:
– la distinzione tra politica ed amministrazione, che è stata proclamata, ma non attuata;
– la creazione di una nuova managerialità, ma l’aver precarizzato il manager, unitamente alla circolarità tra politica ed amministrazione, che permette l’accesso dei funzionari alla politica con il cumulo delle funzioni, ha creato continue interferenze;
– il riordino delle funzioni, tra il 1997 ed il 2001 è emerso un diverso riparto tra centro e periferia, che ha però condotto ad una grande conflittualità tra Stato e Regioni;
– la riduzione dei corpi centrali (ministeri), anche se oggi si assiste ad una nuova proliferazione degli stessi;
– il nuovo assetto del personale, ma la contrattualizzazione sebbene sia stata realizzata, non è stata accompagnata dall’attuazione della mobilità per la distribuzione del personale in relazione al carico delle funzioni;
– la riforma della finanza, ma se la riforma mirava a rendere visibili le decisioni politiche, inserendole tutte nella legge finanziaria, oggi si assiste ad una finanziaria che viene sovraccaricata di tutte le decisioni;
– l’innovazione del procedimento amministrativo, ed in tale direzione possiamo riscontrare che la normativa legata al rapporto tra cittadini ed amministrazione ed alla partecipazione del cittadino nel procedimento amministrativo ha avuto successo;
– l’innovazione del sistema dei controlli, ma si è operato nel senso si sopprimere molti degli stessi, anche a seguito della modifica del Titolo V, parte seconda Cost., non sempre valutabile positivamente.
Molte di queste riforme hanno visto, in fase attuativa, un forte passo in dietro, ed oggi occorre chiedersi dove abbiamo sbagliato. Le riforme in Francia sono prodotte nell’amministrazione, vi è una elaborazione interna, ciò non sembra avvenire in Italia, dove tutti i riformatori hanno sottovalutando il controllo delle convenienze degli interessati. In Italia, quando le riforme “calate dall’alto” non vengono applicate dall’amministrazione, si procede ad una nuova riforma, ma questo modo di operare non è positivo, deve invece ricercarsi un consenso interno, puntare alla continuità e al miglioramento dei luoghi di formazione della élite amministrativa.


Daniela Bolognino