L’Avvocato Generale Poiares Maduro, nelle Conclusioni relative alla causa C- 463/04, ha sostenuto che la normativa nazionale che autorizza un ente pubblico a conservare il potere di nominare la maggioranza assoluta dei membri del consiglio di amministrazione di un’impresa in cui tale ente pubblico detiene una quota azionaria di minoranza, costituisce una restrizione della circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 del Trattato CE.
Il fatto che i poteri di nomina si fondino su una disposizione di diritto privato (nel caso di specie combinato disposto dell’articolo 2449 del codice civile con l’art. 4 della legge n. 474/1994) non osta all’applicazione dell’art. 56 CE.
In merito occorre osservare che, al fine di stabilire se la libera circolazione dei capitali sia limitata quando lo Stato fruisce di speciali poteri in una società, è indifferente come tali poteri siano concessi o quale forma giuridica essi assumano. Il fatto che uno Stato membro agisca nell’ambito del suo diritto nazionale delle società non significa che i suoi poteri speciali non possano costituire una restrizione ai sensi dell’art. 56 CE . In caso contrario, gli Stati membri potrebbero facilmente sottrarsi all’applicazione dell’art. 56 CE, sfruttando la loro posizione di azionisti per ottenere nell’ambito dei rispettivi regimi civilistici quanto avrebbero altrimenti potuto ottenere attraverso l’uso di poteri normativi.
Gli Stati membri siano tenuti al rispetto delle previsioni del Trattato relative alla libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali quando non operano nell’esercizio del loro potere pubblico. Essi infatti sono soggetti alle norme sulla libera circolazione, di cui essi sono chiaramente destinatari, non a causa della loro qualità funzionale come autorità pubblica, ma tenendo conto della loro qualità di firmatari del Trattato. Ne consegue, pertanto, che le disposizioni relative alla libera circolazione impongono degli obblighi alle autorità nazionali degli Stati membri, senza che rilevi la qualità di autorità pubblica o di soggetto privato con cui operano. In linea di principio, quindi, un ente pubblico non può far valere l’argomento che il suo operato sia di natura sostanzialmente privata al fine di eludere l’applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione.
Il principio della libera circolazione dei capitali ha l’obiettivo di favorire l’apertura dei mercati nazionali con l’opportunità offerta ad investitori ed imprese in cerca di capitali di fruire appieno del mercato interno comunitario. Al fine di raggiungere tale obiettivo, si chiede agli Stati membri di considerare gli effetti del loro operato con riguardo agli investitori stabiliti in altri Stati membri che desiderino esercitare il loro diritto alla libera circolazione dei capitali.
La semplice circostanza che un ente pubblico detenga quote azionarie di una società non riduce l’attrattiva di investimenti transfrontalieri in tale impresa fintantoché gli investitori di altri Stati membri hanno la certezza che l’ente pubblico in questione, nella prospettiva di massimizzare gli utili derivanti dagli investimenti, rispetti le normali regole di funzionamento del mercato. Tuttavia, gli enti pubblici, essendo responsabili politicamente a livello locale o nazionale, tendono naturalmente ad adattare la loro linea di condotta agli interessi dei soggetti che rappresentano e verso cui sono responsabili. Pertanto, qualora un ente pubblico sia in possesso di azioni che lo pongono in una situazione privilegiata rispetto ad altri azionisti per quanto concerne i poteri di controllo dell’impresa interessata, sussiste il rischio effettivo che tali poteri possano essere utilizzati per garantire un accesso selettivo e potenzialmente discriminatorio al mercato nazionale.
Gli Stati non sono autorizzati a limitare selettivamente l’accesso degli operatori di mercato a tale settore di mercato. Nel caso della privatizzazione di imprese già appartenenti allo Stato, tale esigenza è particolarmente importante. Se lo Stato fosse autorizzato a mantenere forme speciali di controllo di mercato su imprese privatizzate, esso potrebbe facilmente eludere l’applicazione delle norme sulla libera circolazione garantendo soltanto un accesso selettivo e potenzialmente discriminatorio a parti sostanziali del mercato nazionale. Tali forme di controllo potrebbero di conseguenza scoraggiare investimenti provenienti da altri Stati membri.
Pertanto, quando lo Stato privatizza un’impresa, la libera circolazione dei capitali esige che l’indipendenza economica di tale impresa sia tutelata, a meno che non occorra salvaguardare interessi pubblici fondamentali riconosciuti dal diritto comunitario. In tal modo, qualsiasi controllo statale di un’impresa privatizzata che esuli dal normale meccanismo di mercato deve essere collegato allo svolgimento di attività di interesse economico generale associate a detta impresa.
Di conseguenza, una normativa nazionale, in forza della quale solo lo Stato e gli enti pubblici possono fruire di poteri speciali, equivale, per definizione, ad una restrizione della circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 56 CE. Questo è il caso non solo delle disposizioni legislative che conferiscono poteri speciali direttamente allo Stato, ma anche della normativa nazionale che, specificamente a favore dello Stato, consente che tali poteri siano inseriti nello statuto societario.
L’applicazione di tale normativa nazionale rappresenta uno scostamento dalla «normale applicazione della normativa sulle società» in quanto essa riserva allo Stato una posizione di privilegio rispetto agli altri azionisti. In tali circostanze, l’argomento che gli azionisti privati potrebbero, in teoria, ottenere privilegi analoghi in virtù della disciplina generale in materia di diritto societario, è irrilevante .
Conclusioni A.G. Poiares Maduro, nella causa C- 463/04.