Bari, 10 giugno 2006
Dopo una breve presentazione dell’editore, dott. Giuseppe Laterza, la Prof. DE CARO riprende il tema oggetto dell’incontro, le parole illuminanti della costituzione, che simbolicamente, ricordando la parabola delle vergini, definisce “lampade delle vergini, che devono restare sempre accese in presenza della notte e del giorno, del presente e del futuro”. A proposito della necessità di far conoscere e mantenere viva la Costituzione, ricorda la frase detta dal Prof. Prosperi in occasione della conferenza tenutasi in occasione della festa della Repubblica, il 2 giugno scorso, che, ricordando le parole dell’ex. Presidente Ciampi sulla Costituzione come “bibbia civile”, si era chiesto se gli Italiani abbiano mai letto la bibbia. Tra Costituzione e vecchio e nuovo testamento, si troveranno molte parole comuni, valori che confluiscono verso un “patrimonio costituzionale che è alleanza tra le persone”, “quel concetto di persona e non di cosa che è il più straordinario prodotto del diritto romano, del cristianesimo e della storia dell’Occidente”. Sempre in quest’ottica, la prof. De Caro ricorda la il secondo comma della 18esima disp. trans. e finale “il testo costituzionale è depositato nella sala comunale di ciascun Comune della repubblica per rimanervi esposto durante tutto l’anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione” per auspicare che, dopo questa notte profonda del referendum, ricordando Shakespeare “passato l’inverno del nostro scontento”, si apra una primavera, che significhi capire e conoscere la costituzione, ciò che Terracini, presidente dell’assemblea, definiva “un patto di amicizia e di fraternità di tutto il popolo italiano al quale l’assemblea affida la costituzione perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore”. In ordine all’importanza di queste ultime due espressione “custode severo” e disciplinato realizzatore”, la Relatrice ricorda altre 2 straordinarie ed illuminanti parole della costituzione, presenti nell’art. 54 Cost, ove si prescrive, oltre al dovere di fedeltà alla repubblica, “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con ‘disciplina’ e ‘onore’”. La disposizione non si riferisce solo ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, ma “tocca a tutti i cittadini”, e ciò anche alla luce dell’art. 118 Cost, così come novellato dalla riforma del titolo V della seconda Parte della costituzione del 2001, che prescrive che tutte le componenti della repubblica “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, palesando così una “straordinaria responsabilità che unisce ciò che sembrava distinto, pubblico e privato, in una comunità”.
La prof. De Caro, nell’introdurre il programma della giornata, instaura un dialogo con il Prof. Volpe, a cui chiede di introdurre queste “parole nuove della costituzione, che nuove non sono” perché introdotte recentemente dall’Unione Europea la quale a sua volta non ha fatto altro che estrapolarle dal patrimonio antico europeo, ovvero “sussidiarietà”; “adeguatezza”, “differenziazione”.
Nel prendere la parola il Prof. VOLPE osserva, in via preliminare, come sia bello ed importante che ci si incontri in un teatro per parlare di costituzione per due ragioni essenziali, in primo luogo perché a suo modo di vedere esiste un “feeling sotterraneo tra i cicli dell’arte ed i cicli delle costituzioni” e per esemplificare questa coniugazione continua tra vita civile, culturale ed artistica ricorda come la costituzione tedesca di Weimar del 1919, nel tentativo di trasformare la società, trae ispirazione dalla stessa scuola Bauhaus mitteleuropea che valorizzava, per l’appunto, la trasformazione della materia, ed ancora il teatro come luogo ospitante importanti trasformazioni costituzionali1.
Rimanendo in tema di trasformazioni costituzionali, Volpe ricorda ancora, la “singolare beffa della storia” rappresentata dal fatto che il 25 giugno 2006, giorno del referendum, coincide con il 25 giugno 1946, data della prima adunanza dell’assemblea costituente presieduta da Vittorio Emanuele Orlando.
Il relatore richiama il pensiero del Prof. Zagrebelsky ovvero che la costituzione è un “testo responsivo”, richiede di essere interrogato, vuole continuamente offrire la sua risposta, da essa possiamo tirare una infinità di contenuti impliciti, sempre attuali, sempre vivi, quindi la costituzione “non vive separata da noi”.
Il “linguaggio”, così come lo “spirito” delle costituzioni è un linguaggio “sinfonico”, si compone di strumenti che si possono apprezzare proprio in quanto suonano tutti insieme, (l’unità nazionale e il principio dell’autonomia, i diritti e dei doveri) questo grande concerto in cui ogni strumento suona la sua musica ma al tempo stesso si raccorda in perfetta coralità con gli altri. Il linguaggio non è solo normativo ma carico di significati, di principi e di valori, essa non è solo un testo normativo perché nasce dal sacrificio di molte centinaia di migliaia di uomini, come ricorda Piero Calamandrei nel suo discorso agli studenti milanesi del 1955. Il modo in cui le costituzioni si esprimono è reso, ad esempio, dal prof. Zagrebelsky, nel suo libro “Il diritto mite”, ove si sottolinea come esse “vogliono persuadere”, cosicché principi valori sono il fondamento delle costituzioni, le parole illuminanti.
Per quanto concerne le parole illuminanti di recente acquisizione della Costituzione, ed in particolare il principio di sussidiarietà, principio di derivazione cattolica e di acquisisizione socialista, la cui regola espressa è “costruire dal basso” salvo che sia effettivamente dimostrato che l’assolvimento dei compiti sia meglio perseguito ad un livello superiore, il Relatore sottolinea come questo principio sia “tutt’uno con il principio democratico”.
A tal proposito rileva che il “limite di impostazione” sofferto dalle costituzioni liberali dell’800 è l’essere state concesse, ottriate, al contrario delle costituzioni c.d. razionalizzate, la cui parlamentarizzazione degli interessi è stata magnificamente esplorata da M.S. Giannini, le costituzioni democratiche e pluralistiche del secondo dopo guerra i cui mattoni fondanti sono i diritti e le libertà. Questa “inversione di marcia”, non più dall’alto verso il basso, ma dal basso verso l’alto, questa “coralità di costruzione è la grande stagione delle costituzioni pluralistiche e democratiche. Pertanto, al contrario di una costituzione concessa, una costituzione che viene dal basso è una costituzione che si rifà sempre dalle fondamenta perché al basso c’è un qualche cosa che è “l’inesauribile energia civile che rifeconda continuamente la costituzione” e questo è un punto fondamentale.
In questa dimensione costituzionale il nostro lavoro di cittadini è un lavoro estremamente complesso perché, precisa il Relatore “senza la consapevolezza della cittadinanza non c’è futuro per la costituzione”. In questa prospettiva, il principio di sussidiarietà ricopre “una dimensione complessa creativa, fondante”, non si esaurisce nella sua accezione verticale, e nel concretizzare un disegno già scritto nei principi fondamentali della nostra costituzione, ovvero nel principio della unità e indivisibilità della repubblica affiancato dal principio in apparenza contraddittorio ma in realtà complementare e dialettico del riconoscimento e promozione delle autonomie locali: “l’ unità non cade dall’alto, l’unità è qualche cosa che si acquisisce, incontrandosi, scontrandosi, dialogando, partecipando, mettendo a confronto gli interessi, l’unità è un punto di arrivo non di partenza, se è un punto di partenza è autorità se è un punto di arrivo allora è qualche cosa di condiviso.”
Nel parlare delle parole che ci vengono dal linguaggio comunitario, Volpe ricorda come oggi le costituzioni vivano “con le porte aperte”, non più nelle singole dimensioni nazionali ma comunicando continuamente fra di loro e “scambiandosi la fruttuosità costituzionale”, c’è una “vita trasversale e parallela delle costituzioni a porte aperte” che è una cosa di grande interesse. In una dimensione integrata ed europea, ovvero la grande dimensione del costituzionalismo a porte aperte, ci vengono forti novità a cui noi siamo perfettamente preparati. questo è il punto, “ecco come il patrimonio del passato si salda alla novità importante del presente perché il principio di sussidiarietà ovviamente si porta appresso il principio di proporzionalità e ci farà scoprire a tutto tondo che la costituzione è convivenza, che la convivenza vuole la proporzionalità e la adeguatezza e la trasparenza del modo di approccio ai problemi”.Quindi l’integrazione europea costituisce un’occasione fortunata, perché ci dà una spinta ad approfondire le “chiavi originarie e validissime del nostro carattere costituzionale”.
In conclusione, la Prof. De Caro, riprende il concetto di costituzione come testo “responsivo” immerso nella dimensione comunitaria, e rileva come nella nostra costituzione “non c’è la parola identità” e questo significa che “la costituzione è una profezia, è aperta ad un futuro che già l’unione europea interpreta e propone con quella frase che è il suo motto ovvero “unità nella diversità”.
In tempi difficili di globalizzazione, ove grandi organizzazioni economiche, criminali e finanziarie si dividono il mondo, noi possiamo e dobbiamo interrogare le nostre costituzioni, che hanno radici nel passato, per “capire il futuro che ci propongono e trovare una risposta alla nostra indifferenza, al nostro disagio”.
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1 Il riferimento è, da un lato, al teatro verdiano, quando i nobili milanesi mandarono alla Scala, in presenza dell’imperatore, i loro servitori per testimoniare che si andava verso il risorgimento; e, dall’altro, al teatro pugliese, ove nel 1944 riprese la discussione sulla costituzione.