In materia di prorogatio Corte costituzionale, sentenza 20 aprile-5 maggio 2006, n. 181

13.04.2006

Corte costituzionale, sentenza 20 aprile-5 maggio 2006, n. 181

La Corte si è pronunciata su vari ricorsi promossi dal Governo contro alcune leggi delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria. Risultano impugnati: l’art. 1 della legge regionale della Toscana 22 ottobre 2004, n. 56, recante «Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per l’organizzazione del servizio sanitario regionale)»; l’art. 59 della successiva legge regionale della Toscana 24 febbraio 2005, n. 40 (Disciplina del servizio sanitario regionale), che riproduce il contenuto dell’art. 1 della legge n. 56 del 2004 (norma abrogata proprio dalla legge n. 40 del 2005); l’art. 8, comma 4, della legge regionale dell’Emilia-Romagna 23 dicembre 2004, n. 29 (Norme generali sull’organizzazione ed il funzionamento del servizio sanitario regionale); l’art. 1 della legge regionale dell’Umbria 23 febbraio 2005, n. 15 (Modalità per il conferimento di incarichi di struttura nelle Aziende sanitarie regionali). Inoltre, con due dei quattro ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ulteriori questioni di legittimità costituzionale con riguardo agli artt. 2, comma 1, lettera b), e 8, comma 3, della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 29 del 2004, e all’art. 139 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005.
La Corte non ritenendo fondate le altre questioni, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 139 della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 40, secondo cui gli organi dell’Agenzia regionale di sanità, disciplinata dal precedente art. 82 della medesima legge, «in carica al momento dell’entrata in vigore della presente legge, restano in carica fino all’entrata in vigore della legge di revisione dell’ARS». La norma regionale impugnata non è conforme ai principi in tema di prorogatio degli organi amministrativi, desumibili dall’art. 3 del decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, secondo cui “ogni proroga, in virtù dei principi desumibili dal citato art. 97 della Costituzione», può «aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa indicati”. Dunque, essa viola il parametro di cui all’art. 97 della Costituzione. La Corte, ritiene che il citato decreto-legge abbia provveduto a dettare la disciplina generale della prorogatio degli organi amministrativi, identificando alcuni «principi generali», tra cui la «cessazione delle funzioni degli organi alla scadenza del loro termine di durata», la «indicazione di un ragionevole periodo di proroga, per consentirne la rinnovazione, durante il quale l’organo scaduto può compiere solo atti di ordinaria amministrazione»; la «previsione di un regime sanzionatorio invalidante gli atti esorbitanti da tale limite»; l’«obbligo della ricostituzione dell’organo entro una data anteriore alla scadenza del periodo di proroga»; la «definitiva decadenza degli organi scaduti dal momento di questa cessazione» e nell’«assoggettamento ad un regime sanzionatorio di tutti gli atti emanati successivamente» . A tali principi non si attiene la norma impugnata, in particolare a quello che fissa in non più di 45 giorni il periodo di durata della proroga.

a cura di Rosella Di Cesare