Corte di Giustizia: ulteriori precisazioni sui limiti dell’affidamento “in house”. (Corte di Giustizia della Comunità Europea, Sez. I, 6/4/2006, in causa C-410/04).

06.04.2006

Corte di Giustizia della Comunità Europea, Sez. I, 6/4/2006, in causa C-410/04.
La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale sottopostale dal TAR Puglia il quale chiedeva di chiarire se doveva considerarsi «compatibile con il diritto comunitario, ed, in particolare, con gli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, l’art. 113, comma quinto, D.Lgs. n. 267/00, come modificato dall’art. 14 D.L. n. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta dell’Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in particolare, tra l’affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto a società da essa interamente controllata», torna nuovamente sulla questione riguardante i requisiti necessari ai fini della qualificazione di affidamento “in house” conforme al diritto comunitario.
Nella pronuncia, la Corte osserva come il servizio oggetto dell’affidamento diretto – servizio di trasporto pubblico locale – sia finanziato, almeno in parte, con l’acquisto di titoli di trasporto da parte degli utenti e, quindi, attraverso un sistema di finanziamento che, secondo quanto affermato nella sentenza Parking Brixen (cfr. sentenza 13 ottobre 2005, in causa C-458/2003I), caratterizza la concessione di servizi pubblici.
In tale linea di ragionamento, si rileva che sebbene sia pacifico che le concessioni di servizi pubblici debbano ritenersi escluse dall’ambito di applicazione delle direttive che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (cfr. quanto espressamente affermato nella stessa sentenza Parking Brixen (punto 42) e nell’articolo 17 della Direttiva 2004/18/CE), anche per «i contratti di concessione di servizi pubblici…le pubbliche autorità…sono, tuttavia, tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato CE in generale, e il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità in particolare (sentenze 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress, Racc. pag. I-10745, punto 60; 21 luglio 2005, causa C-231/03, Coname, Racc. pag. I-7287, punto 16; e Parking Brixen, cit., punto 46)».
In tale prospettiva, quindi, la Corte osserva come «in linea di principio, l’assenza totale di procedura concorrenziale per l’affidamento di una concessione di servizi pubblici, come quella di cui alla causa principale, non è conforme alle esigenze di cui agli artt. 43 CE e 49 CE, e nemmeno ai principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza».
Tuttavia, la non conformità al Trattato deve escludersi, anche nel settore delle concessioni di servizi pubblici, così, come avviene per gli appalti pubblici se, allo stesso tempo, il controllo esercitato sul concessionario dall’autorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, e se detto concessionario realizza la parte più importante della propria attività con l’autorità che lo detiene (sentenza Parking Brixen, cit., punto 62).
In coerenza con tale ricostruzione, la Corte afferma che «una normativa nazionale che riprenda testualmente il contenuto delle condizioni indicate al punto precedente, come fa l’art. 113, quinto comma, del D.Lgs. n. 267/2000, come modificato dall’art. 14 del D.L. n. 269/2003, è in linea di principio conforme al diritto comunitario, fermo restando che l’interpretazione di tale disciplina deve a sua volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario» (punto 25).
Relativamente alla precisazione di una «interpretazione conforme alle esigenze del diritto comunitario», la Corte osserva che le due condizioni enunciate ai fini della legittima qualificazione di affidamento “in house” devono essere interpretate restrittivamente e che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga grava su colui che intenda avvalersene (v. sentenze 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 46, e Parking Brixen, cit., punto 63).
Al fine di verificare la sussistenza del requisito del «controllo analogo», la Corte invita a concentrare l’attenzione sulla volontà della società di aprire (interamente) o meno il proprio capitale ad azionisti privati. Al riguardo, infatti, la Corte afferma espressamente che «qualora, durante la vigenza del contratto di cui alla causa principale, il capitale [della società affidataria “in house”] fosse aperto ad azionisti privati», la conseguenza che si determinerebbe sarebbe quella di affidamento senza procedura concorrenziale di una concessione di servizi pubblici ad una società mista. Tale evenienza – aggiunge la Corte – determinerebbe un evidente contrasto con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario (cfr. sentenza 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9705, punto 48), posto che «la partecipazione, ancorché minoritaria, di un’impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure l’autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (Cfr. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., punto 49)».
La Corte osserva conclusivamente che «se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione “interna” di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene (v., in tal senso, sentenza Coname, 21 luglio 2005, in causa C-231/03, punto 26)».
a cura di Luigi Alla


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