Requisiti per la regolarizzazione di lavoratori extracomunitariConsiglio di Stato, Ad. Plen., n. 4

31.03.2006

L’Adunanza Plenaria, nella decisione in parola, esamina la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni dell’art. 1 del decreto legge 9 settembre 2002, n. 195 stabilendo che si tratta di disposizioni di carattere eccezionale in quanto volte a consentire una deroga alla normativa ordinaria concernente il regime contingentato degli ingressi dei lavoratori extracomunitari, ai fini della “legalizzazione” delle posizioni di lavoro irregolare, agevolando anche il rilascio del permesso di soggiorno. In base a tale presupposto esse, in virtù dei criteri ermeneutici dettati dall’art. 14 delle “preleggi”, non possono trovare applicazione oltre i casi ed i tempi espressamente considerati. Pur considerando che la norma si colloca in un quadro di iniziative legislative (oltre al decreto-legge in discorso si richiama anche l’art. 33 della legge n. 109 del 2002) propriamente finalizzate alla emersione di tutti i lavoratori extracomunitari in qualsiasi modo già occupati con un rapporto destinato a stabilizzarsi dopo il completamento della procedura di regolarizzazione, resta comunque fermo che tale regolarizzazione, con i benefici conseguenti, deve restare rigorosamente confinata nei limiti espressamente fissati dalla legge. In altri termini, i benefici in questione non possono che essere riservati soltanto ai lavoratori extracomunitari in possesso dei requisiti normativamente previsti, tenuto altresì conto dell’esigenza di evitare una disparità di trattamento tra i diversi soggetti interessati. Per quanto riguarda la interpretazione letterale della norma, L’Adunanza Plenaria pur riconoscendo che il testo non appaia del tutto univoco, indicando soltanto un arco di tempo “nel” corso del quale deve essersi verificata la “occupazione” del lavoratore extracomunitario, con una dizione che di per sé non impedirebbe la possibilità di attribuire rilevanza determinante anche alla instaurazione del rapporto in un qualsiasi momento del trimestre considerato, ritiene che una simile accezione della disposizione in parola risulterebbe in realtà incompatibile con il sistema delineato dalle diverse disposizioni della normativa in questione, oltreché dalle finalità proprie della normativa stessa. In proposito si richiama l’argomento posto a base della giurisprudenza che ritiene debba attribuirsi rilevanza soltanto ad una attività lavorativa svolta per l’intero trimestre, facendo leva sulla previsione del successivo comma 3, lettera b) del ripetuto art. 1 del decreto-legge n. 195 del 2002, relativa all’obbligo di allegare, alla dichiarazione del datore di lavoro, un “attestato di pagamento di un contributo forfettario pari a 700 euro per ciascun lavoratore”. In base a tale giurisprudenza, infatti, sarebbe illogico ammettere la possibilità della regolarizzazione di prestazioni lavorative di durata minore di un trimestre, una volta che il contributo in parola, da versare ai fini previdenziali, risulti commisurato all’importo dovuto per prestazioni di lavoro subordinato aventi la durata di tre mesi. Il Consiglio di Stato rileva, infine, come una interpretazione rigorosa della legge venga altresì postulata dall’esigenza di evitare il rischio di assecondare tentativi di utilizzazione fraudolenta della procedura di regolarizzazione, mediante la incontrollata stipula di contratti con lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno e la precostituzione di situazioni meramente apparenti e fittizie, in epoca immediatamente antecedente alla emanazione del decreto-legge (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2002).
La Plenaria conclude, quindi nel senso che la normativa in esame, avendo la specifica finalità di consentire, in via eccezionale, la “legalizzazione” di situazioni di lavoro irregolare verificatesi nei tre mesi antecedenti alla data del 10 settembre 2002, ossia la regolarizzazione di un rapporto di lavoro dipendente già instaurato, può trovare corretta applicazione soltanto nei casi in cui l’attività lavorativa in parola, avendo avuto almeno la durata minima di un trimestre, fissata dalla norma di legge, risulti idonea ad offrire un sufficiente affidamento per la esistenza di un serio impegno lavorativo e la effettiva prosecuzione e la possibile successiva stabilizzazione del rapporto, apparendo chiaramente estranea alle finalità delle norme in parola quella di assecondare iniziative concernenti situazioni le quali, per la scarsa durata e per la conseguente precarietà che le caratterizza, possono rappresentare la dissimulazione di un rapporto fittizio o sorto unicamente per la sola finalità della regolarizzazione.
a cura di Laura Lamberti