Sulla possibilità di qualificare come aiuto di Stato una normativa che accorda ai soci di una società controllata dallo Stato la facoltà di recedere senza ottenere il rimborso delle loro azioni

23.03.2006

Corte di Giustizia della Comunità Europea, Sez. II, 23/03/2006, in causa C-237/04.
La Corte di Giustizia – dopo aver ricordato come secondo costante giurisprudenza, la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione e che, pertanto, deve ritenersi preclusa al giudice nazionale la possibilità di interrogare la Corte sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto di Stato o di un regime di aiuti – ha affermato come essa possa, nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’articolo 234 Trattato CE, fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione attinenti al diritto comunitario che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della causa per la quale è adito.
In tale linea di ragionamento, la Corte ha proceduto alla valutazione della possibilità di qualificare come aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 87, n.1, del Trattato, una misura nazionale che accorda ai soci di una società controllata dallo Stato una facoltà, derogatoria rispetto al diritto comune, di recesso da tale società a condizione di rinunciare a qualsiasi diritto sul patrimonio della società stessa.
Sul punto, il Giudice comunitario ha osservato come ai fini della qualificazione di una misura statale come aiuto di stato devono ricorrere quattro condizioni cumulative: a) deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato tramite risorse statali; b) l’intervento deve essere suscettibile di incidere sugli scambi tra gli Stati membri; c) deve attribuire al beneficiario un vantaggio; d) ed, infine, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza.
Nel caso sottoposto al suo apprezzamento, la Corte ha ritenuto non sussistente la condizione sub c) – attribuzione di un vantaggio all’impresa beneficiaria – in quanto le leggi 140/1999 e 273/2002, istituendo un regime del diritto di recesso delle azioni di una determinata società pubblica derogatorio rispetto a quello ordinario di cui all’articolo 2437 del Codice Civile, non conferiscono “alcun aiuto né agli azionisti, che possono recedere eccezionalmente da quella società pubblica senza ottenere il rimborso delle loro azioni, né alla detta società, in quanto gli azionisti sono autorizzati ma non obbligati a recedere dalla società anche quando i requisiti previsti al riguardo dal diritto comune non siano soddisfatti”. (Punto 47).
In tale prospettiva, quindi, la legge 273/2002, lungi dall’attribuire alcun vantaggio alla società pubblica, si limita ad evitare che, per effetto del diritto di recesso eccezionale concesso agli azionisti dalla legge 140/1999, su tale società gravi un onere che in circostante normali non sarebbe esistito.
Di contro – osserva conclusivamente la Corte – ove tale eccezionalità venisse meno e la normativa nazionale escludesse “il diritto al rimborso anche nel caso di un recesso esercitato in presenza dei requisiti previsti dall’art. 2437 del Codice Civile, la detta disposizione avrebbe potuto costituire un vantaggio ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE”.
a cura di Luigi Alla


Scarica documento