I° Incontro di studio italo-francese di diritto amministrativo – Resoconto Convegno

13.02.2006

Venerdì 20 Gennaio 2006 si è tenuto, presso la Sala Calasso della Facoltà di Giurispru-denza dell’Università “La Sapienza” di Roma, il “Primo incontro di studio italo-francese di Diritto Amministrativo”, intitolato “La procedimentalizzazione dell’azione ammini-strativa”. Relatori intervenuti sono stati i più autorevoli docenti di Diritto Pubblico di Fran-cia ed Italia, che si sono suddivisi i campi di indagine, rendendo molto interessante la du-plice prospettiva attraverso cui si è svolta la giornata, che ha tra l’altro fornito spunti di comparazione estremamente proficui.
L’incontro è stato suddiviso in due sessioni, una mattutina ed una pomeridiana.

La legge n. 241/1990 e la riforma del Titolo V.
La sessione mattutina, presieduta dal Prof. Alberto ROMANO, dopo i saluti di rito del Presi-de di Facoltà Prof. Carlo ANGELICI, del Presidente dell’AIPDA Prof. Domenico SORACE nonché dei promotori dell’iniziativa –Prof. Sabino CASSESE, Prof. Jean-Bernard AUBY e Prof. Yves GAUDEMET- ha visto una nutrita serie di interventi.
Sembra tuttavia opportuno premettere –e questa giornata di studi lo ha confermato- come il panorama giuridico italiano, più che dalle pur incisive riforme della l. 15/2005, sia stato in realtà alterato da un’altra riforma: quella del Titolo V.
In molti degli interventi italiani, infatti, è stato possibile scorgere un profondo condiziona-mento dovuto alla riforma della Costituzione del 2001. La novella dell’art. 117 Cost., infatti, ha inaugurato l’ingresso degli organi legislativi regionali -a vario titolo- nella disciplina del diritto amministrativo, e la corrispondente, parziale “ritirata” dello Stato. La riforma del Tito-lo V ha scatenato, in dottrina, un vivace dibattito -anche nella giornata di studi che qui si vuole sintetizzare- sulla legge 241/1990, e più generalmente sulla competenza a dettare la disciplina sul procedimento alla luce del nuovo articolo 117 della Costituzione.
La tesi più condivisa è risultata essere quella che vede nella legge sul procedimento am-ministrativo una legge totalmente vincolante (superando anche le previsioni dell’art. 29 della stessa legge), da far rientrare fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117 Cost. comma 2.
Per il Prof. Edoardo CHITI (“Il valore costituzionale della legge sul procedimento e i principi comunitari”) la legge 241 rappresenta l’inveramento dei principi costituzionali sull’amministrazione, che prima riposavano sulla sempre incerta lettura giurisprudenziale (sebbene le leggi 15 ed 80 del 2005 abbiano creato qualche stortura): diretta conseguenza è che essa vincola in toto sia lo Stato che le Regioni (e questa efficacia così forte potrebbe essere legittimata ascrivendo tale legge alla competenza esclusiva statale in tema di ordi-namento civile o giustizia amministrativa – art. 117 Cost. comma 2 lett. l).
Tesi condivisa, con un’articolata esposizione, anche dal Prof. Aristide Police, con un intervento intitolato “Procedimenti non disciplinati dalla legge 241/1990”. Il relatore, dopo essersi soffermato sul comma 1 dell’art. 29 della legge 241, che definisce l’ambito sogget-tivo di applicazione della legge, ha evidenziato le problematiche scaturenti dal comma 2 dello stesso articolo, che prevede come i principi della stessa legge costituiscano le norme di principio vincolanti per la normazione regionale di dettaglio. Il problema che si pone, come fa correttamente rilevare il relatore, riguarda proprio l’individuazione delle disposi-zioni di principio. La gran parte delle disposizioni della l. 241 infatti potrebbero essere di principio, rientrando quindi tra le materie di formale competenza concorrente, ma di so-stanziale competenza statale esclusiva.
Altra tesi è quella che farebbe rientrare la legge sul procedimento, anche formalmente, all’interno della competenza esclusiva dello Stato, facendo leva su un’interpretazione e-stensiva della dizione “giustizia amministrativa” ex art. 117 comma 2 lett. l) Cost. (intesa come “insieme delle garanzie dell’amministrato contro la PA”). Riconoscendo, tuttavia, che la gran parte degli istituti di diritto amministrativo sono a tutela del cittadino, il valore che il Prof. Police assegna alla l. 241 non può che essere quello di norma immediatamente pre-cettiva, in ogni suo contenuto
La qualificazione delle disposizioni di cui alla legge sul procedimento amministrativo come di principio nella competenza normativa concorrente Stato-Regioni, oppure rientranti nella competenza esclusiva dello Stato, non è però soltanto una questione nominalistica, per-ché determina una forte variazione nello scrutinio del Giudice Amministrativo, più o meno stringente. Il dibattito è tuttora acceso anche perché la Corte costituzionale non ha potuto pronunciarsi in materia, mancando ancora le leggi regionali di dettaglio.
Contro queste letture, che tendono a ridurre – anche fortemente – l’ampiezza dell’efficacia della legge sul procedimento, si è espresso il Prof. Giandomenico Falcon nella fase finale della giornata, contestando le interpretazioni estensive della competenza “giustizia amministrativa” e riconoscendo alle Regioni maggiori poteri, che sarebbero loro negati, in realtà, per una vecchia quanto ormai ingiustificata diffidenza nei confronti dei legislatori regionali.

Il Diritto Amministrativo francese ed i tentativi di razionalizzazione.
La comparazione con il dato francese rivela come la disciplina del diritto amministrativo in Francia sia più disorganica.
Il Prof. Auby è intervenuto come secondo relatore della sessione mattutina. Docente di Diritto Pubblico presso l’Università Paris II Pantheon-Assas, nel suo “Rapport introductif français” ha svolto un’introduzione, per la platea italiana, al diritto amministrativo d’Oltralpe. Premettendo che, per il cittadino, le garanzie contro illegittimi comportamenti della PA sono assicurati più dalle procedure non contenziose, che dai giudici o da norme sostanziali, il Prof. Auby ha subito precisato che il “droit de la procedure administrative” (diritto della procedura amministrativa) è stato stabilito prevalentemente dalla giurispru-denza.
Gli anni Settanta hanno visto una serie di strumenti legislativi ameliorativi delle precedenti discipline: nel 1973 è stato istituito il Mediatore, nel 1978 sono state disciplinate le proce-dure informatiche coniugandole con il rispetto delle libertà del cittadino, ed è stata redatta la legge sull’accesso ai documenti amministrativi, nel 1979 è stata introdotta la motivazio-ne degli atti. Una serie di “ondate”, che hanno portato ad un progressivo allineamento con il modello europeo ed i modelli comparati (sono stati citati i casi di Stati Uniti, Spagna e Francia).
Tuttavia, le disposizioni sul procedimento amministrativo transalpino risentono, secondo il relatore, di “lacune, debolezze, ritardi”. Innanzitutto, un problema è costituito dalla sistema-tica delle fonti, che semplicemente non c’è, essendo esse spalmate in numerosi testi. Seb-bene sia pronto un codice della procedura amministrativa, il Prof. Auby ritiene che difficil-mente esso entrerà in vigore. La situazione attuale è, quindi, quella di un patchwork, all’interno del quale i momenti essenziali della procedura sono decisi dai giudici, ed in specie dal Consiglio di Stato, la cui giurisprudenza è, tra l’altro, poco idonea a porre dei punti fermi.
Altre problematiche sono costituite dalla scarsa concettualità del diritto della procedura amministrativa non contenziosa; incentrato sulla nozione di atto amministrativo, non si oc-cupa dei passaggi ad esso logicamente precedenti (endoprocedimento) e successivi (p.e. la partecipazione), mentre istituti quali la partecipazione, l’inchiesta, il referendum esistono solo sulla carta. Poco trasparenti sono poi le procedure decisionali: il rulemaking è fatto nel segreto dell’ufficio, mentre il sistema guadagnerebbe dall’assorbimento di principi del diritto americano (mutuati da altri ordinamenti europei, tra i quali quello italiano). Auspi-cando un revisione concettuale delle nozioni di atto e provvedimento amministrativo, il Prof. Auby conclude la propria relazione ponendosi una domanda: perché il diritto ammini-strativo è così poco sviluppato? Perché si fida troppo della fase contenziosa.
Anche la Prof.ssa Pascale Gonod (docente di Diritto Pubblico all’Università Parigi XI), con “La codification de la procédure administrative non contentieuse” è tornata sul pro-blema della lacuna di una unitaria disciplina del procedimento amministrativo. Un tentativo di razionalizzazione del panorama normativo fu fatto nella seconda metà degli Anni No-vanta, attraverso il Progetto del “Code de l’Administration”. Decisa l’elaborazione nel 1995, il Codice dell’Amministrazione fu redatto tra il 1996 ed il 2000 dalla Commissione Superio-re di Codificazione. Nel 2000 si giunse ad una prima versione del testo, dedicato essen-zialmente ai rapporti tra PA e cittadini. Nel 2004 il Parlamento auspica “l’adozione del co-dice entro 18 mesi”; tuttavia, nonostante il termine sia in scadenza proprio in questi giorni, è sostanzialmente impossibile che il Codice venga adottato. In realtà, il progetto di Codice si è perso nelle more dei lavori della Commissione, che ha avuto scarsa collaborazione dalle Amministrazioni centrali interpellate a questo scopo, nonché dagli organi di giustizia amministrativa, in quanto il Progetto andava a toccare alcuni loro poteri. Allo stato attuale, il Progetto di Codice (cui, comunque, manca la parte su informatica e libertà) è sospeso.

I modelli di partecipazione dei privati al procedimento.
A questo tema hanno proficuamente partecipato anche gli oratori francesi, contribuendo così a creare numerosi spazi per un’utile comparazione dei due sistemi di disciplina.
Il primo intervento (“I modelli di partecipazione procedimentale”) che ha affrontato il tema della partecipazione è stato del Prof. Giuseppe Barone. Il fondamento giuridico della partecipazione dei privati al procedimento amministrativo si riscontra nei principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione enunciati all’art. 97 della Costi-tuzione: nel consentire al privato di arricchire il materiale istruttorio della PA la partecipa-zione giova infatti all’applicazione di entrambi, e mette l’Amministrazione nella posizione di dover applicare più rigorosamente il principio di proporzionalità.
Nell’ordinamento italiano si possono individuare due modelli partecipativi:

– collaborazione con la PA
– tutela dalla PA

E’ sicuramente prevalente, nell’ordinamento nazionale. il secondo modello, sebbene an-che il primo sia incardinato sulla tutela del cittadino dall’azione amministrativa.
Nella pratica il modello partecipativo può esplicitarsi in modi differenti. Per esempio, me-diante la notizia che la PA deve comunicare agli interessati dell’avvio del procedimento e del suo responsabile. Oppure, attraverso gli strumenti della pubblicità e dell’accesso ai do-cumenti amministrativi (in contrasto con il precedente regime del segreto d’ufficio). Indica-tore che la partecipazione dei privati vuole tutelarne le situazioni giuridiche soggettive da eventuali, illegittime, lesioni è la possibilità di presentare memorie in modo da condizionare le decisioni amministrative, nonché partecipare, anche oralmente, al procedimento -ex comma 1 bis art. 11 l. 241/1990- secondo una modalità mutuata, come ha rilevato l’intervento del Prof. Caranta, dai procedimenti avanti le Autorità Indipendenti.
La novella di alcune parti della l. 241 ha alterato il tipico schema difensivo del privato. L’art. 10 bis, infatti, ha accentuato gli aspetti di difesa (e andrebbe quasi a rivestire il ruolo di norma di chiusura) nella misura in cui obbliga l’Amministrazione a comunicare al privato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Mentre l’art. 21 octies li ha ridotti, escludendo l’annullabilità di un atto per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, nel caso in cui l’Amministrazione riesca a dimostrare che il contenuto del provvedimento non sa-rebbe stato diverso: la conseguenza dell’applicazione di questa norma, infatti, potrebbe essere, in caso di ricorso al GA, che sia il Giudice a sostituirsi alla PA nella valutazione della necessità o meno della previa comunicazione.
Al diritto di partecipazione dei privati nella fase di formazione del provvedimento, segue il diritto di essere sentiti quando il provvedimento è già formato. Di questo tema si è occupa-to il Prof. Giacinto Della Cananea (“Il diritto di essere sentiti e la partecipazione”).
In Italia fu una celeberrima sentenza del Consiglio di Stato del 1895 a parlare per la prima volta di diritto di partecipazione dei privati all’attività amministrativa, definendolo come “principio di eterna giustizia informato al sacro principio di difesa”. Altra cosa è, però, il di-ritto di essere sentiti, nei confronti del quale la nostra giurisprudenza è molto restrittiva (anche in virtù della sua inevitabile sovrapposizione con la partecipazione, giusta la diffi-coltà nel tenere nettamente distinti i due concetti). Il diritto di essere sentiti, secondo il Prof. Della Cananea, si declina nel:

– diritto dell’interessato a presentare documenti e memorie, con l’obbligo della PA di tenerne conto.
– diritto di accesso ai documenti all’interno del procedimento
– diritto ad un contraddittorio, non scritto (contrariamente a quanto accade nella prati-ca)

Contrariamente alla tesi del Prof. Barone, per il Prof. Della Cananea la partecipazione è, in Italia, intesa, più che come tutela, come collaborazione. Ma vi sono diversi istituti che do-vrebbero essere perfezionati o aggiunti ex novo: uno di questi è l’istituto dell’inchiesta pubblica, già diffuso in Francia, e che è stato affrontato dal Prof. René Hostiou – Professore emerito all’Università di Nantes- con un intervento dal titolo “Les vices de pro-cédure, le contentieux de l’enquête publique”.
L’”enquête publique” rappresenta un insieme di norme che ascrive ai privati un potere tale da sospendere la decisione della PA. Tema strettamente legato a questo, ed ancora og-getto di dibattito Oltralpe, è capire cosa sia essenziale in una decisione amministrativa, per isolare conseguentemente la categoria della mera irregolarità e la sua incidenza su conte-nuto e garanzie. Un dato, a questo riguardo, da tenere presente, è che a volte il Giudice Amministrativo francese non si è espresso sull’irregolarità di un atto perché ciò non avreb-be determinato alcuna variazione sulla sua validità dell’atto (si confronti la similarità con il dato positivo italiano – art. 21 octies legge 241, vedi supra).
Mentre, sul più generale apporto partecipativo dei privati, in Francia non vi è stata una a-naloga elaborazione dottrinale che abbia distinto diritto di partecipazione e diritto di essere sentiti. Il Prof. Michel Fromont, dell’Università di Parigi – La Sorbona (che ha presieduto la sessione pomeridiana della giornata) cataloga nel suo “Le droit d’être entendu” il diritto di essere sentiti e ed il diritto di partecipazione al procedimento nella più generale catego-ria della “partecipazione”. Oltralpe, sostanzialmente, vi sono due declinazioni della parte-cipazione:

– il diritto di essere sentiti
– il diritto di partecipare al procedimento (che comprende anche il diritto alla difesa)

In un panorama giuridico a lungo dominato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, il 2 Aprile 2000 è stata promulgata la legge sul diritto di essere sentiti, che mette l’interessato nella condizione di presentare le proprie osservazioni (ma che ha un campo applicativo re-lativo). La legge del 2000 si lega alla legge del 1979 sull’obbligatorietà della motivazione degli atti amministrativi. Il diritto di essere sentiti, in Francia, si articola in:

– un diritto preliminare all’accesso dei documenti amministrativi. Si ricordi che in Francia non c’è la comunicazione dell’avvio del procedimento, e che l’accesso è escluso per i documenti preparatori del provvedimento.
– un diritto di presentare osservazioni (è una disciplina favorevole per il privato)
– il diritto a che la PA esamini subito le osservazioni presentate.

La lesione di queste tre situazioni soggettive, raggruppate nel “droit d’être entendu”, può comportare due effetti:

– l’annullamento dell’atto (la disciplina è più severa della analoga normazione italia-na)
– o la possibilità di una misura cautelare sospensiva dell’atto (avvallata da diverse pronunce del Consiglio di Stato).

Conclusione del Prof. Fromont è, tuttavia, che il rapporto tra giurisprudenza amministrativa e Pubblica Amministrazione (che si riverbera necessariamente sui privati) è meno conflit-tuale in Francia, visto il profondo rispetto nutrito nei confronti dell’Amministrazione, “gran-de padre” dell’interesse pubblico.

Il nuovo art. 1 della legge 241/1990.
Tra le altre innovazioni introdotte dalla legge 15, grande rilievo ha anche avuto la novella dell’art. 1 della legge 241 del 1990, sul valore da dare alla quale la giornata non ha visto opinioni condivise.
Per Scoca, infatti, l’art. 1 sarebbe una disposizione poco chiara, che potrebbe ricevere una doppia lettura: o di “positivizzazione dell’esistente”, oppure avrebbe di “eversione”. Quest’ultima lettura sembra condivisa da Chiti, secondo il quale l’art. 1 amplierebbe, con una disposizione scritta, anche ai privati il rispetto dei principi contenuti nella l. 241, dando loro anche una formale rilevanza giuridica.
Sempre Chiti ha criticato la tecnica redazionale della legge, lì ove, all’art. 1 nuova formula-zione, è stata omessa l’indicazione dell’aggettivo “generali” ai “principi dell’ordinamento comunitario” di cui al comma 1. Cause ne sarebbero: da un lato, la fretta che ha in parte segnato la stesura del testo; dall’altro, la volontà di estendere a tutta l’azione della PA, sia essa di base nazionale sia essa di base comunitaria, i principi di diritto amministrativo for-giati dagli organi dell’Unione. Il “rinvio” ai principi comunitari, tra l’altro, sarebbe inesatto nella misura in cui configurerebbe due ordinamenti, mentre –secondo il relatore- il nostro ordinamento è monista (ex art. 117 comma 1 Cost.). Il rinvio legislativo si potrebbe legge-re, tuttavia, come rinvio “aperto”, pronto cioè a recepire futuri sviluppi giurisprudenziali e normativi. Problematica è, tuttavia, l’applicazione di questi principi, che spetterebbe co-munque al giudice nazionale nelle fattispecie non a base comunitaria, creando quindi pro-blemi interpretativi.

Ultimi due punti affrontati dagli intervenuti sono stati:

– Le procedure avanti le autorità amministrative di regolazione
– La disciplina del silenzio assenso

Le procedure amministrative innanzi alle Autorità Indipendenti.
Su questo punto si è speso il Prof. Caranta, con un intervento dal titolo “I procedimenti davanti alle autorità indipendenti”. E’ stato ricordato come la nozione di “Autorità Indi-pendente” sia stata di elaborazione eminentemente dottrinale, e sia un fenomeno di deri-vazione francese. L’”indipendenza” si identifica come isolamento dalla Politica.
Problematica è l’individuazione del regime giuridico delle Autorità Indipendenti, vista la molteplicità normativa delle discipline. Così come altrettanto problematica è stata -per par-te della dottrina- la mancanza di una copertura costituzionale al ruolo delle Authorities, cui sembra voler rimediare (a giudizio del relatore, però, in maniera scarsamente incisiva) il nuovo articolo 98 bis del Progetto di revisione costituzionale recentemente approvato dalle Camere.
Per la parte francese ha preso la parola il Prof. Gérard Marcou (“Les procédures devant les autorités administratives de régulation”), Professore associato all’Università di Lilla. La regolazione –ha detto- è uno dei nuovi compiti dello Stato, affidata ad autorità indipen-denti. Alla regolazione le autorità provvedono, generalmente, mediante diversi tipi di atto:

– atti di natura regolamentare
– funzioni
– decisioni prese per regolare le differenze

Prima di prendere le decisioni, le autorità indipendenti hanno sviluppato procedure di con-sultazione comune o gruppi di lavoro. Titolari del potere sanzionatorio, le Autorità Indipen-denti lo hanno procedimentalizzato con la loro stessa attività, sebbene le sanzioni fiscali (nonché il loro procedimento d’adozione) siano state legittimate dal diritto costituzionale. Dopo una disamina della giurisprudenza del Conseil Constitutionne e della Corte Interna-zionale di Giustizia sulla autorità di regolazione, il Prof. Marcou ha rilevato come, in Fran-cia, il privato preferisca tuttavia rivolgersi al giudice, le cui decisioni sono meno innovative e più vincolate rispetto a quelle delle autorità.

La disciplina del silenzio.
Ultimo aspetto di comparazione che è emerso in questa giornata di studi è stato il dibattito sul silenzio dell’Amministrazione.
La Prof.ssa Camille Broyelle (Professore associato di diritto pubblico all’Università di Rennes), incentrando il suo intervento su “Le traitement du silence de l’administration”, dopo aver distinto tra “falsi silenzi” e “veri silenzi” si è diffusamente soffermata su questi ul-timi. Si parla di veri silenzi quando essi seguono ad una esplicita richiesta alla PA. Di nor-ma tali silenzi costituiscono un’implicita decisione di rigetto, nel normale modo di ammini-strare, senza obbligo di motivazione: un atto esplicito, invece, crea diritti.
L’autorizzazione tacita necessita di una serie di requisiti, altrimenti il silenzio si trasforma in una decisione tacita di rigetto.
Per falsi silenzi, invece, si intendono le situazioni in cui la PA, sebbene silente, adotta co-munque atteggiamenti univoci. In tali casi, è sul giudice che incombe l’onere di ricercare, tra i falsi silenzi, gli indizi rivelatori che l’Amministrazione ha preso una vera decisione.
Ha concluso questa prima giornata di studi la Prof.ssa Sandulli, con un intervento su “Silenzio e Dichiarazione di Inizio Attività”. La l. 241, per la relatrice, ha individuato due tipi di silenzio: il silenzio-inadempimento ed il silenzio-assenso. Sul silenzio-inadempimento il nostro sistema è più progredito di quello francese: la’rt. 21 bis ha approntato un sistema molto veloce, con cui il Giudice può anche decidere sulla fondatezza della pretesa, mentre per i procedimenti discrezionali si può richiedere un Commissario ad acta. Ma la regola generale, nel nostro ordinamento, è che il silenzio vale come assenso (vedi art. 20). Quasi tutti gli atti autorizzatori possono essere sostituiti dal silenzio-assenso, a parte determinate eccezioni nominate (p.e. il patrimonio culturale, paesaggistico, di pubblica incolumità, ecc…). Il problema è che lo stesso privato non è messo nelle condizioni di sapere se il si-lenzio si è formato oppure no, e su questo punto la giurisprudenza è affatto divisa.
La Dichiarazione d’Inizio Attività o D.I.A. è, invece, di difficile utilizzo; la norma che la di-sciplina è generale (e, secondo la Prof.ssa Sandulli, anche generica), e sono incerte le conseguenze su cosa accada se la PA non la controlla nei termini. Secondo la legge, in-fatti, decorso il termine la PA deve autotutelarsi, ma la giurisprudenza non è affatto con-corde.


Giorgio Giuliano