Con la decisione del 9 febbraio 2006, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si pone in contrasto con quanto stabilito dalla precedente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 1207/2006) in materia di giurisdizione in tema di risarcimento a seguito dell’annullamento dell’atto amministrativo.Nel gennaio del 2005 la Cassazione aveva escluso dalla giurisdizione del giudice amministrativo l’azione risarcitoria avente ad oggetto il pregiudizio derivante da un atto amministrativo definitivo, affermando che, “qualora non venga in contestazione il legittimo esercizio dell’attività amministrativa – come avviene nel caso in cui l’atto amministrativo sia stato annullato o revocato dall’amministrazione nell’esercizio del suo potere di autotutela, ovvero sia stato rimesso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo – l’azione risarcitoria rientra nella giurisdizione generale del giudice ordinario, non operando nella specie la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria”.
Il Consiglio di Stato, invece, dopo aver riaffermato la giurisdizione del giudice amministrativo per ciò che attiene ai danni derivanti da provvedimenti autoritativi riconosciuti illegittimi in sede giurisdizionale di legittimità, sostiene che il venir meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, non rende rilevanti soltanto come “comportamenti” gli effetti “medio tempore” prodottisi in loro esecuzione, ma ne fa concentrare la cognizione dinanzi allo stesso giudice amministrativo, che verifica il corretto esercizio del potere. Inoltre, non apparirebbe decisivo, ai fini di giurisdizione, il fatto che la pretesa sia stata avanzata separatamente da quella che ha dato corso al sindacato di legittimità. La scelta di un momento successivo, per prospettare la domanda consequenziale, non giustifica dunque una diversa competenza giurisdizionale. L’affermazione è giustificata sulla base di tre argomentazioni: sul piano testuale, né l’art. 7 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nè l’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 introducono una prescrizione di contestualità fra sindacato di legittimità e cognizione degli effetti di ordine patrimoniale. Sul piano logico-sistematico, si mostra inaccettabile (oltre che in contraddizione con l’esigenza di concentrazione sottesa alla legge 205/2000, e ribadita dalla sentenza costituzionale n. 204/2004) in via di principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. Infine, il nesso fra l’illegittimitità dell’atto e la responsabilità dell’amministrazione che lo ha posto in essere non muta natura o intensità qualora il giudizio sull’illegittimità e quello sulla responsabilità per danni siano esaminati in separati giudizi., tanto più che, nel giudizio di responsabilità, può sempre porsi l’esigenza di verificare l’atto dal quale il danno è scaturito, verifica che spetta al giudice che ne ha già riconosciuto l’illegittimità.
Riguardo invece all’altra questione sollevata dal caso di specie, ossia il problema dell’individuazione del dies a quo della prescrizione, l’Adunanza Plenaria risponde in maniera chiara, richiamando le norme di diritto civile: la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), e, nel caso di interruzione dovuta all’inizio di un nuovo giudizio, riprende a decorrere allorquando la sentenza che lo definisce passi in giudicato (art. 2945, secondo comma, c.c.). Ne segue che condizione necessaria per la domanda di risarcimento è la pronuncia che riconosce l’illegittimità di provvedimenti dalla cui esecuzione sorgono i danni lamentati e che, in caso di atti autoritativi, è pronuncia che spetta al giudice amministrativo. Ed è perciò dal passaggio in giudicato della decisione del giudice amministrativo che può avere inizio il decorso del periodo di prescrizione.