La Corte Costituzionale si pronuncia sulla L.R. Abruzzo n. 23/2004 recante “Norme sui servizi pubblici a rilevanza economica”.

01.02.2006

Corte Costituzionale, sentenza 1/02/2006, n.29
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7, co. 4, lett. b), della Legge Regionale Abruzzo 5 agosto 2004, n. 23 (Norme sui servizi pubblici locali a rilevanza economica), nella parte in cui non prevede che il divieto previsto per le società a capitale interamente pubblico, in quanto già affidatarie della gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica, di partecipare alle gare ad evidenza pubblica indette per la scelta del soggetto cui conferire la gestione del servizio, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2007, salvo nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime gare aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa.
Ad avviso della Corte, la disposizione de qua contrasta con le previsioni di cui all’art. 113 (in particolare il c. 15-quater) del d. lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) e, dunque, con il parametro costituzionale dell’art. 117, c. 2, lett. e), della Costituzione che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «tutela della concorrenza».
Sul punto, la Corte ricorda come nella sentenza 272/2004 sia stato affermato che le disposizioni di cui all’articolo 113 TUEL dovevano essere considerate come norme-principio della materia, “…alla cui luce è possibile interpretare…il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale”.
Il giudice delle leggi ha altresì ricordato che nella medesima pronuncia era stato precisato che “per la salvaguardia delle esigenze della concorrenza, operano non solo le disposizioni previste a regime sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, ma anche quelle aventi carattere soltanto transitorio”.
In tale prospettiva, viene quindi affermato che la previsione contenuta nel c. 6 dell’art. 113, cui si riconnette l’impugnata norma regionale, nel disporre il divieto di partecipare alle gare di cui al precedente c. 5, tende a garantire la più ampia libertà di concorrenza nell’ambito di rapporti – come quelli relativi al regime delle gare o delle modalità di gestione e conferimento dei servizi – di rilevante incidenza sul mercato. Ed è proprio una corretta attuazione del nuovo regime di divieti che richiede, ragionevolmente, come disposto dal legislatore statale con il c. 15 quater del medesimo art. 113, una disciplina transitoria per consentire un complessivo riequilibrio e un progressivo adeguamento del “mercato”. Ciò comporta che la mancata previsione, nella legge regionale, di un analogo regime transitorio, che definisca le modalità temporali di efficacia del divieto in esame, è idonea ad arrecare un vulnus all’indicato parametro costituzionale.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, c. 4, lett. g), della L. R. Abruzzo, che prevede l’ineleggibilità a sindaco, presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale dei Comuni e delle Province titolari del capitale sociale delle società affidatarie della gestione del servizio pubblico, per i legali rappresentanti ed i componenti degli organi esecutivi delle società medesime, in quanto invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «organi di governo» di Comuni, Province e Città metropolitane, prevista dall’art. 117, c. 2, lett. p), della Costituzione. Ad avviso del giudice costituzionale, infatti, vertendosi in materia riservata in modo esclusivo allo Stato, la Regione non è legittimata ad adottare nella materia stessa alcuna disciplina, ancorché in parte coincidente con quella statale.
Di contro, la Corte ha affermato la non contrarietà con la Costituzione dell’articolo 4, co. 4, della legge regionale la quale esclude che le società a capitale interamente pubblico, cui sia stata conferita dagli enti locali la proprietà di reti, impianti e dotazioni patrimoniali, destinati all’esercizio dei servizi pubblici, possano partecipare alle gare ad evidenza pubblica indette per la scelta del soggetto gestore del servizio o del socio privato delle società a capitale misto pubblico/privato.
Al riguardo, la Corte ha osservato come il legislatore statale nella specificazione dei compiti che le società a capitale totalitario pubblico potevano esercitare non abbia escluso in modo espresso la possibilità per tali società di partecipare alle gare per l’affidamento della gestione del servizio. In tale situazione, quindi, la Corte ha affermato che “versandosi…in materia riservata alla competenza residuale delle Regioni, nel silenzio della legislazione statale al riguardo, può ritenersi ammissibile che queste ultime, esercitando la loro discrezionalità legislativa, integrino la disciplina dettata dallo Stato, prevedendo il divieto per le società proprietarie delle reti di partecipare alle gare in questione”.
Del pari, non costituzionalmente illegittima è stata dichiarata la previsione di cui all’articolo 7, co.1, let. b) della legge regionale che stabilisce un limite minimo (40 per cento del capitale sociale) per la partecipazione azionaria del socio privato, da scegliere con procedura di evidenza pubblica, della società mista cui può essere conferita la titolarità della gestione del servizio pubblico di rilevanza economica. Sul punto, la Consulta, ha osservato che la mancanza di una qualsiasi previsione statale in merito alla consistenza del capitale privato nell’ambito della compagine sociale consente al legislatore regionale, nell’esercizio della sua discrezionalità, di stabilire quote minimali di partecipazione. Né può ritenersi che la specificazione operata dalla norma impugnata possa considerarsi intrinsecamente irragionevole: la previsione di un siffatto limite, al di là delle sue implicazioni sul piano della concorrenza, risponde, infatti, all’esigenza di evitare che partecipazioni minime o addirittura simboliche si possano risolvere in una elusione delle modalità complessive di conferimento della gestione del servizio pubblico locale.
La Corte ha, inoltre, ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità sollevate in relazione alle lettere d) ed f) del comma 4 dell’articolo 7 della legge regionale che, rispettivamente, prevedono per le società a capitale interamente pubblico, alle quali sia affidata in via diretta la gestione di un servizio pubblico locale:
a) il divieto di conferire incarichi professionali, di collaborazione e di qualsiasi altro genere in favore di persone e/o di società legate da rapporti di dipendenza e/o di collaborazione con l’ente o gli enti titolari del capitale sociale;
b) l’obbligo del rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente.
Contrariamente alla prospettazione del Governo, infatti, le disposizioni controverse non sono state ritenute invadenti la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’«ordinamento civile» (articolo 117, co. 2, let. l). Più in particolare, la Corte ha osservato, relativamente alla previsione di cui all’articolo 7, co.4, let. d) che essa trova “la sua esclusiva giustificazione nella esigenza di evitare che si determinino situazioni di conflitto di interessi tra controllori e controllati e di garantire, fin dove possibile, trasparenza nei rapporti tra società incaricate della gestione dei servizi in questione ed enti pubblici titolari del capitale sociale”.
In relazione all’articolo 7, co.4, let. f), i giudici, richiamando la distinzione operata nella sentenza Corte Cost. n 466/1993 tra «privatizzazione formale» e «privatizzazione sostanziale», hanno affermato che la disposizione regionale “non è volta a porre limitazioni alla capacità di agire delle persone giuridiche private, bensì a dare applicazione al principio di cui all’art. 97 della Costituzione rispetto ad una società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici”.
a cura di Luigi Alla


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