– Art.1, comma 84, della legge 239/2004, dove si prevede la misura massima del «contributo compensativo per il mancato uso alternativo del territorio» e si determino gli effetti derivanti dal mancato raggiungimento di un accordo tra la Regione e gli enti locali interessati ed i titolari di concessioni di coltivazioni di idrocarburi. Sul punto, la Corte osserva che se la determinazione dell’ammontare massimo del contributo compensativo può essere agevolmente ricondotta ad una normativa di principio, necessaria per garantire sull’intero territorio nazionale una relativa uniformità dei costi per le imprese di coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma, diversa conclusione deve essere raggiunta in relazione alla determinazione, nella legge statale, delle conseguenze della mancata sottoscrizione di accordi. In tali casi, infatti, la legge statale, escludendo che la mancata sottoscrizione di accordi possa fondare la sospensione dei lavori necessari per la messa in produzione dei giacimenti o per il rinvio dell’inizio della coltivazione, restringe impropriamente la discrezionalità legislativa regionale attraverso la previsione di una normativa che non può in alcun modo essere qualificata come principio fondamentale.
Il decreto legge 239/03 e legge 239/04, in materia di sviluppo e riordino del settore dell’energia elettrica al vaglio della Corte costituzionale – Corte Costituzionale, sentenza 14/10/2005 n. 383
14.10.2005
Corte Costituzionale, sentenza 14/10/2005 n. 383.
Con la pronuncia 383/2005, la Corte Costituzionale ha affrontato un’articolata serie di censure avanzate dalla Regione Toscana e dalla Provincia Autonoma di Trento su diverse disposizioni del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), quale convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2003, n. 290, e di numerose disposizioni della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia).
La prospettazione dei profili di incostituzionalità riguardava:
1) relativamente all’articolo 117, 3 co., la lesione della sfera di competenza regionale in materie di competenza legislativa concorrente, derivante dalle seguenti disposizioni:
1.1. art. 1, commi 1 e 3, art. 1-sexies, commi 1, 2 e 8 (Regione Toscana), l’art. 1-ter, comma 2, e l’art. 1-sexies, commi da 1 a 6 (Provincia di Trento) del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003: (art. 1, comma 4, lettere c) e f);
1.2. art. 1, comma 7, lettere g), h) e i), l’art. 1, comma 8, lettera a), punti 3 e 7 (Regione Toscana), l’art. 1, comma 24, lettera a) (Regione Toscana e Provincia di Trento), l’art. 1, comma 26 (Regione Toscana e Provincia di Trento), l’art. 1, commi 56, 57, 58, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84 e 121 (Regione Toscana) della legge n. 239 del 2004.
2) relativamente all’art. 117, 4 co., la violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni. In particolare, le censure di incostituzionalità erano riferite:
2.1. in materia di “distribuzione locale dell’energia”, all’art. 1, comma 2, lettera c), all’art. 1, comma 8, lettera a), punto 7 ed all’art. 1, comma 33 della legge 239 del 2004 (Regione Toscana).
2.2. in materia di “stoccaggio di gas naturale in giacimento”, all’art. 1, comma 8, lettera b), punto 3, della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana).
2.3. in materia di “lavorazione e stoccaggio di oli minerali”, all’art. 1, commi 56, 57 e 58, della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana).
3) relativamente all’art. 118 Cost., sotto il profilo della insussistenza delle esigenze unitarie che possono giustificare l’avocazione, da parte dello Stato, di funzioni amministrative. Tale serie di rilievi interessavano:
3.1. l’art. 1, commi 1 e 3 e l’art. 1-sexies, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003 del (Regione Toscana); l’art. 1-ter, comma 2 e l’art. 1-sexies, commi da 1 a 6 (Provincia di Trento);
3.2. l’art. 1, comma 4, lettere c) e f); l’art. 1, comma 8, lettera a), punto 7, e lettera b), punto 3 della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana); l’art. 1, comma 24, lettera a) e l’art. 1, comma 26 (Provincia di Trento); l’art. 1, commi 33 e 84 (Regione Toscana);
4) relativamente al combinato disposto degli artt. 117 e 118 Cost., l’avvenuto intervento del legislatore statale nell’allocazione di funzioni amministrative presso organi dello Stato al di fuori dell’ambito delle materie di propria competenza esclusiva ed in assenza dei presupposti indicati dalla sentenza n. 303 del 2003 (specificati nella sentenza n. 6 del 2004) e, comunque, senza la previsione di strumenti di collaborazione regionale adeguati (e, particolarmente, di forme di intesa in senso “forte”) rispetto all’esercizio in concreto delle suddette funzioni amministrative. Destinatari di tali doglianze erano:
4.1.) l’art. 1, commi 1 e 3, e l’art. 1-sexies, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003 (Regione Toscana); l’art. 1-ter, comma 2, e l’art. 1-sexies, commi 1, 2, 3, 4 e 6 (Provincia di Trento)
4.2.) l’art. 1, comma 7, lettere g), h) e i); l’art. 1, comma 8, lettera a), punti 3 e 7; l’art. 1, comma 8, lettera b), punto 3 (Regione Toscana) della legge n. 239 del 2004; l’art. 1, comma 24, lettera a), (Regione Toscana e Provincia di Trento); l’art. 1, comma 26 (Regione Toscana e Provincia di Trento); l’art. 1, commi 33, 77, 78, 79, 80, 81, 82 e 83 della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana);
5) relativamente all’art. 117, sesto comma, Cost., per la previsione un potere sostanzialmente regolamentare nell’ambito di materie non di competenza legislativa esclusiva statale operata dall’art. 1-sexies, comma 2, del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003 (Regione Toscana e Provincia di Trento);
6) relativamente all’art. 119 Cost., per la lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni (Regione Toscana) da parte dell’art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 239 del 2004;
7) relativamente all’art. 120 Cost., per la previsione di un potere sostitutivo statale in contrasto con i presupposti costituzionalmente necessari per la relativa attribuzione ed esercizio. Tale profilo riguardava l’art. 1-sexies, comma 5, del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003 (Provincia di Trento), e l’art. 1, comma 26, della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana e Provincia di Trento);
8) relativamente allo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, sotto il profilo della lesione “autonoma” delle competenze statutarie della Provincia di Trento, da parte dell’art. 1-sexies, comma 5, del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003, in relazione al regime dei poteri sostitutivi statali applicabile nella Provincia autonoma;
9) relativamente agli artt. 95, terzo comma, e 97, primo e secondo comma, Cost., sotto il profilo della asserita lesione delle riserve di legge in materia di attribuzioni degli organi della pubblica amministrazione e di delimitazione del rapporto tra autorità pubbliche e libertà dei soggetti, operata dalle previsioni contenute nell’art. 1-sexies, comma 2, del decreto-legge n. 239 del 2003, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290 del 2003 (Provincia di Trento);
10) relativamente agli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo della violazione del canone di buona amministrazione da parte dell’art. 1, comma 4, lettera f), della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana);
11) relativamente all’art. 76 Cost., sotto il profilo dell’eccessiva genericità dei principî e criteri direttivi contenuti nella disposizione di delega di cui all’art. 1, comma 121, della legge n. 239 del 2004 (Regione Toscana).
Di questa articolata serie di rilievi vengono dichiarate inammissibili le censure indicate nei punti 6, 8, 9, 10 e 11 e si accerta l’avvenuta cessazione della materia del contendere in riferimento ad alcune disposizioni successivamente abrogate e/o modificate dopo la proposizione dei ricorsi.
La Corte, prima di esaminare nel merito le questioni sollevate dalle ricorrenti, affronta la questione concernente la definizione degli ambiti materiali individuati dal titolo V della Costituzione a cui devono essere ricondotte le disposizioni impugnate. Sul punto, viene affermato che le disposizioni impugnate possono essere agevolmente ricondotte, almeno nella loro grande maggioranza, alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117, 3 co. Cost.).
Tale ricostruzione – ricorda la Corte – è del resto coerente con quanto affermato nella propria precedente sentenza n. 6 del 2004 pronunciata in relazione al d.l. 7 febbraio 2002, n. 7, (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) convertito, con modificazioni nella legge 9 aprile 2002, n. 55, avente ad oggetto la disciplina del procedimento amministrativo di modifica e ripotenziamento dei maggiori impianti di produzione di energia elettrica al quale – peraltro – fa espresso rinvio l’art.1-sexies. co. 8, del d.l. 239/2003.
Sulla base di tale riconduzione la Corte giudica senza fondamento la pretesa di valutare la legittimità delle disposizioni in oggetto avendo come riferimento la competenza regionale o provinciale in tema di “governo del territorio” o di “urbanistica”. In particolare, relativamente al “governo del territorio”, nella sentenza si afferma che, sebbene dalla sua precedente giurisprudenza (cfr. sentenze 196 del 2004; 362-331-307 e 303 del 2003), tale disciplina possa essere considerata “ben più ampia” dei profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia, tuttavia, questo non può essere inteso nel senso di ricondurre ad essa “tutta la disciplina concernente la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l’esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio”.
La Corte inoltre rigetta la ricostruzione operata dalla Regione Toscana ad avviso della quale alcune disposizioni della legge 239 del 2004 avrebbero violato la competenza legislativa residuale delle regioni ai sensi dell’art.117, co.4. Cost. Per i giudici costituzionali, infatti, “la distribuzione locale di energia”, lo “stoccaggio del gas naturale in giacimento” e la “lavorazione e stoccaggio di oli minerali” non costituiscono autonome materie riconducibili alla competenza residuale delle regioni.
Secondo la Corte, l’espressione utilizzata nel terzo comma dell’articolo 117, Cost. (produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia) deve essere intesa come corrispondente alla nozione di “settore energetico” (di cui alla legge 239/2004) così come pure alla “politica energetica nazionale” (di cui all’articolo 29 del d.lgs.112/1998). Inoltre, viene rilevato che la nozione di “distribuzione locale di energia” – nozione che pure è utilizzata dalla normativa nazionale e comunitaria – deve essere intesa solo nel senso di possibile articolazione, a fini gestionali, della rete di distribuzione nazionale. In tale linea di ragionamento, pertanto, si tratta di nozione rilevante solo a livello amministrativo e gestionale che non può legittimare l’individuazione di un’autonoma materia legislativa sul piano del riparto costituzionale delle competenze.
La questione fondamentale affrontata nella pronuncia attiene alla relazione intercorrente fra le disposizioni impugnate ed i modelli di rapporto fra Stato e Regioni configurabili in base al Titolo V della Costituzione, sulla base dell’assunto che la disciplina legislativa oggetto di censura è riferibile prevalentemente alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.
La Corte ricorda che nella sentenza 6 del 2004 la «chiamata in sussidiarietà» dell’amministrazione statale è stata considerata legittima in quanto fondata sulla sussistenza dei presupposti del preminente interesse ad evitare il pericolo di un’interruzione della fornitura di energia elettrica a livello nazionale. Fu quindi, ritenuta coerente con tale obiettivo la previsione di una accentuata semplificazione della procedimento necessario per la costruzione e l’esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore ai 300 MW termici.
Esigenze analoghe vengono in rilievo anche per alcune delle disposizioni del d.l. 239/2003 conv. in l.290/2003, in particolare per le previsioni concernenti la riforma e semplificazione del procedimento di «autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio degli elettrodotti, degli oleodotti, dei gasdotti, facenti parti delle reti nazionali di trasporto dell’energia».
Lo stesso approccio di fondo, lo si rinviene nella legge 239/2004 di riordino del settore energetico. Anche tale intervento, infatti, appare caratterizzato sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali, in quanto ritenuti gli unici a cui naturalmente non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale.
Nonostante tale tratto unificante che lega le disposizioni contenute nel d.l. 239/2003 a quelle della legge 239/2004, la Corte opera una distinzione tra questi due atti normativi osservando che le disposizioni contenute nel d.l. 239 del 2003 costituiscono un intervento legislativo originato da alcune impellenti necessità di sviluppo del sistema elettrico nazionale e di recupero di potenza. Essenzialmente a tale profilo emergenziale sarebbe da ricondurre il limitato/parziale – peraltro ampliato dalla legge di conversione 290/2003 – ruolo riconosciuto alle Regioni.
Diverso è, invece, il giudizio espresso in relazione alla legge 239/2004 che si configura come una legge di generale riordino dell’intero settore energetico, necessaria anche per dare attuazione allo stesso art. 117, terzo comma, Cost. in un settore in precedenza largamente di competenza statale e con il quale si intersecano anche alcuni profili inerenti a materie di sicura competenza esclusiva statale. Con tale intervento normativo, infatti, il legislatore nazionale dispone, relativamente alle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, la “chiamata in sussidiarietà” della gran parte delle funzioni amministrative in tema di governo del settore energetico e attribuisce rilevanti responsabilità ad organi statali, in definitiva creando un sistema nel quale la disciplina legislativa dello Stato interviene in settori che, ai sensi dell’articolo 117 Cost., terzo comma, dovrebbero essere di competenza regionale.
Sulla base di queste premesse, quindi, se pure si può ritenere ragionevole la chiamata in sussidiarietà, in capo ad organi dello Stato, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale, al fine di assicurare il loro indispensabile esercizio unitario, va verificato se sussistono le altre condizioni che la giurisprudenza costituzionale ha individuato come necessarie affinché sia costituzionalmente ammissibile un meccanismo istituzionale del genere, che oggettivamente incide in modo significativo sull’ambito dei poteri regionali.
Sul punto, la Corte opera, ancora una volta, un rinvio alla sentenza 6/2004, nella quale si è affermato che la legislazione deve dettare «una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tal fine»; inoltre, «essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate agli organi centrali». Infatti, nella perdurante assenza di ogni innovazione nei procedimenti legislativi statali diretta ad assicurare il necessario coinvolgimento delle Regioni, la legislazione statale che preveda e disciplini il conferimento delle funzioni amministrative a livello centrale nelle materie affidate alla potestà legislativa regionale «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del 2003).
Nel merito le questioni vengono risolte nel modo seguente.
A.) Non fondate vengono ritenute le questioni poste in riferimento a
– Art.1-sexies, comma 5, del d.l. 239/2003 convertito nella legge 290/2003, in quanto la limitazione delle competenze regionali ai soli procedimenti autorizzatori relativi alle reti di carattere regionale deve ritenersi giustificata dalla sussistenza delle esigenze unitarie che legittimano la “chiamata in sussidiarietà” in capo allo Stato dei poteri autorizzatori concernenti reti nazionali.
Del pari, legittima deve ritenersi la previsione di un termine entro cui il procedimento relativo alle reti regionali deve concludersi, giacché tale apposizione “può senz’altro qualificarsi come principio fondamentale della legislazione in materia, essendo espressione di una generale esigenza di speditezza volta a garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale il celere svolgimento del procedimento autorizzatorio (cfr. sentenza n. 336 del 2005)”.
Nella medesima prospettiva, quindi, va ritenuta conforme a Costituzione, la previsione di un potere sostitutivo in capo allo Stato ai sensi dell’articolo 120 Cost. «in caso di inerzia o mancata definizione dell’intesa» (che deve intervenire fra le diverse Regioni interessate ad adottare le autorizzazioni alla costruzione ed esercizio delle reti di competenza regionale allorché le relative opere ricadono nel territorio di più Regioni). Ad avviso della Corte, infatti, la disposizione impugnata non configura un’autonoma e diversa fattispecie di potere sostitutivo il cui concreto esercizio dovrà, pertanto, fondarsi sulla verifica della sussistenza dei presupposti sostanziali contemplati nella norma costituzionale, nonché sul rispetto delle condizioni procedimentali previste dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
– Art.1-sexies, comma 8, del d.l. 239/2003 in relazione al quale – dato il rinvio operato per la costruzione e l’esercizio di impianti di energia con potenza superiore a 300 MW termici alle disposizioni del d.l. 7 febbraio 2002, n. 7 convertito con l. 55/2002 –, si può fare riferimento alle argomentazioni svolte dalla Corte nella precedente sentenza n. 6/2004.
– Art.1, commi 1 e 3, del d.l. 239/2003 convertito in legge 290/2003 che attribuiscono allo Stato (in particolare al Ministero Attività Produttive, di concerto con Ministero Ambiente) il potere di derogare ai limiti di emissione in atmosfera e di scarichi termici per l’esercizio temporaneo di singole centrali idroelettriche con potenza superiore a 300 MW. Contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente, infatti, la Corte non riconduce le disposizioni impugnate relative ai poteri di deroga temporanei alla materia (di legislazione concorrente) della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117. co. 3), ma a quella (di legislazione esclusiva) della “tutela dell’ambiente” (art. 117. co. 2 let. s).A tale riconduzione, consegue che “la loro previsione e la loro disciplina spettano alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, senza che ricorra la necessità di quegli specifici meccanismi di collaborazione con le Regioni che questa Corte ha ritenuto indispensabili nelle ipotesi della «chiamata in sussidiarietà»”.
– Art.1, comma 4, let. c) della legge 239/2004, in quanto si è ritenuto che la previsione in base alla quale Stato e Regioni, nell’assicurare l’omogeneità delle modalità di fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia e dei criteri di formazione delle tariffe e dei prezzi conseguenti, devono garantire «l’assenza di oneri di qualsiasi specie che abbiano effetti economici diretti o indiretti ricadenti al di fuori dell’ambito territoriale delle autorità che li prevedono», si configura come un principio fondamentale di per sé non irragionevole né tale da limitare in modo eccessivo i poteri dei legislatori regionali.
– Art.1, comma 26, della legge 239/2004 che ha modificato l’assetto della suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni fondato sui criteri oggettivi introdotti dal d. lgs. 112/1998 della potenza degli impianti e della tensione delle reti di trasporto, sostituendolo con il criterio dell’appartenenza o meno degli impianti alla rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica. Secondo la prospettazione della regione ricorrente nel nuovo sistema l’individuazione dell’ambito della rete di trasmissione nazionale sarebbe stata di fatto rimessa alla discrezionalità del Ministro Attività Produttive, con conseguente possibile «determinazione del confine tra la competenza regionale e quella statale, senza che sia previsto alcun coinvolgimento delle regioni».
La Corte non ha accettato tale ricostruzione osservando che il riordino dell’intero settore energetico (e nell’ambito di questo, di quello elettrico) operato dalla legge 239/2004 ha riguardato anche gli atti che determinano i confini delle diverse reti di interesse nazionale, la cui puntuale definizione – proprio alla luce della lettura dell’articolo 1, comma 7, let g) h) ed i) e dell’articolo 1, comma 8, let. a) punto 3 che deve essere effettuata sulla base della presente pronuncia –, va condotta attraverso meccanismi che contemplano tutti la presenza di adeguati strumenti di codecisione paritaria tra lo Stato e il sistema delle autonomie.
– Art.1, comma 26, della legge 239/2004, nella parte in cui introduce il comma 4-ter nell’articolo 1-sexies del d.l. 239/2003, poiché tale disposizioni delineano una normale disciplina transitoria che regola in modo non irragionevole i procedimenti già iniziati sotto un regime giuridico precedente.
– Art.1, comma 33, della legge 239/2004 che ha fatto salve le concessioni di distribuzione di energia elettrica in essere ed ha previsto che solo il Ministro delle Attività Produttive possa, sentita l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, proporre modifiche e variazioni alle clausole contenute nelle convenzioni. Ad avviso della Corte, le disposizioni controverse hanno carattere transitorio e non risultano, di per sé, irragionevoli. Inoltre, non vi sarebbe alcuna ragione di ritenere necessaria un’intesa con la Regione interessata, poiché il “potere di proposta” attribuito al Ministro per le Attività Produttive per tradursi in modifiche alle clausole delle convenzioni esistenti deve necessariamente incontrare il consenso delle parti oggetto del rapporto.
– Art.1, commi 56, 57 e 58, della legge 239 del 2004 che disciplinano le attività di lavorazione e stoccaggio di oli minerali, in particolare individuando quelle soggette ad autorizzazione di competenza delle Regioni. Ad avviso della Corte, l’individuazione delle attività soggette ad autorizzazione costituisce una disciplina qualificabile come principio fondamentale della materia, dal momento che attraverso di essa viene stabilito quando si renda necessaria la sottoposizione al peculiare regime amministrativo relativo agli stabilimenti di lavorazione e stoccaggio degli oli minerali. La scelta operata, quindi, appare dipendente da variabili e parametri tendenzialmente insensibili alla specificità territoriale, in quanto legati alla obiettiva rilevanza – non frazionabile geograficamente – di tali attività rispetto agli interessi pubblici che ne impediscono uno svolgimento liberalizzato. In una prospettiva più generale, la Corte osserva che occorre prendere atto della ineludibilità dell’evidente impatto sul territorio di molte delle scelte che caratterizzano il settore delle politiche riconducibili alla materia dell’energia. Tali conseguenze, tuttavia, debbono ritenersi adeguatamente bilanciate dal doveroso coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali all’interno dei processi decisionali di elaborazione e realizzazione delle politiche energetiche.
– Art.1, commi 77,78,79,80,81,82 e 83 della legge 239/2004 che prevedono il procedimento di rilascio del permesso di ricerca e della concessione degli idrocarburi, stabilendo che tali procedimenti costituiscono titolo per la costruzione degli impianti e delle opere necessarie e sostituiscono ad ogni effetto autorizzazioni, permessi, concessioni ed atti di assenso comunque denominati e, qualora le opere comportino variazioni agli strumenti urbanistici, producono l’effetto della variante. Secondo la Corte le disposizioni impugnate devono essere interpretate come «semplicemente specificative delle caratteristiche della fase istruttoria e degli effetti della autorizzazione» – che resta peraltro disciplinata dall’art. 1, comma 7, lettera n), della stessa legge n. 239 del 2004, il quale prevede la necessità dell’intesa con le Regioni interessate, con la conseguente assenza delle lamentate lesioni delle competenze regionali.
– Art.1, comma 121, della legge 239/2004, con il quale viene delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia, ai sensi e secondo i principî e criteri di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni. Secondo la Corte, infatti, i principî e criteri direttivi della delega legislativa contenuta nella disposizione impugnata non appaiono di per sé contrastanti con i limiti posti dall’art. 117, terzo comma, Cost., alla legislazione statale nell’ambito delle materie attribuite alla potestà concorrente, ed i criteri direttivi contenuti nel comma 121, attengono non solo al settore energetico, ma anche a materie di sicura competenza esclusiva dello Stato.
B) Fondate sono state, invece, ritenute le questioni di costituzionalità avanzate nei riguardi degli articoli di seguito elencati:
– Art.1, comma 4, let. f) della legge 239/2004 nella parte in cui esclude gli impianti alimentati da fonti rinnovabili dalla possibilità di prevedere misure compensative e di riequilibrio ambientale e territoriale, per le concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto ambientale rese necessarie da esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali. Ad avviso della Corte, tale limitazione configura una violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione dal momento che anche gli impianti alimentati da fonti rinnovabili potrebbero avere sul territorio un impatto tale da rendere necessaria la previsione di misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale. La previsione legislativa, infatti, eccede il potere statale di determinare, in materie riconducibili all’art.117, 3 co., i principi fondamentali della materia e determina una irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell’impatto che tali opere possono avere sul proprio territorio, in quanto individua puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni in sede di esercizio delle proprie competenze costituzionalmente garantite.
– Art.1, comma 7, lett. g) e h) della legge 239/2004, in relazione alla mancata previsione di adeguate forme di leale collaborazione per l’esercizio, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs 281/1997, dei poteri statali in materia di «programmazione delle reti infrastrutturali energetiche di interesse nazionale e dalla loro articolazione territoriale»; funzioni che incidono sulle competenze regionali in materia di energia, nonché di governo del territorio, tutela della salute e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Ad avviso della Corte, infatti, è costituzionalmente necessario che l’esercizio dei poteri che determinano le linee generali di sviluppo dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche nazionali, nonché la loro programmazione, venga ricondotto a moduli collaborativi con il sistema delle autonomie territoriali nella forma dell’intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata.
– Art.1, comma 7, let. i) della legge 239/2004, in relazione alla mancata previsione che l’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici necessarie per garantire il soddisfacimento delle esigenze del settore energetico avvenga d’intesa con le Regioni e province autonome nel cui territorio dovranno essere realizzate. Anche in questo caso, infatti, la Corte rileva che la predisposizione di un programma di grandi infrastrutture per le finalità indicate dalla disposizione impugnata implica necessariamente una forte compressione delle competenze regionali non soltanto nel settore energetico ma anche nella materia del governo del territorio, di talché è condizione imprescindibile per la legittimità costituzionale dell’attrazione in sussidiarietà a livello statale di tale funzione amministrativa, la previsione di un’intesa in senso forte con le Regioni e province autonome interessate.
– Art.1, comma 8, let. a) punti 3 e 7 della legge n. 239/2004, che, rispettivamente, attribuiscono allo Stato il potere di approvare gli «indirizzi di sviluppo della rete di trasmissione nazionale, considerati anche i piani regionali di sviluppo del servizio elettrico» e di definire i «criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell’energia elettrica e per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW, sentita la Conferenza unificata e tenuto conto delle linee generali dei piani energetici regionali». In relazione ad entrambe le previsioni, la Corte rileva la necessità che la chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione degli «indirizzi di sviluppo della rete» e di definizione «dei criteri generali per le nuove concessioni», debba essere accompagnata dalla previsione di idonei moduli collaborativi nella forma dell’intesa in senso forte tra gli organi statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell’intera pluralità degli enti regionali e locali
– Art.1, comma 8, let b) punto 3 della legge n. 239/2004 che attribuisce allo Stato il potere di assumere «le determinazioni inerenti lo stoccaggio di gas naturale in giacimento». Anche in questo caso, infatti, trattasi di un «delicato potere amministrativo, per di più connesso con una molteplicità di altre funzioni regionali, quanto meno in tema di tutela della salute e di governo del territorio» che, ai fini di una valutazione di legittimità costituzionale, deve essere accompagnato dalla previsione di un’intesa in senso forte fra gli organi statali e le Regioni e le Province autonome direttamente interessate.
– Art.1, comma 24, let. a) della legge 239/2004, che ha mantenuto in capo al Ministero delle Attività Produttive, il potere di emanare gli indirizzi di sviluppo delle reti nazionali di trasporto dell’energia elettrica e del gas, disponendo altresì, che esso verifichi la conformità dei piani di sviluppo predisposti annualmente dai gestori delle reti di trasporto a tali indirizzi. Ad avviso della Corte, infatti, le disposizioni impugnate, pur essendo chiaramente riconducibili all’ambito della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», giustificano la “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato per il soddisfacimento dell’esigenza di assicurare una visione unitaria per l’interno territorio nazionale. Anche in questo caso, però, data la rilevanza del potere «di emanazione degli indirizzi» attribuito allo Stato e la sua sicura indiretta incidenza sul territorio e sui poteri regionali, si rende costituzionalmente obbligata la previsione di un’intesa in senso forte tra gli organi statale e il sistema delle autonomie territoriali rappresentato in sede di Conferenza Unificata. Diverso è, invece, il discorso relativo all’attribuzione al Ministero del compito di effettuare la mera attività di verifica di conformità dei piani di sviluppo annuali dei gestori delle reti agli indirizzi di sviluppo, in quanto tale attività di verifica si sostanzia nell’esercizio di un potere di controllo, a discrezionalità limitata, che si esplica a valle dell’attività di selezione e disciplina degli interessi pubblici operata in sede di elaborazione – congiunta tra Stato ed autonomie – di quegli indirizzi cui i piani di sviluppo devono conformarsi.
– Art.1, comma 26, legge 239/2004 che modifica il d.l. 239/2003 introducendovi il comma 4-bis dell’articolo 1-sexies, ai sensi del quale si prevede che in caso di mancato conseguimento dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate nel termine prescritto per il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli elettrodotti, «lo Stato esercita il potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120 della Costituzione, nel rispetto dei principî di sussidiarietà e leale collaborazione ed autorizza le opere di cui al comma 1, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per le attività produttive previo concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio». Ad avviso della Corte, «il meccanismo previsto dall’articolo 120 Costituzione, comma 2, non può essere applicato ad un’ipotesi come quella presa in considerazione dalla norma impugnata in quanto, nei casi in cui l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa regionale, tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti (Cfr. sentenze 242 e 285 del 2005). In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell’intesa, la volontà della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l’unico attore di una fattispecie che, viceversa, non può strutturalmente ridursi all’esercizio di un potere unilaterale. L’esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potrà certamente ispirare l’opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell’intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni».