L’atto amministrativo informatico è un provvedimento amministrativo che scaturisce dalla “volontà” di un elaboratore elettronico, a seguito di un procedimento[1].
Com’è noto, dottrina largamente maggioritaria sostiene che il procedimento si suddivida in varie fasi. Innanzitutto, c’è la fase dell’iniziativa, che è quella inerente all’attivazione del procedimento (sia ex officio, sia su istanza della parte interessata). C’è poi la fase istruttoria, durante la quale si procede al contemperamento degli interessi pubblici e privati, si richiedono pareri e si coinvolgono le parti interessate, al fine di addivenire all’emanazione dell’atto finale. Segue poi la fase decisionale vera e propria, che è quella durante la quale l’atto viene emanato dalla competente autorità. Infine, c’è la fase integrativa dell’efficacia (che è soltanto eventuale), con la quale si porta a compimento l’iter burocratico e successivamente alla quale l’atto è libero di spiegare i propri effetti giuridici.
Per quel che riguarda gli atti amministrativi informatici, essi devono essere il risultato di un procedimento analogo a quello descritto, con la sola differenza che tutte le varie fasi vengono svolte con l’ausilio di un computer e non direttamente dall’uomo soltanto. Naturalmente, per poter compiere operazioni di questo genere, c’è bisogno che il computer contenga in sé un programma che lo abiliti a questo tipo di attività. Un programma lo possiamo assimilare alla “fattispecie astratta” del procedimento, ossia una sorta di schema di procedimento da seguire, dettagliatamente predeterminato in tutti i suoi elementi.
In altre parole, possiamo dire che il programma è l’insieme delle istruzioni individuate in un elaboratore e che sono strumentali ad un dato risultato. Nel caso in esame, il programma è l’insieme ordinato di regole precise (il procedimento amministrativo), non equivoche, generali ed astratte, formulate ex ante, tendenti ad ottenere come risultato finale un atto amministrativo.
Una questione all’attenzione della dottrina riguarda l’identificazione giuridica del programma. Alcuni giuristi lo hanno identificato con un atto amministrativo in formazione: in verità, il programma è un atto finito e concluso. Altri lo considerano un atto normativo: gli atti normativi, però, sono tipici, essendo qualificabili come tali solo quelli i cui caratteri e le cui modalità di formazione sono ben delineati dalla legge. La dottrina maggioritaria concorda nel ritenere che il programma non sia un atto interno, dal momento che non produce in via diretta ed immediata effetti verso l’esterno. Il programma è un atto a rilevanza esterna[2], che dispiega i suoi effetti erga omnes, ma in un momento successivo, ossia al tempo della emanazione dell’atto amministrativo informatico.
Il programma, quindi, è formato da un insieme di regole elementari, a carattere tecnico, che permette sia di tradurre nel linguaggio elettronico di una macchina il linguaggio naturale di un testo di legge (dato di diritto) o una vicenda della vita reale (dato di fatto), sia di identificare un percorso logico, il quale, partendo da certe premesse, giunga a determinate conseguenze.
Il primo momento prende il nome di “formalizzazione dei dati di fatto o di diritto”, e consiste nella traduzione in linguaggio formale dei principi giuridici generali, delle proposizioni normative e delle massime giurisprudenziali pertinenti al problema. La formalizzazione traduce in linguaggio formale anche l’avvenimento concreto, il quale, trovando la sua corrispondenza in una norma di diritto, produce certe conseguenze.
Una volta formalizzati i dati di fatto e di diritto, il programma deve poter mettere insieme tali elementi, addivenendo alla decisione identificata a priori. Questa fase prende il nome di “formalizzazione del processo di ragionamento”, ovvero di algoritmo.
La formalizzazione presenta dei limiti di carattere logico e giuridico. Il primo limite è quello per cui non è possibile applicare al computer normative che contengono concetti giuridici indeterminati. Pertanto, la formalizzazione deve essere preceduta da una ripulitura del testo legale da ambiguità di tipo sintattico, attraverso una riformulazione che ne esprima la struttura logica in modo univoco. A tale fine il documento normativo viene scomposto in enunciati elementari, di forma sintatticamente compiuta e dotate di autonomia semantica.
Il secondo limite attiene all’algoritmo e consiste nella circostanza per la quale il nesso di derivazione tra le premesse giuridico-legali e/o di fatto e le conseguenze deve essere chiaro e privo di contraddizioni logiche o di lacune.
Il terzo limite è connesso alla natura della attività amministrativa: se essa sia vincolata o discrezionale. A tal proposito, è bene ricordare che l’attività discrezionale è oggetto di numerose interpretazioni. La dottrina più accreditata reputa che l’attività discrezionale è quella nella quale la legge, pur individuando i fini che una Pubblica Amministrazione è tenuta a raggiungere, la lascia libera nei mezzi. In altre parole, la legge identifica, in linea generale, i fini dell’azione amministrativa e le modalità attraverso cui essa può agire; la norma astratta viene riempita della situazione concreta dall’attività delle singole pubbliche amministrazioni. Il concetto di discrezionalità confligge con la logica della programmazione del computer, basata sulla rigida predeterminazione della decisione. Se infatti il programma si basa sull’esistenza di due attività di formalizzazione, quella degli elementi di fatto e di diritto e quella relativa al processo di ragionamento, e se tali attività necessitano di una riformulazione in un linguaggio formale dai significati univoci, ne consegue che il procedimento discrezionale basato sulla ponderazione, risulta contrastare con la attività di programma. Pertanto, al momento, non ci pare possibile demandare interamente ad un computer gli atti amministrativi di natura discrezionale[3].
La attività vincolata, viceversa, non dovrebbe creare problemi di sorta, essendo essa compatibile con la logica del computer.
Qualche perplessità suscita, invece, l’applicazione al computer di normative che prevedono ipotesi di discrezionalità tecnica. La discrezionalità tecnica, a dispetto del nome, è attività vincolata, poiché manca in essa quel giusto contemperamento degli interessi proprio dell’attività discrezionale. La discrezionalità tecnica è rilevante qualora per l’emanazione di un atto è necessaria un’attività valutativa che dipende da specifiche conoscenze tecniche. In queste ipotesi è possibile applicare gli stessi criteri della discrezionalità amministrativa: è vero che il caso in questione non riguarda una scelta tra interessi, ma pur sempre inerisce ad un’attività di scelta tra opzioni di significato diverse ed opinabili.
Dicevamo che il programma rappresenta un elemento dato e immodificabile: è la fattispecie astratta. Invece, l’insieme delle informazioni che devono essere raccolte dalla amministrazione ed inserite nel computer quando inizia un procedimento viene chiamato “input”. L’acquisizione dei dati può avvenire attraverso la mano dell’uomo, o con un software del computer a ciò dedicato, oppure avvalendosi di collegamenti telematici. Naturalmente, alla raccolta di dati ci sono dei limiti: l’interesse ad agire, la liceità dei dati acquisiti e delle modalità di acquisizione, la riservatezza.
Da un punto di vista tecnico, si può dunque definire l’atto amministrativo informatico come il prodotto dell’input inserito nel programma del computer.
La dottrina maggioritaria concorda nel ritenere l’atto amministrativo informatico un atto amministrativo a tutti gli effetti. Infatti, secondo questa dottrina, l’atto sarebbe comunque imputabile alla P. A., essendo il computer soltanto un mezzo attraverso il quale si forma la volontà dell’amministrazione procedente[4]. Ed inoltre, è bene ricordare che la L. 241/90 e succ. mod. riconosce la natura di documento amministrativo ad «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni, o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa».
Alcuni commentatori hanno avanzato dubbi circa l’equiparazione dell’atto elettronico all’atto scritto. Non ci sembra che tali perplessità possano essere accolte. La scrittura non è necessariamente quella effettuata con i tradizionali sistemi (per es.: la penna), bensì qualsiasi insieme di segni, trasferiti con qualsiasi mezzo su qualsiasi supporto.
In questa sede è bene ricordare che, alla stregua di qualsiasi altro atto amministrativo, anche l’atto informatico deve contenere la motivazione[5], in modo che tutti i soggetti interessati siano in grado di verificare l’iter logico e giuridico seguito dalla P.A. per l’emanazione del provvedimento.
In conclusione, possiamo dire che l’atto amministrativo informatico è sottoposto alle stesse regole dell’atto cartaceo, anche quelle riguardanti il responsabile del procedimento[6] e quelle dell’interpretazione degli atti.
Passando ad analizzare le cause di invalidità di un atto amministrativo informatico, dobbiamo innanzitutto dire che un primo esempio è fornito dall’errore della macchina. Infatti, anche un computer può sbagliare, magari per un non corretto funzionamento degli impianti elettronici. Poiché tutto l’iter procedimentale non è immediatamente percepibile, dal momento che avviene in maniera crittografata ed interna al computer, rilevare l’errore non è agevole. Occorrerebbe non tanto una verifica in termini amministrativi, quanto proprio in termini elettronici.
Un’altra causa di invalidità dell’atto amministrativo informatico è costituita dai vizi derivanti dall’input, ossia di vizi che rilevano nella fase istruttoria di un procedimento. Come per gli atti cartacei, anche nel caso di atti informatici le fattispecie di vizi sono riconducibili alle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, dell’incompetenza e della violazione di legge. La natura di queste cause invalidanti può essere omissiva o commissiva, e consiste nella mancata presa in considerazione di alcuni dati, o nell’acquisizione di dati in contrasto con le norme dell’ordinamento. In tutti i casi, l’atto amministrativo illegittimamente formato può essere annullato (o tutt’al più convalidato successivamente).
Ultima ipotesi di invalidità dell’atto amministrativo informatico deriva dai vizi del programma. Da quanto abbiamo detto precedentemente, il programma si può considerare come un atto presupposto rispetto all’atto finale. Perciò, i vizi del programma si riversano conseguentemente nell’atto finale.
Il programma può essere affetto sia da vizi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza), che di merito (sull’opportunità o meno di alcune scelta della P.A. in relazione all’interesse ad agire). Nel primo caso, esso potrà essere annullato; nel secondo caso il programma può essere revocabile, qualora si riveli un vizio sopravvenuto nel merito, in base ad una nuova valutazione degli interessi ad agire. Oppure, il programma può essere rimovibile, nel caso esso venga a trovarsi in contrasto con norme emanate successivamente alla sua adozione. Infine, il programma può essere nullo per incompetenza assoluta, oppure può essere viziato da meri errori materiali.
Pertanto, se il programma presenta uno dei vizi sopra descritto, automaticamente anche l’atto finale sarà viziato, con le conseguenza che la legge prevede per ogni patologia. In ogni caso, quando viene rilevato un vizio invalidante dell’atto amministrativo informativo, derivante da un vizio del programma, il ricorrente (ovvero, colui che ha visto leso un suo interesse legittimo o un suo diritto soggettivo dall’atto) dovrà impugnare entrambi gli atti (sia il programma che l’atto finale).
Infine, problematica appare l’applicabilità della normativa sulla responsabilità dei funzionari per dolo o colpa grave, per l’adozione o l’esecuzione di un atto amministrativo informatico illegittimo. Infatti, a quale funzionario si potrebbe mai imputare l’illegittimità di un atto informatico, atteso che lo stesso è frutto di un procedimento elettronico e non umano[7]? Ovviamente, la questione si può pragmaticamente risolvere con l’adozione di una clausola che esclude in concreto la responsabilità della P.A. del funzionario. D’altra parte, non si può certo garantire così una sorta di “immunità” per le autorità amministrative.
Alcuni Autori[8] sostengono che, non essendo agevole individuare forme di responsabilità specifica della P.A. e dei funzionari, bisogna pensare ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva della P.A. per danni causati nello svolgimento dei compiti amministrativi mediante elaboratori elettronici.
[1] Sull’atto amministrativo informatico, in dottrina, A. MASUCCI, L’atto amministrativo informatico, Napoli, 1993, e Id., Atto amministrativo informatico, ad vocem, in Enciclopedia del diritto, 1997, I aggiornamento; in queste pagine sarà seguita l’impostazione contenuta nelle opere citate di A. MASUCCI. In materia, inoltre, FANTAGROSSI, Automazione e pubblica amministrazione, Bologna, 1993, e D’ELIA CIAMPI, L’informatica nella pubblica amministrazione, Roma, 1987.
[2] La rilevanza interna o esterna di un atto va considerata alla stregua del rapporto in cui esso si colloca. Sono a rilevanza interna quegli atti che esauriscono i loro effetti nell’ambito di un rapporto interno alla P.A.; sono a rilevanza esterna quegli atti che (anche se di per sé non producono immediatamente effetti verso l’esterno), trovano concretizzazione in un rapporto esterno.
[3] MASUCCI, op. cit., sottolinea, con spunti critici di grande interesse, che l’adozione di un atto amministrativo tramite un elaboratore elettronico è difficilmente conciliabile con l’esercizio di un potere discrezionale, i cui esiti possono variare da caso a caso.
[4] La riferibilità dell’atto informatico all’autorità si può dimostrare, tenendo presente che la volontà del computer è volontà dell’autorità. Infatti, quest’ultima predispone con il programma, la decisione per un numero predeterminato di casi, configurandosi quale “dominus” dell’intero procedimento. D’altra parte, abbiamo detto che il computer non sa eseguire nessuna operazione o scelta che non sia predeterminata dal programma, in esso immesso dall’autorità procedente. Pertanto, il computer è solo un mezzo attraverso cui la P.A. persegue i propri obiettivi e le proprie finalità.
[5] Va precisato che l’obbligo della motivazione, ex art. 3 della L. 241/90, non riguarda qualsiasi atto amministrativo, ma solo i provvedimenti amministrativi (sulla distinzione, si veda SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989).
[6] Secondo MASUCCI, op. cit., «nel caso in cui si tratti di atti amministrativi informatici in forma elettronica, è evidente che l’indicazione del responsabile deve avvenire attraverso la cosiddetta firma elettronica, ovvero attraverso procedure elettroniche che attestino la provenienza dell’atto e garantiscano l’integrità del suo contenuto».
[7] Peraltro, come si è in precedenza rilevato, spesso l’illegittimità dell’atto amministrativo deriva da meri errori di macchina.
[8] MASUCCI, op. cit., e BULL, Allgemeines Verwaltungs, Heidelberg, 1993.