Carlo Bottari (a cura di), Fondazioni di origine bancaria e fondazioni di comunità locale, Milano, Giuffrè, 2005, pp. XII-442. di Matteo Cosulich

12.07.2005

Apprezzare pienamente la pluralità degli approcci e la varietà dei contributi che caratterizzano un volume collettaneo, richiede la preliminare individuazione del suo fil rouge, in modo da potersi agevolmente orientare nell’accennata complessità. Si tratta di un compito non particolarmente disagevole con riferimento al buon volume curato da Carlo Bottari, che trova il suo asse portante nelle relazioni tra fondazione di origine bancaria e comunità locale.
Costituisce un chiaro sintomo di tale scelta l’espressa menzione, nel titolo del volume, delle “fondazioni di comunità locale”, neologismo utilizzato in una triplice accezione: anzitutto, e più pianamente, come traduzione italiana della locuzione (e del relativo modello, per quanto esportabile in un ordinamento di civil law, qual è notoriamente il nostro), anglosassone in genere e statunitense in specie, community foundation (così i saggi di Andrea Maltoni e, con qualche cautela in più, di Maria Alessandra Stefanelli, che mantiene la locuzione in lingua originale); inoltre, per definire le fondazioni, regolate dal codice civile, costituite dalla Fondazione Cariplo come sue articolazioni sul territorio di riferimento (così il già citato saggio di Andrea Maltoni che sembra elevare la soluzione della fondazione lombarda a modello per le altre fondazioni di origine bancaria); infine, come possibile – e auspicato, parrebbe – punto di arrivo dell’evoluzione delle fondazioni di origine bancaria, così pienamente inserite nella prospettiva della sussidiarità, orizzontale e verticale, secondo un’indicazione proposta dalla presentazione di Pietro Rescigno ed espressamente presente nei saggi sia di Federico Gualandi e Camilla Mancuso, sia di Giorgio Baratti.
La terza accezione qui proposta della “fondazione di comunità locale” è naturalmente quella di maggior interesse per il lettore, in quanto finisce per delineare un modello di fondazione di origine bancaria ben differente da quello oggi in fatto prevalente nel nostro paese; non a caso, il modello in discorso è presente, quantomeno in filigrana, in tutti i saggi contenuti nel volume recensito.
E’ d’altra parte un tratto caratteristico di molti scritti in materia di fondazioni di origine bancaria il non limitarsi a un approccio descrittivo, affiancandovi invece considerazioni almeno parzialmente prescrittive. Il che può meglio comprendersi alla luce delle incertezze che hanno caratterizzato il ruolo – fors’anche più ancora della natura giuridica – degli enti conferenti prima, poi delle fondazioni di origine bancaria, loro succeditrici; incertezze che hanno appunto lasciato spazio alle più varie proposte di sviluppo dei soggetti in questione, secondo molteplici virtualità che la loro recente stabilizzazione in termini di natura e struttura (sentenze della Corte costituzionale n. 300 e n. 301 del 2003) ha ridotto ma non annullato.
Ecco dunque i tratti salienti del modello di fondazioni di origine bancaria che il volume curato da Carlo Bottari implicitamente propone.
Si tratta, anzitutto, di fondazioni ormai talmente lontane da quel mondo bancario che le ha tenute a battesimo che i legami con esso, tutt’ora riscontrabili sotto vari profili, non sono oggetto di nessuno degli undici saggi del volume.
Ancora, venendo alle indicazioni in positivo, le fondazioni di origine bancaria vengono saldamente inserite nella rete della sussidiarietà in modo da diventarne “autentiche protagoniste”, come rileva Carlo Bottari in conclusione del suo saggio. Si fa riferimento anzitutto alla sussidiarietà verticale, e dunque al rapporto con gli enti “comunque espressivi delle realtà locali”, secondo l’indicazione che il giudice costituzionale propone nell’interpretazione adeguatrice della riforma Tremonti delle fondazioni di origine bancaria (art. 11 legge n. 448 del 2001) compiuta nella sent. n. 301 del 2003. Ma non manca il richiamo, ancor più ricco di implicazioni, all’accezione orizzontale del principio di sussidiarietà, che peraltro sviluppa la lettura, ora richiamata, proposta dal giudice delle leggi, laddove si riferisce agli enti “pubblici o privati”. Nella prospettiva in discorso possono inserirsi le modalità di collaborazione tra fondazioni di origine bancaria e IPAB trasformate (cui Roberto Manservisi dedica il suo contributo al volume collettaneo), siano esse aziende pubbliche di servizi alla persona o persone giuridiche di diritto privato senza fine di lucro.
Inoltre, quanto ai settori di attività (sui quali si veda il saggio di Paolo Rosa), il volume si sofferma in particolare su alcuni di essi, quasi a voler indicare alle fondazioni una sorta di priorità; così accanto ai settori della ricerca scientifica, dell’educazione, dell’istruzione e della formazione professionale, da un lato, e, dall’altro, dei beni e delle attività culturali, approfonditi rispettivamente da Laura Capaldi e Francesco Vella, particolare enfasi viene posta sull’ambito dei servizi sociali (cui si dedica Guido Franchi Scarselli), che – sebbene non coincida con nessuno dei settori ammessi, ma possa ricavarsi dalla sommatoria di alcuni di essi – pare particolarmente adatto a radicare nel proprio territorio e soprattutto nella propria comunità il modello di fondazione delineato nel volume. D’altra parte, la compresenza, nell’ambito dei servizi sociali, di operatori privati e pubblici, locali e no, sembra poterne fare un terreno particolarmente adatto alla sperimentazione delle potenzialità proprie del principio di sussidiarietà, orizzontale e verticale, nell’attuazione del quale – lo si è detto – le fondazioni di origine bancaria dovrebbero giocare, nelle intenzioni degli autori, un ruolo essenziale.
Infine, rispetto alla realtà odierna, che vede nelle fondazioni di origine bancaria delle fondazioni prevalentemente grant making (definite non a caso, a p. 40, ricorrendo al non lusinghiero aggettivo “elemosiniere”), dal volume curato da Carlo Bottari emerge nitidamente l’indicazione a favore di fondazioni operative, che non si limitino all’attività erogativa, ma agiscano in prima persona (ad esempio gestendo scuole private o centri di assistenza ospedaliera, come proposto rispettivamente a p. 48 e a p. 56).
Il volume recensito delinea dunque un futuro possibile per le fondazioni di origine bancaria; sebbene talvolta improntato a una fiducia forse eccessiva nelle potenzialità del modello delineato (come laddove, a p. 435, sembra attribuirsi alle fondazioni di origine bancaria chiamate a operare nei servizi sociali una funzioni di riequilibrio fra le varie aree del paese; mentre semmai, purtroppo, pare essere vero il contrario, soprattutto se le fondazioni, concentrate – com’è noto – nelle zone economicamente più favorite, si dedicano ciascuna prioritariamente alla propria comunità di riferimento), il tentativo compiuto dagli autori del volume si segnala per l’originalità dell’impostazione e per il particolare angolo visuale prescelto, che ne fa un contributo scientifico certamente suscettibile di ulteriori, proficui sviluppi.

d.dellapenna