Corte costituzionale, 6 – 15 dicembre 2004, n. 379
Il Governo ha impugnato gli articoli 2, comma 1, lett. f); 15, comma 1; 13, comma 1, lett.a); 17; 19; 24, comma 4; 26, comma 3, 28, comma 2, 45, comma 2; 49, comma 2; 62, comma 3, dello Statuto della Regione Emilia- Romagna. La Corte costituzionale ha sostenuto:
· L’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale riferita all’art. 2, comma 1 (diritto di voto agli immigrati), stabilendo che le delibere statutarie possono contenere delle dichiarazioni di principi e finalità da perseguire in considerazione del ruolo della Regione quale ente esponenziale della collettività di riferimento. Tali ‘linee guida’ non sono assimilabili alle norme programmatiche della Costituzione e non hanno perciò valore precettivo e vincolante, da cui discende l’inammissibilità della censura per inidoneità lesiva della norma impugnata.
· La non fondatezza della censura riferita all’art.13, comma 1 lett.a) (esecuzione di accordi internazionali stipulati dallo Stato), in quanto la formulazione letterale della norma prevede espressamente la conformità dalle ‘norme di procedura’ quali risultano dall’art.117, quinto comma, della Costituzione.
· La non fondatezza della censura relativa all’art.15, comma 1, poiché esso si configura come norma relativa ad un ambito di sicura competenza regionale.
· La non fondatezza della censura riguardante l’art.17 (possibilità di un’istruttoria in forma di contraddittorio pubblico), poiché tali istituti erano già stati sperimentati con successo in altri contesti senza alcuna violazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione.
· La non fondatezza delle censure relative all’art.19 (partecipazione di associazioni al procedimento legislativo), in quanto significativi soggetti presenti nel tessuto sociale possono contribuire alla formazione degli atti regionali, con una riduzione dell’eventuale conflittualità tra interessi contrastanti.
· La non fondatezza della censura di illegittimità riferita all’art.24, comma 4, (conferimento agli enti locali di funzioni amministrative nelle materie di competenza della Regione tramite legge regionale), in quanto tale previsione non è altro che una specificazione del principio di sussidiarietà, che consiste nell’individuazione del miglior livello di governo per lo svolgimento di funzioni amministrative.
· La non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.26, comma 3, (delimitazione dell’area metropolitana di Bologna), poiché il tenore letterale della norma fa intendere il rispetto, da parte della legge regionale, della disciplina stabilita con legge dello Stato.
· La non fondatezza della censura riferita all’art.28, comma 2, (approvazione del programma di governo da parte del Consiglio regionale), in quanto tale previsione non è suscettibile di snaturare la forma di governo prevista dall’art.122, visto che non discendono conseguenze giuridiche dalla mancata approvazione di tale programma.
· L’illegittimità costituzionale dell’art.45, comma 2, (incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di assessore) poiché tale determinazione è assegnata dalla Costituzione alla legge regionale, non allo statuto.
· L’infondatezza della censura mossa all’art. 49, comma 2, (esecuzione dei regolamenti comunitari), in quanto nel nuovo Titolo V non è stato modificato il quadro normativo che prevede il potere delle Regioni di disciplinare l’applicazione dei regolamenti comunitari, e resta in ogni caso il potere sostitutivo statale di cui all’art.120 Cost.
· L’infondatezza della censura relativa all’art.62, comma 3, (disciplina del rapporto di lavoro del personale regionale), poiché il riferimento al termine ‘legge’ nella norma in questione assume una valenza meramente ricognitiva del rapporto tra legislazione e contrattazione nella disciplina del rapporto di lavoro del personale regionale.
Statuto Emilia-Romagna Corte costituzionale, 6 – 15 dicembre 2004, n. 379
13.04.2005