Con il d.lgs. n. 29/93 il rapporto tra pubblica amministrazione e dipendenti si svolge attraverso l’utilizzo di atti paritetici, dove, in relazione alla gestione del rapporto di lavoro, la P.A. agisce, ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 165/01, con le capacità ed i poteri del privato datore di lavoro.
Le modifiche unilaterali di parte datoriale dell’oggetto contrattuale, “da valutare in termini di adempimento/inadempimento degli obblighi, che scaturiscono dalla legge e dal contratto, individuale e collettivo” sono ammesse nei soli casi previsti sia dalla legge che dalla fonte bilaterale.
In siffatta situazione, il Giudice Ordinario, in funzione di giudice del lavoro, indagando sul rapporto (e non sull’atto), valuta “i vizi tipici della patologia negoziale, derivanti dalla violazione della disciplina legale o contrattuale che regge l’attività di diritto privato dell’amministrazione.”
Affinchè la revoca dell’incarico sia legittima i “mutamenti organizzativi” ( di cui all’art. 9 CCNL del personale dipendente degli enti locali pubblicato nella G.U. del 24 aprile 1999) devono essere antecedenti a siffatta “determinazione datoriale, costituendo, logicamente e giuridicamente, il presupposto fondamentale del potere di revoca dell’incarico e di recesso dal rapporto.”
(Nel caso in esame, essendo tali mutamenti organizzativi, intervenuti in un momento successivo alla revoca, tale decisione datoriale è stata ritenuta integrante gli estremi di un inadempimento, ledendo il diritto del ricorrente a svolgere l’incarico affidatogli. È stata dunque condannata l’amministrazione a risarcire il danno, nello specifico, costituito, da perdita della retribuzione di posizione ed interessi legali. È stata invece negata, nel computo del risarcimento del danno, la retribuzione di risultato, che dipendendo dalla valutazione annuale dell’ente “costituisce una eventualità e non una certezza”).