Lo status dei docenti: un rapporto Eurydice fa notare il sostanziale immobilismo del nostro sistema

24.03.2005

L’Italia è ultima in Europa nella corsa alla modernizzazione dell’insegnamento: negli ultimi 25 anni, infatti, i Paesi europei hanno messo in campo molti interventi per modernizzare le carriere dei docenti, ma lo stesso non è accaduto nel nostro Paese, dove ancora non esistono stipendi legati al merito e dove l’organizzazione dell’orario di lavoro non è mai stata oggetto di alcuna riforma, a differenza di quanto avvenuto in buona parte degli Stati europei. E’ quanto emerge un rapporto sulla professione docente europea appena pubblicato da Eurydice – la rete europea di informazione sull’educazione nata nel 1980 – che mette in luce il ritardo dell’Italia nella modernizzazione del lavoro degli insegnanti e, più in generale, di tutto il sistema dell’istruzione.
Lo studio passa in rassegna le riforme che dal 1975 al 2002 hanno innovato la condizione lavorativa dei docenti delle scuole secondarie superiori di tutti i Paesi dell’Unione, intervenendo soprattutto sulla formazione iniziale, sui salari e sugli aumenti legati al merito e al maggior impegno, sull’orario di lavoro e sulle mansioni affidate a ogni insegnante.
Le azioni di riforma hanno riguardato anche altri aspetti della professione, come la formazione in servizio, le modalità di reclutamento, la valutazione dell’operato dei docenti e le questioni legate alla sicurezza sul lavoro, ma con modifiche – mette in evidenza il Rapporto – di minore portata.
La maggior parte degli interventi di riordino messi in campo dai Paesi europei, invece, hanno riguardato la formazione iniziale dei docenti: il trend di riforma ha subito un’accelerazione in tutti i Paesi membri a partire dagli anni ‘90, in concomitanza con l’estendersi dei provvedimenti di decentramento amministrativo, che hanno riguardato, oltre alla formazione iniziale, anche il livello dei salari. In undici paesi dell’Unione (Italia esclusa) i corsi di aggiornamento in servizio sono stati resi obbligatori o, comunque, «molto raccomandati» a tutti i docenti delle scuole secondarie superiori dal momento che, in molti casi – dice il rapporto – la formazione sul lavoro rappresenta un requisito indispensabile per l’avanzamento in carriera e il relativo ” bonus” retributivo.
Proprio sulla questione degli aumenti in busta paga legati all’impegno e al merito di ogni docente l’Italia mostra il ritardo più evidente: i primi interventi sui salari sono stati realizzati nei Paesi europei a partire dai primi anni 80 con l’obiettivo di stabilire i livelli di retribuzione anche in base al merito, alle performance in classe, alla maggiore formazione e ai titoli conseguiti dall’insegnante nel corso della sua carriera.
Dal 1990 in poi – afferma Eurydice- la necessità di attrarre nuovi docenti e di garantire un’alta qualità dell’insegnamento ha determinato un maggiore ricorso agli incentivi stipendiali. Ciò è accaduto in quasi tutti i Paesi, tranne che in Italia, Belgio, Repubblica Ceca, Spagna, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Austria, Finlandia, Scozia, Islanda e Liechtenstein.
I Paesi Bassi e il Regno Unito – dice ancora lo studio – sono stati tra i primi ad applicare la logica del ” libero mercato” ai sistemi di educazione, con l’obiettivo di incoraggiare la competizione tra le scuole e aumentare il livello professionale dei docenti.
In Italia il decentramento delle competenze sulle assunzioni di personale docente «è stato accompagnato – fa notare Eurydice – da un aumento delle ore totali di insegnamento, probabilmente causato dalla concomitante riforma che ha privatizzato i contratti».

http://www.eurydice.org

a cura di Rosalba Picerno