Il 4 marzo il Consiglio dei Ministri (il codice delle amministrazioni digitali, nelle varie versioni, è disponibile sul sito telematico del Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie, www.mininnovazione.it) ha approvato lo schema definitivo del decreto legislativo, recante il Codice dell’amministrazione digitale.
Ad una prima lettura del suddetto schema, nel quale sono confluite molte norme legislative del Testo unico sulla documentazione amministrativa, relative al documento informatico ed ai sistemi di gestione informatica dei documenti (Capi II e IV, DPR 445/2000), si ha la sensazione che questo provvedimento avrà un forte impatto sull’attività della amministrazione pubblica italiana. E’ bene precisare che tale Codice è stato preparato in attuazione di una delle deleghe di riassetto normativo contenute nella legge di semplificazione per il 2001, la 229/03.
L’art. 10 della suddetta legge 229/03 ha dato incarico al Governo di adottare «uno o più decreti legislativi, su proposta del Ministro per l’innovazione e le tecnologie e dei ministri competenti per materia, per il coordinamento ed il riassetto delle norme in materia di società dell’informazione», aventi precisamente ad oggetto «il documento informatico, la firma elettronica e la firma digitale; i procedimenti amministrativi informatici; le modalità di accesso informatico ai documenti e alle banche dati di competenza delle amministrazioni».
Nel Codice dell’amministrazione digitale, la vigente normativa viene raccolta con l’evidente scopo di dare organicità e completezza ad una materia, particolarmente nuova e di grande interesse. Nasce, così, una legislazione specifica in materia di diritto amministrativo digitale, che cerca ancora più di concretizzare il raggiungimento degli obiettivi fondamentali dell’azione amministrativa.
L’art. 3, è la norma che riassume l’obiettivo di questo nuovo codice. Recita, infatti, tale articolo: «I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali, nei limiti di quanto previsto nel presente decreto». Viene così definito un nuovo diritto soggettivo, il diritto all’uso delle tecnologie.
Dalla lettura dell’art. 7 si evince, inoltre, che il diritto all’uso delle tecnologie è rivendicabile in qualsiasi momento. Infatti, le pubbliche amministrazioni centrali hanno il dovere di aggiornare periodicamente i servizi che vengono offerti, e di incentivare l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ricollegandoci a quanto affermato sopra, il diritto all’uso delle tecnologie rientra nelle finalità dell’agire pubblico. Recita, infatti, l’art. 10 del Codice: «Le pubbliche amministrazioni utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza e semplificazione».
Particolarmente rilevante è anche il disposto dell’art. 13, che pone l’attenzione sulla questione della riorganizzazione strutturale e gestionale. E’ bene dire che il processo di digitalizzazione della P.A. non può riguardare solo gli aspetti squisitamente tecnici, ma anche e soprattutto le risorse umane. Accanto alle strutture, va dunque rinnovata la cultura informatica, anche per mezzo di percorsi di alfabetizzazione all’interno delle amministrazioni. Sussiste, pertanto, l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di prevedere, nell’ambito delle attività di formazione delle risorse umane, corsi per l’acquisizione e il consolidamento delle conoscenze informatiche del personale (art. 11).
Lo schema di codice dell’amministrazione digitale non poteva tacere del ruolo dell’Italia all’interno della Comunità Europea. Infatti, a norma dell’art. 10 comma 3, le strutture informatiche devono essere tali da permettere l’inserimento dell’Italia all’interno delle reti transeuropee per lo scambio di informazioni fra le amministrazioni dei Paesi dell’Unione europea.
Una consistente parte degli articoli del Codice in commento, riguarda gli strumenti di interazione tra cittadini e amministrazioni pubbliche: le reti telematiche per il reperimento di informazioni (art. 10, comma 4) e i siti web pubblici per la fornitura dei servizi in rete (artt. 56 e 57), e la posta elettronica certificata per veicolare gli atti amministrativi elettronici (art. 6).
Quanto alle reti telematiche, l’art. 10 comma 4 dice che: «la Repubblica promuove la realizzazione e l’utilizzo di reti telematiche come strumento di interazione tra le pubbliche amministrazioni ed i privati».
A proposito dei siti web pubblici, l’art. 56 primo comma prevede che vengano costruiti dei siti istituzionali, i quali «rispettano i principi di usabilità, reperibilità, accessibilità anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità».
Il successivo art. 57 è dedicato, a sua volta, all’individuazione del contenuto minimo di un sito web pubblico. Tali siti devono contenere indicazioni riguardanti l’organigramma, l’articolazione degli uffici, le attribuzioni e l’organizzazione di ciascun ufficio, nonché il settore dell’ordinamento giuridico riferibile all’attività da essi svolta, con documenti anche normativi di riferimento. Ma ciò che ci preme qui sottolineare è ciò che viene stabilito dal combinato disposto del comma primo lettera b) e del quarto comma, ossia la obbligatorietà di informazioni relative ai procedimenti svolti, ai termini previsti per la loro definizione, alle unità organizzativa responsabili di istruttoria, dell’adozione del provvedimento finale, nonché al responsabile del procedimento, le quali devono essere conformi e corrispondenti a quelle contenute nei provvedimenti amministrativi originali dei quali si fornisce comunicazione tramite il sito.
Per quanto riguarda la posta elettronica, diremo che l’art. 1 del Codice dell’amministrazione digitale contiene una nuova definizione di indirizzo elettronico, che è «una casella di posta elettronica idonea ad identificare una struttura tecnologica in grado di trasmettere, ricevere e mantenere a disposizione messaggi di posta elettronica». E’ poi l’art. 6 ad affermare che «le pubbliche amministrazioni centrali utilizzano la posta elettronica certificata per ogni scambio di documenti e informazioni con i soggetti interessati che ne fanno richiesta e che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata».
Alla posta elettronica certificata è riconosciuta un’importanza primaria, quale strumento di comunicazione tra i soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo telematico. A tal proposito, l’art. 49 definisce normativamente le modalità di trasmissione di un messaggio tramite la posta elettronica. Infatti, viene stabilito, andando oltre quanto previsto dal già innovativo DPR 445/2000, che il documento informatico trasmesso per via telematica si intende inviato dal mittente se trasmesso, e si intende consegnato al destinatario, se disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato.
Per quanto riguarda i pagamenti informatici e la tenuta di libri e scritture, il Codice dell’amministrazione digitale, riprende fedelmente gli articoli del DPR 445/2000. Infatti, l’art. 35 del Codice statuisce che «il trasferimento in via telematica di fondi tra pubbliche amministrazioni e tra queste e soggetti privati è effettuato secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 72 di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, della giustizia e dell’economia e delle finanze, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e la Banca d’Italia». L’art. 36, invece, determina che «i libri, i repertori e le scritture, ivi compresi quelli previsti dalla legge sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili, di cui sia obbligatoria la tenuta possono essere formati e conservati su supporti informatici in conformità alle disposizioni del presente decreto e secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 72».
Passando ad esaminare le norme, che più specificamente riguardano il provvedimento amministrativo elettronico, non si può non tenere in considerazione che il nostro ordinamento riconosce validità e rilevanza giuridica all’attività amministrativa in forma elettronica. Infatti, l’art. 22 della fondamentale legge 241/90 definisce il documento amministrativo, come «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie, del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa», specificando, altresì, che l’accesso debba essere garantito anche agli atti amministrativi informatici.
Poi, il D.Lgs. 39/93 previde la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di elaborare elettronicamente gli atti ammministrativi.
Infine, è il DPR 445/2000 che dispone, all’art. 9 primo comma, che gli atti amministrativi informatici «costituiscono informazione primaria ed originale», in modo da garantire la completa uguaglianza di valore tra un atto formato elettronicamente ed uno cartaceo.
Naturalmente, la maggiore immediatezza di fruibilità di un atto amministrativo elettronico ha avuto come conseguenza che si è preferito dare maggior rilievo a questi ultimi. E ci sembra auspicabile che, nel prossimo futuro, l’atto amministrativo elettronico diventi “la regola” per tutte le amministrazioni pubbliche, dal momento che la diretta accessibilità ad un documento elettronico, garantirebbe maggiore parità tra privato cittadino e potere pubblico, all’interno di un procedimento amministrativo.
A proposito dei procedimenti amministrativi, è l’art. 37 ad essere dedicato alla gestione informatica degli stessi. Tale articolo, al primo comma, stabilisce: «Le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi, utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione». A norma del secondo comma dell’art. 37, le amministrazioni pubbliche dovranno garantire la tenuta di fascicoli informatici (nei quali confluiranno tutti gli atti e i documenti del procedimento da chiunque formati), e la partecipazione al procedimento amministrativo informatico.
Va da sé che la partecipazione ad un procedimento dovrà avvenire necessariamente con l’ausilio di tecnologie informatiche. Ne consegue, a norma del combinato disposto dell’art. 3 e dell’art. 4, che le amministrazioni pubbliche devono indicare, nella comunicazione dell’avvio del procedimento, le modalità necessarie per esercitare in via telematica i diritti relativi al procedimento amministrativo (cioè, il prendere visione degli atti del procedimento e il presentare memorie scritte e documenti con l’ausilio di strumenti informatici).
Il 3° comma dell’art. 37, poi, prevede che anche la conferenza dei servizi possa «essere convocata e svolta, avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, e secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle amministrazioni medesime».
Anche l’accesso agli atti avrà una natura di carattere telematico. Infatti, l’art. 55 prevede che «l’accesso telematico a dati, documenti e procedure è disciplinato dalle pubbliche amministrazioni nel rispetto delle disposizioni di legge e di regolamento in materia di protezione dei dati personali, di accesso ai documenti amministrativi, di tutela del segreto e di divieto di divulgazione. I regolamenti che disciplinano l’esercizio del diritto di accesso sono pubblicati su pubblici siti accessibili per via telematica.».
Alcune perplessità si profilano con riguardo al problema del coordinamento informatico tra lo Stato e le Regioni, alla luce anche della recente riforma del Titolo V della Costituzione. Infatti, il Codice sembra non allinearsi alle posizioni recentemente adottate dalla giurisprudenza costituzionale. All’art. 12, si attribuisce allo Stato il compito di dettare solo le norme necessarie per garantire la sicurezza e l’interoperatività dei sistemi informatici. Fine di queste norme dovrebbe essere l’efficiente circolazione dei dati. Altresì, allo Stato verrebbe affidato il compito di favorire accordi con le Regioni e gli Enti locali, al fine di realizzare «un processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa coordinato e condiviso».
Pertanto, ci sia consentito esprimere qualche dubbio circa il fatto che il Codice affermi un potere statale di coordinamento informatico di natura esclusivamente tecnica, mentre la Corte costituzionale ha già riconosciuto, seppur indirettamente, un importante potere di coordinamento centralizzato. Questo comporta la conseguenza che le norme del Codice dell’amministrazione digitale potrebbero essere vincolanti per le amministrazioni regionali, solo se ed in quanto recepite da norme regionali ad hoc.
Da ultimo diciamo che, lo scorso 9 febbraio, la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere con riguardo al Codice dell’Amministrazione digitale. In tale parere, vi sono molti spunti di riflessione sul processo di modernizzazione e digitalizzazione della attività amministrativa.
Innanzitutto, secondo il Consiglio di Stato, il senso di un’operazione di “rifinitura” normativa, come quella portata avanti nel Codice dell’Amministrazione digitale, dovrebbe risiedere nel voler raggiungere una certa «esaustività e sistematicità» della materia. Tuttavia, lo schema focalizza i suoi sforzi di riassetto esclusivamente sul DPR 445/2000, lasciando fuori dall’intervento importanti normative. Per esempio, viene escluso lo schema di D.Lgs. sul sistema pubblico di connettività.
«Se un intervento come la creazione dell’SPC non può prescindere dal riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia, vale a maggior ragione, il reciproco, perché un codice non può non contenere, al suo interno, una innovazione così recente e cruciale come quella di cui al richiamato schema».
Restano fuori dal Codice dell’amministrazione digitale anche la disciplina dell’indice nazionale delle anagrafi, il D.P.R. sull’utilizzo della posta elettronica certificata, e quegli articoli della legge 229/03 che riguardano la pubblicazione informatica delle questioni pendenti davanti al giudice amministrativo e contabile.
Un altro rilievo fatto dai giudici del Consiglio di Stato, è che si «deve tenere in maggiore considerazione le esigenze di raccordo con le reti regionali e locali», e viene caldeggiato l’affidamento, ad un organismo centrale di coordinamento, dell’esame preventivo dei progetti diretti alla realizzazione e modificazione dei siti istituzionali delle amministrazioni centrali, delle Regioni e degli enti locali, a garanzia di conformità di essi alle prescrizioni di cui all’art. 56, commi 1 e 2.
Ancora, il Consiglio di Stato ha sottolineato come, riguardo al problema dei rapporti tra procedimento amministrativo e disciplina della digitalizzazione, il codice si limita a duplicare alcune parti della disciplina del procedimento inserendoli in un contesto di tipo informatico. Giustamente, il parere del Consiglio di Stato ha riaffermato l’importanza dell’informatica quale strumento al servizio dei cittadini, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, per una più efficiente ed efficace azione amministrativa.
Malgrado queste riserve, il Consiglio di Stato ha espresso un parere favorevole. E’ stata così riconosciuta l’enorme portata innovativa del Codice dell’Amministrazione digitale, che dovrebbe essere emanato nei termini previsti dalla legge delega (9 marzo 2005).
Prime riflessioni a proposito dello schema di codice dell’amministrazione digitale
21.03.2005