La Corte costituzionale torna a definire il valore costituzionale “ambiente”Corte costituzionale, 18 marzo 2005, n. 108

18.03.2005

La Corte costituzionale è recentemente intervenuta a dirimere una diatriba tra Stato e regione Umbria in occasione del ricorso governativo depositato in data  11 marzo 2004 avverso alcune disposizioni contenute nella legge regionale umbra 3 gennaio 2000, n. 2 (concernente “Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni), come modificata dalla legge regionale 29 dicembre 2003, n. 26.
Con la pronuncia n. 108 del 18 marzo 2005 la Consulta ha avuto modo di riaffermare quanto in passato sostenuto in tema di competenza per la tutela dell’ambiente, oltre a precisare altri contesti competenziali che caratterizzano la potestà legislativa di Stato e Regioni ex art. 117 Cost.
L’oggetto del contendere è riconducibile ad alcune disposizioni contenute nella l. r. umbra n. 2/2002 (introdotte dalla l. r. n. 26/2003) a mezzo delle quali la Regione ha disposto la possibilità di derogare al divieto imposto dalla normativa statale (legge 6 dicembre 1991, n. 394 – Legge quadro sulle aree protette), in merito all’apertura di nuove cave o alla riattivazione di cave dimesse all’interno di parchi nazionali o regionali.
La disciplina regionale in parola, infatti, in particolari ipotesi previste dal Programma regionale attività estrattive (PRAE) e previo vincolante parere della Giunta regionale, ha previsto interventi di ampliamento o completamento delle cave in servizio all’interno dei parchi nazionali o regionali od il reinserimento o recupero ambientale di cave dimesse. Dette disposizioni (art. 5, commi 2, 3 e 5, l. r. umbra n. 2/2000) sono state considerate dal Governo lesive delle attribuzioni statali iscritte nell’art. 117, co. 2, lett. s), Cost., relativamente alla competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, oltre che illegittimamente contrastanti l’art. 11, co. 3, lett. b), della l. n. 394/1991, che vieta l’apertura di nuove cave all’interno dei parchi, nonché l’asportazione di minerali stabilendo, altresì, che eventuali deroghe a ciò possano essere disposte esclusivamente dal regolamento dell’ente Parco (da approvarsi da parte del Ministro dell’ambiente d’intesa con le Regioni interessate – art. 11, co. 6, l. n. 349/1991).
Oltre a quanto sopra il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato l’art. 18ter della stessa legge regionale laddove prevede[va] la cessione a titolo gratuito al Comune competente per territorio dei materiali provenienti da scavi di opere civili non impiegati nella realizzazione delle stesse opere, qualora eccedano la quantità di ventimila metri cubi totali, stabilendo, altresì, che detti materiali debbano essere impiegati, da parte del Comune, per finalità di tutela dell’ambiente oppure, alternativamente, posti in vendita a impianti di prima lavorazione o trasformazione di materiali di cava presenti nel territorio regionale, prefigurando, così, la violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza), 41 (libera iniziativa economica privata) e 42 (diritto di proprietà) della Costituzione, e configurando una vera e propria  «espropriazione senza indennizzo per una finalità puramente lucrativa», in violazione, comunque, dell’art. 117, co. 2, lett. l), Cost., invadendo la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile».
Proprio tale, ultima doglianza del ricorrente non è stata oggetto di approfondita analisi da parte della Consulta che si è limitata a dichiarare cessata la materia del contendere in quanto la recente legge regionale umbra 23 dicembre 2004, n. 34 ha eliminato dalla l. r. n. 2/2000 la previsione della cessione a titolo gratuito al Comune dei materiali di cava eccedenti una determinata quantità.
La Corte si è, invece, concentrata sulle questioni di legittimità direttamente concernenti la  «materia» (rectius, «tematica») ambientale. Innanzitutto la Consulta è tornata a ribadire come la «tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, si configura come una competenza statale non rigorosamente circoscritta  e delimitata, ma connessa e intrecciata con altri interessi e competenze regionali concorrenti». La «tutela dell’ambiente», come più volte ribadito in passato, non costituirebbe, dunque, una materia in senso tecnico da potersi riconoscere nettamente e rigorosamente alla competenza statale, ma consisterebbe in un valore costituzionalmente protetto atto ad investire anche altre competenze riconducibili all’egida regionale.
In tale ambito spetta allo Stato il compito di determinare idonei standard di tutela da rispettare all’interno dell’intero territorio nazionale (cfr. sentenze nn. 307/2003 e 407/2002), mentre non sono esclusi ulteriori interventi da parte dei legislatori regionali che, nell’ambito delle proprie competenze, vadano a dettagliare maggiormente la disciplina concernente suddetta tutela nel rispetto dei livelli di garanzia imposti dallo Stato (cfr, sentenze nn. 259/2004 – v. nota nell’archivio 2004 della sezione “Giurisprudenza” di questa rubrica –, 303/2003 e 312/2003).
L’eventuale intervento del legislatore regionale in ambito ambientale deve, dunque, ispirarsi a criteri disciplinari più rigorosi rispetto alla normativa statale di riferimento, senza configurare una deroga in peius agli standard di tutela imposti uniformemente sull’intero territorio nazionale.
Nel caso di specie oggetto del sindacato della Corte, ben si può desumere come l’art. 5, commi 2, 3 e 5 della l. r. n. 2/2000 si pongano in aperto contrasto con le norme costituzionali dapprima citate e, di conseguenza, in ordine a tali disposizioni ne viene sanzionata l’illegittimità costituzionale.
Eventuali deroghe alla normativa di settore concernente i parchi nazionali sono, peraltro, ammissibili se adottate per mezzo del regolamento dell’ente Parco, atto approvato, comunque, dal Ministro dell’ambiente d’intesa con le Regioni interessate, e ciò va ad escludere l’ammissibilità di «deroghe [regionali] in peggio alla protezione dell’ambiente, senza che si possa distinguere tra “piccole” deroghe” (tollerate) e “grandi deroghe” (non tollerate)».
La Corte fa salva, invece, la competenza regionale nel disporre particolari, eventuali deroghe al divieto di condurre cave all’interno dei parchi “regionali”. A differenza dei parchi “nazionali” di cui si è sinora trattato, quelli “regionali” sono istituiti con legge regionale che determina, altresì, i principi del regolamento dell’ente Parco. In tale contesto la Regione, di concerto con il resto degli enti locali interessati alla gestione dell’area protetta ed agli altri soggetti partecipanti al PRAE, può disporre le deroghe de quibus.
Ancora una volta, dunque, viene sancita la qualificazione della tutela ambientale come una «non materia» o, meglio, una «materia trasversale» capace di investire, seppur nel rispetto dei diversi livelli di governo, le competenze di tutti i soggetti costituenti la Repubblica indicati nell’art. 114 della Costituzione.
a cura di Valerio Sarcone