Si è svolto in data 25 – 26 gennaio un convegno sull’attuazione della legge 131/2003 (c.d. “legge La Loggia”), organizzato dal Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio. Si dà di seguito conto in sintesi delle principali considerazioni emerse nell’incontro, i cui atti saranno a breve pubblicati a cura dell’Ufficio del Commissariato per l’attuazione del federalismo amministrativo.
L’incontro è stato introdotto dal Commissario Straordinario per l’attuazione del federalismo amministrativo, Cons. Maria Grazia Cappugi, che ha sottolineato come gli interventi avrebbero seguito l’ordine logico della legge: tra l’altro, i decreti legislativi di ricognizione dei principi fondamentali per la legislazione regionale, di cui all’art. 1; lo schema di nuovo T.U. sulle funzioni fondamentali attribuite agli enti locali, di cui all’art. 2; il processo di nuovo conferimento di funzioni, di cui all’art. 7.
Il Ministro Enrico La Loggia ha, quindi, introdotto il tema dell’attuazione della legge 131/03 sottolineando i costi derivanti dall’attuale situazione di incertezza e dal notevole numero di ricorsi alla Corte Costituzionale presentati dall’entrata in vigore del nuovo Titolo V Cost. (200 ricorsi statali e 100 su iniziativa regionale). Ha, inoltre, evidenziato l’importanza, a prescindere dal futuro intervento costituzionale, di dare attuazione alla legge costituzionale n. 3/2001. In tale prospettiva ha manifestato perplessità sulla sentenza della Corte Cost. n. 280/2004, che ha dichiarato incostituzionali i commi 5 e 6 dell’art. 1 della legge 131/03, determinando notevoli problemi e ritardi per l’emanazione dei decreti legislativi recanti principi fondamentali. Ha, comunque, ricordato come il processo di adozione di questi sia ancora in corso e che presumibilmente 4 o 5 schemi saranno a breve presentati in Consiglio dei Ministri, mentre è già in stato avanzato l’esame della bozza di decreto legislativo in materia di professioni. Sempre sull’attuazione della riforma costituzionale, il Ministro ha ricordato le iniziative in materia di attività internazionale delle regioni e la novità costituita dal controllo “collaborativo” che gli enti locali possono richiedere alle sezioni regionali delle Corte dei Conti.
Il Sen. Antonio D’Alì, Sottosegretario al Ministero dell’interno, ha illustrato lo stato dei lavori dello schema di T.U. per l’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province o città metropolitane. Ha annunciato la presentazione dello schema al Consiglio dei Ministri entro il prossimo febbraio, sottolineando fin d’ora come nel nuovo testo si sia enfatizzata la facoltà di associazione tra enti locali e la “leale collaborazione” tra livelli territoriali di governo.
Il Sen. Andrea Pastore, Presidente della I^ Commissione Affari Costituzionali del Senato, nel rilevare la mancanza di normativa di attuazione della legge di riforma costituzionale approvata nella precedente legislatura, ha sottolineato l’incongruenza di alcune previsioni dell’attuale art. 117 Cost., riferendosi in particolare all’assegnazione delle materie dell’energia, delle infrastrutture, delle comunicazioni e delle professioni alla competenza legislativa concorrente. Ha, però, osservato l’impossibilità di apportare miglioramenti e correttivi solo con leggi ordinarie e, dunque, ha ricordato le principali innovazioni della proposta di riforma costituzionale, attualmente all’esame della Commissione da lui presieduta: la previsione del principio di “leale collaborazione” all’art. 114; la previsione della clausola dell’ ”interesse nazionale” al nuovo art. 127 e, soprattutto, la profonda riformulazione dell’art. 117 con migliore definizione delle materie di competenza concorrente e riconduzione alla competenza legislativa esclusiva statale degli ambiti dell’ energia e delle professioni intellettuali.
Successivamente è interventoper conto dell’UPI, il dott. Davide Zoggia, Presidente della Provincia di Venezia che ha ricordato l’enorme crescita di funzioni e risorse a ciò dedicate nelle amministrazioni provinciali a seguito delle riforme degli anni ’90, stigmatizzando però i comportamenti di alcune regioni, meno attente di altre alla nuova autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa e contabile degli enti locali.
Con messaggio scritto, il Presidente dell’ANCI Leonardo Dominici, impossibilitato a prendere parte all’incontro, ha espresso preoccupazione per lo schema di T.U. in elaborazione al Ministero dell’interno, visti anche i ritardi rispetto ai termini della delega, e perplessità sul mancato riconoscimento nel futuro art. 118 della proposta di riforma costituzionale delle Conferenze Stato-città ed Unificata (a differenza di quella Stato-regioni).
L’Avv. Antonio Tallarida, Capo Ufficio legislativo del Dipartimento per gli affari regionali, ha ricordato come nel mutato contesto istituzionale la legge 131/03 si sia sforzata di risolvere le problematiche emerse dalla riforma, individuando momenti di concertazione tra i diversi livelli di governo (si vedano, in particolare, le “intese deboli”, di cui all’art. 8, comma 6). Ha, inoltre, espresso perplessità sulla situazione di indeterminatezza venutasi a creare dopo la sentenza della Corte Cost. 280/2004 che ha dichiarato incostituzionali i principi e criteri direttivi per l’emanazione dei decreti legislativi ricognitivi dei principi fondamentali. Peraltro, ha ricordato come la l. 306/04 (art. 4) ha, in parte, risolto tale problematica, stabilendo che i predetti decreti debbano indicare “gli ambiti normativi che non vi sono ricompresi”. Ha, infine, preannunciato che nelle prossime settimane saranno presentati al Consiglio del Ministri gli schemi relativi a “sostegno all’innovazione tecnologica”, “governo del territorio”, “rapporti con l’Unione Europea”, “casse di risparmio a carattere regionale” e “commercio estero”, mentre, anche a seguito della proposta di riforma costituzionale in discussione al Senato, si è deciso di aspettare per i testi in materia di salute ed istruzione.
La Dott.ssa Caterina Cittadino, Direttore dell’Ufficio per il federalismo amministrativo, nel descrivere le attività svolte dal suo ufficio di attuazione dell’art. 7 della l. 131, ed in primo luogo la “mappatura” delle funzioni ancora in capo alle amministrazioni centrali (ai fini dei successivi trasferimenti, attualmente in fase di esame nei “tavoli tecnici” in materia di agricoltura, attività produttive, ma anche trasporti e sanità), ha ricordato la rilevanza dei principi di “adeguatezza” e “differenziazione”, di cui all’art. 118 Cost. per il conferimento di funzioni amministrative (anche “modulando” le funzioni a seconda degli enti cui sono conferite e stabilendo tempi diversi per il relativo trasferimento). Ha, inoltre, sottolineato un atteggiamento diverso, più prudente, da parte degli enti locali nella richiesta di nuove funzioni forse a seguito delle esperienze già maturate. Ha, infine, citato il costituzionalista Pitruzzella, esortando ad evitare il “federalismo dell’abbandono”, secondo il quale una volta conferite le funzioni lo Stato si disinteressa del loro concreto esercizio, annunciando il nuovo “Progetto Funzioniamo” del Commissariato, di supporto agli enti locali nello svolgimento delle funzioni conferite.
I lavori della mattinata del 25 sono stati conclusi dal Prof. Vincenzo Cerulli Irelli, uno dei “co-autori” della legge costituzionale 3/01, che ha evidenziato due ordini di problemi in merito all’attuale situazione. In primo luogo, problemi “interni” alla legge La Loggia: la previsione di decreti legislativi ricognitivi di principi fondamentali, al momento non ancora adottati, invece di “leggi quadro” parlamentari, che, visto l’ampio consenso generale sulle problematiche dell’art. 117, avrebbero avuto un’approvazione molto celere. Sui problemi “esterni” alla l. 131/03, Cerulli ha ricordato in primo luogo la mancanza di attuazione dell’art. 119 Cost., sul nuovo sistema di finanziamento degli enti locali attraverso tributi propri e quote di tributi erariali, comunque riferibili “al loro territorio”. Ha, infine, concordato con interventi precedenti sulla necessità di dare attuazione, oltre al principio di sussidiarietà, anche a quelli di adeguatezza e differenziazione di cui all’art. 118 Cost., ritenendo la riforma degli enti locali necessaria per il nuovo conferimento di funzioni, al fine di individuare strutture organizzative sufficientemente grandi (anche favorendo l’associazionismo fra comuni) per l’espletamento efficiente dei nuovi compiti.
Dopo una breve pausa, i lavori sono continuati nel pomeriggio e si sono incentrati essenzialmente sulle problematiche di tipo fiscale e finanziario.
Ha preso innanzitutto la parola il Prof. Giuseppe Vitaletti, Presidente della Alta Commissione di Studio per la Definizione dei meccanismi strutturali del Federalismo Fiscale, precisando come la Commissione stia predisponendo proposte per la riforma finanziaria dello Stato in senso federalista, evidenziando, altresì, le difficoltà connesse al loro lavoro, diretto a innovare radicalmente una situazione basata su un accentuato centralismo, come definita dalle riforme tributarie degli anni ’70.
Il successivo intervento è stato quello del Prof. Giampaolo Ladu, il quale ha fortemente ribadito la necessità di un’attività statale di coordinamento dell’insieme della finanza pubblica, per fissare i principi cui le Regioni si devono attenere, determinando, altresì, le grandi linee del sistema tributario, in tali sensi, ricordando la giurisprudenza della Corte Costituzionale ed, in particolare, la sentenza 37/2004. Si è, quindi, soffermato sull’esigenza di una rilevazione in tempo reale delle varie situazioni di cassa, con la finalità di confrontare gli interventi dei singoli enti, anche per valutare la possibilità e necessità di interventi correttivi e per eventuali armonizzazioni, evidenziando l’importanza del nuovo sistema informativo (cd. SIOPE). In ultimo, ha rilevato l’esigenza di una migliore leggibilità dei documenti di bilancio statale e regionale e di revisione del decreto legislativo 56/2000 in materia di federalismo fiscale, che si è rivelato assolutamente inadeguato alle esigenze concrete.
Successivamente, il dott. Edoardo Grisolia, Direttore Generale della Ragioneria Generale dello Stato, ha illustrato i meccanismi di trasferimento di funzioni e risorse dallo Stato alle Regioni, in attuazione della legge La Loggia, facendo, in particolare, espresso riferimento all’art.7 ed ai relativi disegni di legge o DPCM ivi previsti. Ha evidenziato, quale primo problema da risolvere, quello di quantificare le risorse, sulla base dei dati del Bilancio di previsione, naturalmente con gli opportuni aggiustamenti nascenti dalle manovre correttive o dagli interventi legislativi successivi. Ha rappresentato l’assoluta esigenza in questa fase di una riforma a costo zero e del coinvolgimento delle autonomie locali ai tavoli tecnici istituiti presso l’Ufficio del Commissario per il federalismo. Ai fini della predetta quantificazione risulterebbero disponibili alcuni studi, in particolare ha fatto riferimento a quello posto in essere dall’ISAE che, considerate sia le funzioni relative alla competenza esclusiva, sia quelle relative alla competenza concorrente, quantifica tali risorse in 61 miliardi. Un cifra meno considerevole è stata rilevata dalla Commissione di studio istituita presso la scuola del Ministero dell’economia, che ha calcolato, per le sole funzioni di competenza esclusiva, 5 miliardi.
Sono state inoltre riassunte le attività già svolte dal Governo per attuare le previsioni costituzionali sulla riforma della finanza regionale, tra l’altro segnalando la nuova disciplina legislativa sulle forme di finanziamento delle Regioni, specificando quali voci siano da considerare come investimenti ai fini del ricorso alle diverse forse di indebitamento.
In conclusione della giornata è intervenuto il Prof. Giuseppe Contini, componente della Commissione paritetica della Sicilia, che ha svolto un excursus storico-giuridico sulle forme di autonomia di tipo speciale, soffermandosi, altresì, sull’attuale ruolo delle Regioni a statuto speciale ed evidenziando, in particolare, come la recente riforma costituzionale ne abbia ridotto le specificità. Queste andrebbero riconsiderate in un contesto più ampio, che superi precedenti visioni basate su tutele privilegiate e non ancorate a obiettive peculiarità territoriali.
Il giorno 26 gennaio, dopo l’introduzione da parte del Cons. Cappugi, è intervenuto il Prof. Luciano Vandelli, Assessore della Regione Emilia-Romagna. Nella premessa sui nuovi modelli di Stato, ha, innanzitutto, sottolineato la necessità di abbandonare qualsiasi dibattito relativo alla distinzione tra modelli federali e modelli regionali e come la verifica del modello oggi debba tener conto, in primis, della tendenza alla differenziazione o unità delle regole e dei diritti. In proposito ha evidenziato come a volte la differenziazione si rinviene nettamente nella percezione dei destinatari delle regole stesse (tipico esempio gli Stati Uniti d’America e i diversi sistemi di punizione dei reati), mentre altre volte, nonostante l’articolazione delle istituzioni, risulta una forte omogeneità di regole e diritti (è il caso dell’Italia, per la quale la tendenza all’unitarietà di base deriva anche dagli interventi della Corte Costituzionale).
Venendo poi all’esame delle diverse forme di concertazione delle autonomie locali, Vandelli ha rilevato come la verifica vada fatta, sia relativamente ai modelli di relazione fra Stato, Regioni ed autonomie locali, sia relativamente al coinvolgimento nella fase legislativa. Con riferimento al primo aspetto, effettuata una panoramica sui vari modelli (quelli di tipo lineare, nei quali lo Stato interagisce con le Regioni e queste con gli enti locali, di tipo stellare, nei quali lo Stato interagisce con tutti i livelli e quelli, come in Italia, che presuppongono relazioni “bifronte”), ha sostenuto come in Italia, dopo la modifica del Titolo V, i temi della sussidiarietà e della leale collaborazione risultino priorità irrinunciabili, evidenziando anche la giurisprudenza della corte Costituzionale ed, in particolare, le sentenze 206/2001, 507/2002 e 88/2003.
Passando quindi all’analisi del coinvolgimento della autonomie locali nel processo legislativo, tenendo conto della riforma costituzionale in itinere, Vandelli ha sostenuto come la situazione non appaia molto chiara, soprattutto a causa del rapporto Governo-Enti locali, che potrebbe creare duplicazioni e frammentazioni rispetto al livello regionale ed al Parlamento, anche in considerazione dei diversi soggetti governativi coinvolti (il Ministro degli affari regionali, tradizionalmente competente per rapporti con le Regioni e quello degli interni per quelli con gli enti locali). Nell’attuale schema (AS 2544), infatti, il futuro art. 57 prevederebbe la partecipazione di rappresentanti di regioni ed enti locali ai lavori del Senato “senza diritto di voto”; l’art. 64 stabilirebbe che per il regolamento del Senato l’obbligo di individuazione delle modalità attraverso le quali le Assemblee regionali esprimono il proprio parere sui progetti di legge; ha inoltre ricordato la formulazione del progetto di art. 118 con “costituzionalizzazione” della Conferenza Stato-Regioni e delle “altre Conferenze tra Stato e gli enti di cui all’articolo 114”. Ha, inn conclusione, sottolineato questa tendenza evolutiva dell’ordinamento che punta ad un sistema integrato, a fronte di una strumentazione carente, con il rischio di frammentazione dei rapporti e conseguente confusione.
Il successivo intervento è stato quello di Romano Colozzi, assessore della Regione Lombardia, il quale ha evidenziato come le scelte di fondo del già citato decreto legislativo 56/2000 non siano state adeguate rispetto alla peculiare situazione in Italia e come il forte divario fra le Regioni del nord e quelle del sud, unitamente alla mancata previsione di una fase transitoria, avrebbe creato forti difficoltà di attuazione del federalismo fiscale. Ha ritenuto, comunque, non percorribile la strada battuta nella precedente esperienza di trasferimento nascente dalla riforma Bassanini, essendosi verificati errori sia nel calcolo delle risorse che nelle dinamiche di trasferimento, oltre ai problemi relativi al trasferimento delle risorse umane nati dalla tipicità del sistema italiano, con conseguenti ritardi nei trasferimenti. Dopo avere, in particolare, fatto l’esempio dell’esperienza relativa al demanio idrico, ha concluso ribadendo l’essenziale necessità, in questa fase attuativa del federalismo, di una iniziale effettiva quantificazione delle risorse e della assoluta improbabilità di una riforma a costo zero.
E’ intervenuto, da ultimo il Prof. Beniamino Caravita di Toritto il quale, dopo un approfondimento sui vari modelli federali attualmente esistenti, ha analizzato le tendenze della giurisprudenza costituzionale in materia, affermando che gli interventi sono stati pressocchè inesistenti fino all’anno 2002, in attesa di interventi attuativi di tipo legislativo. Successivamente, le numerose richieste di pronunce alla Corte per districare i pesanti nodi non sciolti in materia di federalismo hanno provocato dal secondo semestre 2003, una “esplosione” giurisprudenziale, escludendosi, comunque, interventi della Consulta per ottenere chiavi di lettura generali di fenomeni sociali. Ha, quindi, chiarito come i primi interventi siano stati relativi alle modalità di lettura dell’art.117 della Costituzione: la Corte non ha adottato una rigida interpretazione dell’elenco ivi contenuto. Relativamente all’art.119 ha evidenziato come gli orientamenti siano stati diretti a considerare illegittime le leggi in contrasto con lo stesso, senza peraltro effettuare interventi di tipo attuativo. Sulla materia ordinamentale, in particolare su Statuti e Regolamenti, ha ritenuto la giurisprudenza costituzionale meno “coraggiosa” e “comprensibile”; evidenziando come ci sia stato un maggiore influsso del vecchio modello di organizzazione regionale e ritenendo unica giurisprudenza interessante quella relativa ai poteri sostitutivi, da cui emergerebbe, con forza, la necessità di strumenti cooperativi e collaborativi. Ha concluso affermando la difficoltà di modelli federalisti/regionalisti di separazione, vista la necessità di meccanismi di incontro, concertazione e codecisione. Si tratterebbe, quindi, di un modello non scritto chiaramente nella Carta Costituzionale, che si evincerebbe dalla giurisprudenza costituzionale, dalla esperienze internazionali ma che attualmente fa fatica a decollare.
Terminati gli interventi dei relatori il Cons. Cappugi, espressi i dovuti ringraziamenti, ha ritenuto soddisfatte le finalità dell’incontro e cioè la necessità di fare il punto su una situazione attualmente in itinere, ottenendo, così, utilissime informazioni da utilizzare nei tavoli tecnici attualmente aperti a livello istituzionale.
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