Sources et perspectives du droit economique – Resoconto convegno

14.10.2004

Resoconto della Tavola Rotonda 

Giovedì 23 settembre 2004, presso la Sala delle Colonne della LUISS Guido Carli di Roma si è tenuta un tavola rotonda dal titolo “Sources et perspectives du droit économique”.

La tavola rotonda è stata presieduta dal Prof. Giorgio Berti, direttore del Centro di Ricerca sulle Amministrazioni Pubbliche Vittorio Bachelet, il quale ha definito il diritto dell’economia come il contesto e le regole nei quali il diritto partecipa all’economia, punto d’incontro tra diritto, politica ed economia. Ha poi richiamato l’attenzione sulle conseguenze della caduta del diritto pubblico tradizionale, che influisce sul diritto dell’economia, il quale a sua volta è instabile e soggetto a trasformazioni a causa del rapido divenire dei commerci. Iniziative come la presente dovrebbero contribuire ad uscire dall’attuale “mare di incertezza”.
Nel suo indirizzo di saluto, il Prof. Paolo De Caterini della LUISS Guido Carli ha individuato lo scopo dell’incontro nel fare lo stato dell’arte del diritto dell’economia nei diversi paesi europei e ha poi auspicato che si possa stabilire una collaborazione tra l’AIDE (Asociation Internationale de Droit Economique) e la LUISS.
Il Prof. Bernard Remiche, presidente dell’AIDE e Professore all’Università di Lovanio, ha quindi ricordato la costituzione dell’Associazione, a Tunisi nel 1982 su iniziativa di Gérard Farjat, come realtà rivolta agli studiosi ma anche ai pratici del diritto dell’economia. Come avvertimento iniziale ha ricordato che il diritto dell’economia non è mai stato definito.
Il Prof. Giuseppe Di Gaspare, Direttore del Centro di Ricerca sulle Amministrazioni Pubbliche Vittorio Bachelet della LUISS e organizzatore dell’evento ha quindi moderato gli interventi introducendo i relatori e, successivamente, i discussants.

Il primo dei relatori a prendere la parola è stato il Prof. Gustavo Visentini, direttore del Centro di Ricerca per il Diritto d’Impresa (CERADI) della LUISS Guido Carli, il quale ha passato in rassegna alcune idee sul concetto di diritto dell’economia. Innanzi tutto si è chiesto se esso abbia autonomia logica, e vi ha dato risposta negativa, poiché il diritto dell’economia non è un insieme di regole che si reggono su di un principio logico. Si è poi chiesto se esso abbia un’autonomia di diritto professionale, a materia: la risposta è stata positiva, ma ciò non ne farebbe un diritto, bensì una ragione pratica. Successivamente, ha ricordato il concetto per cui il diritto dell’economia è ideologico; che viene dalla scuola tedesca dell’interpretazione libera del diritto, al fine di dare al giudice la possibilità di derogare alla legge. Ha poi citato il law and economics, con la sua visione del diritto al servizio dell’economia. Infine, secondo altra interpretazione, il diritto dell’economia non sarebbe una materia, ma un modo per trattare certe materie che richiedono una preparazione economica, e cioè il diritto bancario o monetario. Secondo il Prof. Visentini sebbene sia una visione vecchia, questa ha avuto però il merito di far inserire nelle Università insegnamenti economici nei corsi giuridici.

La Prof.ssa Laurence Boy, dell’Università di Nizza, ha tenuto un intervento sulla differenza tra diritto dell’economia (droit économique) e l’approccio diritto ed economia (law and economics). Ha riconosciuto innanzi tutto che esistono dei problemi concettuali tra l’Europa continentale (nel cui seno il droit économique si è sviluppato) e i paesi anglosassoni (primi fra tutti gli Stati Uniti), terra di battesimo del secondo filone di law and economics. In prima battuta, ad avviso della relatrice, questa contrapposizione nascerebbe da una serie di malintesi: da un lato, infatti, la stampa anglosassone denuncia l’arretratezza mentale delle istituzioni europee; mentre i giuristi europei vengono accusati di fare del dogmatismo e dell’esegesi. Dall’altra parte, qualcuno sostiene che il law and economics abbia successo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna perché il loro diritto è giurisprudenziale, e non c’è, a differenza che in Europa continentale, il mito (e il rispetto) della legge; per cui occorre fornire degli strumenti che guidino la scelta del giudice individuando la soluzione più efficiente.
Secondo la relatrice, entrambi i punti di vista stigmatizzano il problema: anche nei paesi europei, infatti, il diritto è prodotto dai giudici, nonché delle autorità di regolazione, dove la distinzione fra legislatore e giudice si attenua. Del pari, il filone law and economics non è monolitico, ma presenta tendenze differenziate: oltre alla Scuola di Chicago, forse la più nota, esiste infatti l’opera del giudice Calabresi con l’economic analysis of law, ossia la ricerca della migliore allocazione delle risorse, cui è estranea ogni questione relativa alla ripartizione della ricchezza. In Francia e nel Regno Unito, però, esiste una corrente, la scuola istituzionalista, che si interessa al gioco degli attori, quindi anche alla ripartizione delle ricchezze, ed è portatrice di un elemento etico, morale, aristotelico. L’altra differenza fra i due approcci sta in ciò che il law and economics si interessa ad qualsiasi disciplina giuridica, quale che ne sia l’oggetto (diritto di famiglia, ma anche mercato degli schiavi, delle adozioni, ecc.); mentre la Scuola di Nizza – ha notato in conclusione la relatrice – sotto il nome di diritto dell’economia, studia i poteri sull’economia, ossia l’organizzazione dell’economia in un quadro concorrenziale, disinteressandosi pertanto dei problemi ad es., di diritto di famiglia, a meno che – ha concluso provocatoriamente la relatrice – non vi sia un “mercato delle adozioni”.

Ha quindi preso la parola il Prof. François Bertrand, dell’Università Paris XI, il quale ha dapprima illustrato due decisioni: una del Conseil constitutionnel del 1987 sul riparto di giurisdizione fra Conseil de la concurrence e autorità giudiziaria, e una del Conseil d’Etat del 2004 in materia di telecomunicazioni (relativa ad un centro telefonico di informazione). La prima riguardava la legge che conferiva al giudice ordinario la giurisdizione sulle decisioni dell’antitrust. In quella sede, il Consiglio costituzionale ha affermato che poichè il riparto di giurisdizione non rappresenta un principio costituzionale, la giurisdizione di merito spetta al giudice amministrativo. Questa decisione rileva perché il Conseil de la concurrence e le sue decisioni riguardano il diritto dell’economia, e il Conseil d’Etat, avendo in Francia il potere di giudicare nel merito senza dover rinviare al giudice di precedente istanza (come per la Corte di Cassazione), diviene giudice economico.
Con la seconda sentenza illustrata, Scoot France, il Conseil d’Etat non si è limitato a condannare il sistema anticoncorrenziale posto in essere da France Télécom ma, facendo ricorso al suo potere di indirizzare ingiunzioni alla p.a. (espressamente riconosciutogli dalla legge 8 febbraio 1995) ha formulato proposte al regolatore delle telecomunicazioni su come decidere il caso concreto, modificando direttamente la regolazione sul punto. Ad avviso del relatore, questa decisione segna il passaggio da un diritto della concorrenza che condanna (tipicamente ex post) a un diritto della concorrenza che organizza (cioè che interviene ex ante), ciò che rappresenta un’evoluzione importante della giurisdizione amministrativa.
In tema di evoluzione della giustizia amministrativa francese, il Prof. Bertrand ha ricordato, oltre al potere di ingiunzione di cui alla legge 8 febbraio 1995, la tecnica seguita dai giudici amministrativi di introdurre principi del diritto comunitario presentandoli come principi di diritto francese. Ha poi ricordato come, in parallelo, dal punto di vista sostanziale, si stia affermando un modello di amministrazione molto più morbida, che dialoga con i cittadini su un piano di uguaglianza. A questo si accompagna la c.d. “legislazione sperimentale”, ossia l’applicazione temporaneamente o territorialmente limitata di alcuni provvedimenti al fine di valutarne l’effettiva applicabilità o di individuarne i punti deboli: questo significa chiaramente rompere la concezione del 1789. Per testimoniare le difficoltà incontrate in questi cambiamenti, in chiusura, il relatore ha voluto citare Tocqueville: “L’administration préfère toujours la stérilité à la concurrence”.

Ha quindi preso la parola il Prof. Francesco Cocozza, dell’Università di Ferrara, il quale ha riportato le differenti concezioni di diritto dell’economia che si sono succedute nel tempo, citando: per la Francia Proudhon; per la Germania la repubblica di Weimar e, per l’Italia l’influsso del diritto corporativo. Secondo il relatore, occorre recuperare il carattere del diritto dell’economia come “diritto senza frontiere”, evitando il rischio che il diritto dell’economia scompaia (o si suicidi) per poi rinascere come analisi economica del diritto.

La Prof.ssa Maria Marques, dell’Università di Coimbra, è poi intervenuta interrogandosi su alcuni quesiti ritenuti fondamentali per il diritto dell’economia, come: che cos’è lo Stato regolatore? Che cos’ha di nuovo rispetto allo Stato interventista? Qual è il ruolo dei soggetti (pubblici e privati) che producono regole? Soft e hard regulation (pubbliche) per il momento coesistono, ma il futuro prospetta una “feudalizzazione” del diritto? Di fronte alla denazionalizzazione del diritto dell’economia, che si regionalizza e globalizza al tempo stesso, che futuro avranno i servizi pubblici? La costante “invasione del mercato” farà sparire la differenza fra servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale, riconducendo i primi ai secondi? L’organizzazione dell’economia in reti pone il problema del diritto di accesso (vero fulcro sia del diritto della concorrenza che della regolazione) sia dei servizi a rete tradizionali sia di altri settori (come ad es., la distribuzione commerciale), che impatto avrà sul diritto di proprietà? Astenendosi volontariamente dal dare delle risposte a questi quesiti, la relatrice ha richiamato in conclusione anche i temi dell’efficienza e della regolazione del rischio.

Ha quindi preso la parola il Prof. Hanns Ullrich, dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, il quale si è soffermato sulle differenze che esistono a monte nella concezione del diritto dell’economia all’interno della nostra Comunità. Dopo aver ricordato che il diritto dell’economia è sorto dopo la Seconda Guerra Mondiale, avendo come riferimento l’economia di mercato a carattere sociale (e non già una crisi economica), il relatore ha affermato che il sistema tedesco del diritto dell’economia è diviso in quattro sezioni: le prime due appartengono al diritto pubblico e sono il diritto dell’interventismo economico (in cui si cerca di dirigere, di fare pressione sulle imprese) e il diritto della regolazione, il quale attiene ai servizi pubblici, ossia a tutto ciò che ci può essere necessario per la vita quotidiana. Dalla concezione originaria, il cui scopo era di rendere efficiente un sistema di monopolio, si è poi spostata l’attenzione, con le privatizzazioni, al passaggio dal monopolio alla concorrenza. In questo ambito il focus starebbe piuttosto nel tentativo di introdurre, attraverso la regolazione, la concorrenza là dove questa non è in grado di imporsi da sola (ma quale concorrenza ha di mira la regolazione? Si chiede il relatore). Le altre due sezioni attengono al settore privato e sono il diritto della concorrenza (nel senso di diritto contro le distorsioni alla concorrenza e la concorrenza sleale) e il diritto dell’autoregolazione (come nei mercati finanziari).
Su pressione europea, il legislatore tedesco ha cambiato il suo sistema, che pure serviva da modello in Europa, incentrandolo sulla limitazione allo strapotere dei concorrenti. Quello europeo, invece, è un modello basato sul “consumer welfare”, un concetto microeconomico da cui vengono fatte discendere implicazioni macroeconomiche. La lotta alla concorrenza sleale è protezione delle imprese e dei consumatori, dove però il secondo è il “consumatore consapevole comunitario”: secondo il relatore, ad essere venuto meno è lo specifico carattere sociale del diritto della concorrenza tedesco, e ad esso si è sostituita la percezione dell’uomo economico, razionale, informato. In conclusione il relatore si chiede se in Europa avremo tutti lo stesso modello o conserveremo visioni nazionali differenziate.

Il Prof. Cesare Pinelli, dell’Università di Macerata, si è soffermato sulle differenze tra diritto dell’economia e law and economics. Quest’ultimo, ha notato, dispiega conseguenze anche sui poteri normativi, perché tende a dimostrare che le decisioni concernenti non solo il mercato ma la vita pubblica in generale possono essere lasciate meglio ai privati che non conferite al legislatore: il problema, quindi, non è solo teorico (teoria normativa). Significativo in questo senso sarebbe il contenuto del Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sull’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità; ma pure l’art. 118, co. 2 della costituzione italiana, il quale fa applicazione della teoria normativa quando consente alle formazioni sociali e ai privati di intervenire nella fornitura di servizi pubblici. In questo modo, spetta al legislatore dimostrare la necessità del proprio intervento: ciò consente di limitare le possibilità che il legislatore intervenga su qualunque materia.
Secondo il relatore, in risposta alla teoria del law and economics, bisogna fare una distinzione tra i beni costituzionalmente indisponibili e tutti gli altri campi. Riguardo ai primi la costituzione stessa non permette di fare una scelta tra legislazione e autoregolazione, per gli altri si può pensare ad un’inversione di incarico costituzionale di regolazione: il legislatore deve, cioè, dimostrare la necessità dell’intervento. In caso contrario avrebbe un’enorme contraddizione, non solo con il law and economics, ma con il nostro mondo e la nostra civiltà.

Ha quindi preso la parola la Prof.ssa Laura Ammannati, dell’Università di Siena, la quale si è anzitutto domandata se sia possibile estendere l’approccio law and economics anche ai paesi di civil law, in cui il diritto è stato largamente codificato.
La relatrice ha quindi constatato che in Italia esiste un grave deficit di analisi economica del diritto: i manuali giuridici non ne fanno menzione; essa manca negli insegnamenti universitari; i lavori legislativi non la applicano; i ragionamenti della giurisprudenza spesso non sono fondati su motivazioni economiche esplicite; la dottrina utilizza solo raramente gli strumenti economici per valutare la soluzione di differenti questioni.
Dopo aver ricordato che l’importanza dell’approccio law and economics consiste nel ricorso a criteri di giudizio propri degli economisti al fine di analizzare gli effetti delle regole giuridiche, la relatrice si è soffermata sulla distinzione fra analisi positive (che descrivono e spiegano il diritto così com’è) ed analisi normative (il cui fine è l’individuazione dei possibili criteri per costruire leggi migliori e più efficienti).
In questo quadro, la Scuola di Chicago ha dimostrato che l’applicazione dell’analisi positiva può consentire di aumentare l’efficienza delle norme giuridiche. Successivamente, Coase, ricorrendo all’analisi degli effetti esterni (o esternalità) di alcune norme (ad es., quelle relative ai rapporti di vicinato) ha dimostrato che le decisioni cui erano pervenuti i giudici erano del tutto conformi alle soluzioni preconizzate dagli economisti. Quindi, il giudice Poster ha avanzato la tesi per cui la common law contribuirebbe di per sè a promuovere soluzioni efficienti, in quanto sistema che permette di massimizzare il benessere sociale. In altri termini, in tale sistema i giudici prenderebbero decisioni come se il loro obiettivo implicito fosse l’efficienza economica. L’approcico law and economics è stato criticato soprattutto con riguardo al ruolo del giudice come creatore di diritto. Di recente Ugo Mattei ha chiarito che l’attività decisionale dei giudici è strettamente legata alla costruzione federale del sistema giudiziario degli Stati Uniti, caratterizzato dalla compresenza di numerosi tribunali federali e statali; per cui, l’approccio al sistema legale è stato fondato su una comparazione fra differenti soluzioni giudiziarie, valutate sotto il profilo dell’efficienza.
La seconda questione posta dalla relatrice è se le differenze fra i sistemi di common law e di diritto civile possa dirsi ancora così netta nei sistemi giuridici. Nel rispondere a questa domanda la relatrice ha ricordato che il diritto comunitario ha progressivamente imposto l’integrazione giuridica (specialmente grazie all’opera della Corte di Giustizia che ha affermato il primato del diritto comunitario). Di conseguenza le relazioni fra Corte di Giustizia e corti nazionali sono divenute determinanti (v. specialmente il ricorso al rinvio pregiudiziale). In conclusione, le possibili evoluzioni del ruolo dei giudici nazionali dipenderanno fortemente dal principio organizzatore dello spazio giuridico europeo: se a prevalere sarà il principio di concorrenza tra ordinamenti e regole, il ruolo del giudice ne risulterà rafforzato; viceversa nel caso che a prevalere fosse l’armonizzazione del diritto (sotto forma di codificazione del diritto privato).

Fabiana Di Porto e Francesco Gilioli