La tutela del patrimonio culturale nei conflitti armati – Resoconto convegno

28.05.2004

Università degli Studi Roma Tre
Facoltà di Scienze Politiche
Roma, 8 maggio 2004

Introduce i lavori la prof.ssa Gaetana TRUPIANO, coordinatrice del corso di perfezionamento in “Economia e valorizzazione delle istituzioni culturali”, che ringrazia tutti gli intervenuti e i relatori per la loro partecipazione.
La parola passa, per un breve saluto, al Preside di Scienze Politiche, prof. Luigi MOCCIA, che sottolinea come il tema trattato dimostri l’utilità dell’approccio scelto dalla Facoltà, ossia la forte interdisciplinarietà e un metodo tecnico-operativo che ha come scopo quello di sviluppare una reale e concreta capacità di operare per il bene dell’umanità.
La prof.ssa Trupiano inizia, quindi, a svolgere una breve relazione sull’aspetto economico dell’argomento del seminario, sottolineando come la guerra porti sempre con sé la grave distruzione delle risorse dei paesi che ne sono colpiti.
La guerra, infatti, sconvolge l’attività interna, con il blocco della produzione delle imprese, e impedisce gli scambi internazionali; ciò è tanto più grave per i paesi in via di sviluppo, in quanto solitamente produttori ed esportatori di un unico bene.
La prof.ssa Trupiano rileva, inoltre, come in tempo di conflitto vi sia un’impennata della pressione fiscale, con l’aumento delle imposte ordinarie e l’introduzione di imposte straordinarie per il finanziamento dello sforzo bellico, come ha potuto confermare a seguito di un suo studio sulla tassazione in Italia nel periodo 1915-45, condotto per gli Annali di Finanza Pubblica della casa editrice Ipsoa.
La distruzione delle risorse, determinata dai conflitti armati, riguarda anche il patrimonio culturale, con danni sia di natura economica, relativi alla valorizzazione e fruizione dei beni culturali, sia di natura non economica, ossia all’identità e alla memoria dei popoli.
La distruzione di un monumento annienta contemporaneamente il patrimonio intangibile costituito da quanto lo stesso monumento rappresenta per il popolo di quel determinato territorio.
La ricostruzione di un bene culturale andato distrutto può compensare ben poco il valore estetico dello stesso, e sicuramente non può affatto compensarne il valore di identità storica.
Riassumendo, la prof.ssa Trupiano indica i tre aspetti del valore dei beni culturali: un valore estetico, un valore di memoria e identità storica, un valore più strettamente economico legato alla capacità di attrarre ricchezza e contribuire allo sviluppo locale.
Nei conflitti armati, ognuno di questi aspetti del valore del patrimonio culturale va perduto.

Prende la parola, successivamente, la prof.ssa Maria Luisa MANISCALCO, docente di sociologia, che intende sviluppare una riflessione sul valore immateriale dei beni culturali.
Ogni tipo di conflitto porta alla distruzione innanzitutto dell’uomo, ma anche dei suoi manufatti e della sua cultura.
Dopo la seconda guerra mondiale, questa consapevolezza portò alla sottoscrizione, nel 1954, della Convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato.
Purtroppo, però, verso la fine del secolo scorso, sono emerse con virulenza nuove ideologie di conflitto, con l’esplosione di conflitti etnici all’interno degli Stati stessi.
Il conflitto etnico è un conflitto per l’identità, che vede completamente impegnate le popolazioni civili nella lotta per l’identità politica e per l’annullamento dell’identità del nemico.
Se si parte dal presupposto che le società, i popoli, le comunità esistono e si riproducono in quanto il susseguirsi delle generazioni sia legato da un “filo” comune, da caratteristiche identitarie che riguardano sia la riproduzione biologica sia la riproduzione culturale, si comprende perché nei conflitti etnici tali dimensioni siano entrambe attaccate.
L’esempio più eclatante, e più tragico, è quello dello stupro etnico: in passato lo stupro avveniva a seguito delle conquiste militari, ma assumeva un significato di “bottino”, mentre ora prende la terribile valenza di cancellazione dell’identità.
Allo stesso modo, mentre in passato si assisteva all’impossessarsi da parte dei conquistatori delle opere d’arte come “ius praedae” (l’esempio più noto è dato da Napoleone), ora si assiste alla distruzione dei beni culturali come annientamento della memoria di un popolo.
Lo stupro distrugge il futuro di un popolo, la distruzione dei beni culturali ne cancella il passato, togliendogli l’identità.
Questo attacco all’identità avviene anche in tempo non di conflitto: l’esempio della distruzione delle statue dei Buddha da parte del regime dei Taliban in Afghanistan dimostra la volontà di pulizia etnica interna, con l’annullamento dell’universo dei valori, dei principi etici, che molto spesso è legato al sacro, una della dimensioni più profonde dell’umano.
I beni culturali, dunque, sono fondamentali in quanto “fabbrica della storia e della memoria” dei popoli; senza memoria non può esistere un popolo, così come un uso distorto della memoria può provocare danni enormi nei rapporti fra i popoli.
La prof.ssa Maniscalco evidenzia, poi, che le popolazioni si identificano spesso con un luogo.
Anche se la rivoluzione tecnologica, che va comunemente sotto il nome di globalizzazione, ha portato ad un’alterazione del senso dei confini, ancora oggi il senso del luogo rappresenta un radicamento importante per una popolazione.
Questo luogo è sempre più antropomorfizzato, poiché ormai non esiste più un ambiente naturale; c’è sempre un insieme di tecnologia e ambiente.
In questo ambito, i beni culturali sono emblemi del senso del luogo, sono strumenti con cui i popoli segnano i loro diritti su quel determinato luogo; possono essere definiti un “picchettamento di alto livello”.
Il rapporto tra individui e collettività con i beni culturali è importantissimo in quanto dà ai popoli la consapevolezza dei diritti soggettivamente percepiti.
Tutto ciò è dimostrato dalla crescita della coscienza collettiva globale rispetto all’importanza dei beni culturali.
Ne è significativo segnale l’esplosione della “guerra dei beni culturali”, nel senso della richiesta da parte di ogni paese di riottenere i propri beni culturali sottratti in tempi anche lontani; difatti, se la convenzione UNESCO del 1970 prevede la restituzione dei beni sottratti dopo tale data, la maggior parte delle richieste è indirizzata a beni asportati in tempi più antichi.
Tali richieste provengono sempre più spesso da paesi emergenti, che vogliono essere riconosciuti, apprezzati, accolti nella comunità internazionale anche attraverso i loro beni culturali, fondamentali elementi della dignità dei popoli.

Interviene, successivamente, il Generale Ugo ZOTTIN, a capo del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che spiega come tale unità sia nata nel 1969, quindi un anno prima che la convenzione UNESCO di Parigi invitasse tutti i paesi a costituire strutture di questo tipo.
Inizialmente, l’organismo constava di poche decine di unità, poi via via si è andato articolando in un Comando centrale, che si trova a Roma, che coordina i Nuclei diffusi su tutto il territorio nazionale (e precisamente: Torino, Genova, Monza, Venezia, Bologna, Firenze, Sassari, Roma, Napoli, Bari, Cosenza, Palermo), anche se vi sono ancora delle carenze, come nelle Marche e Abruzzo, che si spera di colmare al più presto.
La struttura è divisa in tre sezioni (antiquariato; archeologia; falsi e arte contemporanea) ed è costituito funzionalmente attraverso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dipendendo direttamente dal Ministro, pur mantenendo una linea di dipendenza anche dallo Stato Maggiore dell’Arma dei Carabinieri.
I compiti del comando sono:
– la prevenzione, con il compito di coordinamento di tutti i reparti dell’Arma ai fini della prevenzione dei furti e danneggiamenti dei beni culturali;
– l’attività di polizia giudiziaria, per le indagini a seguito di reati avvenuti;
– il recupero di opere d’arte trafugate.
Il Gen. Zottin illustra poi l’attività del reparto in Iraq, dove è stato deciso l’intervento a seguito dell’assalto al Museo Archeologico di Bagdad, avvenuto dopo l’ingresso delle truppe americane nella città.
Secondo il Generale, tale saccheggio è stato del tutto immotivato, non dovuto ad una volontà particolare di distruzione dell’identità, ma solo per la volontà, da parte della popolazione, di impadronirsi di oggetti di valore da poter scambiare, o per vandalismo.
In Iraq, il reparto ha svolto attività di controllo, ispezione e protezione delle aree archeologiche, con la costruzione di difese passive (garitte, recinti) e l’addestramento e l’armamento dei guardiani locali; ha poi svolto indagini di polizia mirate a disarticolare l’attività di saccheggio e contrabbando; si è, inoltre, stesa una carta archeologica dell’area.
Si è svolta, altresì, una specifica attività nel Museo Archeologico di Bagdad, coinvolgendo gli sceicchi e le autorità religiose locali per il recupero dei beni sottratti; cooperando con il personale del museo al fine di catalogare i reperti archeologici; mettendo in atto indagini sulla ricettazione e sulle rotte di esportazione illecita dei beni trafugati, inseriti nella banca dati dell’Interpol. A tal proposito, il Gen. Zottin specifica che i reperti sottratti non ammontano a 110.000, come diffuso inizialmente, bensì a circa 12 –14.000 oggetti, di cui però solo 60 o 70 di notevole pregio, parte dei quali è già stata ritrovata; la maggior parte degli oggetti sottratti si trovava nei magazzini, non ancora catalogato, quindi difficilmente rintracciabile.
Grazie all’attività di catalogazione svolta al museo di Bagdad, è stato possibile rinvenire 300.000 tavolette cuneiformi di notevole valore di cui non si conosceva l’esistenza, come ben descritto dal Prof. Giovanni Pettinato in una recente intervista al Corriere della Sera.
Il Generale illustra poi l’altra missione svolta dal suo reparto all’estero, ossia nel Kosovo, dove ha svolto compiti di monitoraggio sullo stato dei beni culturali, di cooperazione con l’ONU per la protezione dei siti di interesse culturale (soprattutto monasteri e moschee), di individuazione delle rotte del mercato clandestino di opere d’arte.
Zottin passa poi a descrivere l’attività del Comando in Italia, facendo innanzitutto una panoramica della situazione rispetto ai furti di opere d’arte (che sono in calo – precisamente 1.539 casi nel 2002 e 1.293 nel 2003), alle opere trafugate e recuperate (218.865 dal 1970 al 2003), ai falsi sequestrati (224.196 e creazione di un Centro Studi sul Falso in collaborazione con l’Università di Salerno).
Il Comando ha una Sezione Elaborazione Dati, che lavora ad una banca dati, in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Catalogo del MIBAC, tramite cui i carabinieri effettuano verifiche sul materiale sequestrato, ma anche sui cataloghi delle case d’asta.
Si tratta di un lavoro non semplice, poiché chi fa ricettazione e riciclaggio delle opere d’arte usa accorgimenti per alterarle; tuttavia, se si possiede la documentazione fotografica dei beni le ricerche sono più proficue; per questo si usa una scheda apposita, adottata a livello UNESCO, che può essere definita come una carta d’identità del bene culturale: l’ OBJECT ID, che si può trovare sul sito dei carabinieri.
A supporto dell’opera di ricerca delle opere trafugate, inoltre, il Comando pubblica “Arte in Ostaggio”, un bollettino delle opere d’arte trafugate, distribuito gratuitamente a tutti gli esperti e che ora sta per diventare una pubblicazione on line, sulla rete internet, che ne renderà più semplice e tempestivo l’aggiornamento.
La parola viene data agli intervenuti al seminario, che pongono varie domande e aggiungono riflessioni sul tema.
Tra queste, si segnala l’intervento dell’Architetto CIPOLLONE, della Soprintendenza, che sottolinea l’importanza della catalogazione e dei rilievi fotografici, portando ad esempio il caso di un paese colpito dal terremoto, i cui abitanti, grazie appunto ad un archivio dei beni culturali, riuscirono a “difendere le loro pietre” dalle ruspe di coloro che volevano effettuare una rapida ricostruzione; il che dimostra, come già evidenziato dalla prof.ssa Maniscalco, l’importanza dei beni culturali per le comunità, e i rischi che si corrono nelle situazioni di ricostruzione, come nel caso di un sisma o in una fase post-bellica, di creare danni maggiori con interventi sbagliati.
Importante anche l’intervento di Giuseppe CAMPISI, impiegato presso l’ICCD, l’istituto centrale per il catalogo e la documentazione del MIBAC, che spiega come attraverso le già citate schede Object ID è in corso la catalogazione del patrimonio culturale italiano; l’ICCD collabora permanentemente con il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, con un collegamento diretto, in particolare, con la banca dati. L’ICCD partecipa, inoltre, ad un progetto EUROMED, in cui l’Italia è capofila, per la catalogazione del patrimonio culturale dei paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo.
La prof.ssa Trupiano spiega che anche l’Università Roma Tre partecipa a questo progetto, e che presto saranno presentati i primi risultati.
Interviene anche l’architetto Maria Teresa IAQUINTA, che da venti anni lavora presso l’ICCROM, Centro Internazionale per lo studio della conservazione e del restauro dei beni culturali, organismo intergovernativo istituito dall’UNESCO, cui aderiscono 110 paesi, alla cui costituzione, decisa nel 1956, molti studiosi italiani hanno dato un contributo determinante.
Molte le domande rivolte al Generale Zottin, in particolare in relazione all’intervento del suo reparto in Iraq, in seguito alle quali il Comandante spiega che l’azione del suo reparto si colloca nell’ambito della missione militare italiana Antica Babilonia, ma potrà andare anche oltre l’eventuale ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, in quanto legata ad un programma dell’UNESCO, con un fondo finanziato dall’Italia, che prevede l’addestramento per i c.d. “formatori d’area” iracheni, vale a dire personale locale che possa a sua volta dare vita ad una struttura irachena di salvaguardia del proprio patrimonio culturale; il programma, che mira innanzitutto a far prendere consapevolezza dell’importanza di questo tipo di attività, dovrebbe essere operativo dal prossimo autunno.
Il Gen. Zottin, in risposta ad una specifica domanda, tocca infine anche il problema delle sanzioni contro i danni al patrimonio culturale, spiegando che l’attuale codice prende le mosse da una legge delega che non ha previsto cambiamenti per le sanzioni, sia amministrative sia penali, ma che attualmente sono in corso i lavori di una commissione guidata dal pubblico ministero di Venezia, Nordio, al fine di rivedere l’intero assetto sanzionatorio della materia, mirando in particolare all’introduzione del “furto d’arte”, poiché ad oggi il furto di un’opera d’arte è punito come quello di un qualsiasi oggetto di pari valore, senza tenere in considerazione quello che è stato appunto definito il valore immateriale del bene culturale.


Ileana Cathia Piazzoni