La riforma dei servizi pubblici locali:strategia di industrializzazione ed ottimizzazione della gestione – Resoconto convento

17.05.2004

In collaborazione con Dipartimento per le Politiche Comunitarie 
FORUM P.A. 2004 
Roma, 10 maggio 2004

Interventi

Rocco Buttiglione
Ministro per le Politiche Comunitarie

Federico Bona Galvagno
Capo del settore Legislativo Dipartimento per le Politiche Comunitarie
Presidenza del Consiglio dei Ministri

Carlo Deodato
Consigliere Giuridico del Ministro
Per le Attività Produttive

Tommaso Paparo
Consulente del Ministro
per le Politiche Comunitarie

Massimiliano Lombardo
Docente Servizi Pubblici Locali
Libera Università Maria Santissima Assunta

Giuseppe Sgaramella
Responsabile Rapporti Istituzionali ACEA

Stefano Gabbuti
FORMEZ

Lunedì 10 maggio, in occasione del “Forum PA: Mostra Convegno dei servizi ai cittadini e alle imprese”, si è tenuto un convegno in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Comunitarie dal titolo “La riforma dei servizi pubblici locali: strategia di industrializzazione ed ottimizzazione della gestione”.
Come è stato più volte sottolineato dagli stessi relatori, non è stato un caso la scelta del giorno in cui tenere tale convegno: gli operatori del settore – e non solo – sanno infatti che il 10 maggio è la giornata dei Servizi Pubblici Locali. Sembrava quindi opportuno, da parte degli artefici dell’ultimo intervento legislativo sulla materia – art. 14 del d. lgs. 269/2003 – e organizzatori del convegno, fare un punto sullo stato dell’arte e ipotizzare possibili evoluzioni future specie in merito alla compatibilità della nuova disciplina con l’ordinamento comunitario.
In occasione del convegno, è stato distribuito gratuitamente ai partecipanti un cd-rom predisposto dal Formez, presente nella persona del Dr. Stefano Gabbuti che, successivamente alla introduzione dei relatori da parte del Dr. Federico Bona Galvagno, ha preso per primo la parola: ha spiegato che il cd-rom, dal titolo “Il contratto di servizio: elementi per la redazione e la gestione”, è stato realizzato nell’ambito del progetto “Portale Servizi Pubblici” – di cui il Dr. Gabbuti è coordinatore tecnico-scientifico – e attuato dal Formez Area Servizi pubblici e outsourcing in collaborazione con il Dipartimento della Funzione Pubblica.
Come chiaramente indicato, l’obiettivo del progetto è stato quello di fornire validi strumenti che i nuovi processi in atto nella gestione dei servizi pubblici locali richiedono: terminata, infatti, la gestione diretta da parte delle amministrazioni locali, era diventata sempre più urgente la necessità di una profonda riflessione sul cambiamento dei ruoli degli attori chiamati in gioco. In questo contesto, ciò che interessa è il passaggio dell’ente locale da amministrare erogatore a amministratore regolatore titolare di funzioni di indirizzo e di controllo: è proprio in virtù di questa trasformazione che il Formez ha ritenuto necessario fornire alle amministrazioni locali adeguati strumenti di supporto per sostenere gli enti nella fase di esternalizzazione dei servizi attraverso la definizione e diffusione di una metodologia per la redazione dei contratti di servizio.
Per fare questo, il Dr. Gabbuti ha però tenuto a sottolineare che nelle intenzioni di chi ha predisposto il progetto non c’è assolutamente la convinzione di poter costruire un unico modello di riferimento: nel cd-rom sono quindi stati chiaramente definiti gli elementi per la redazione e per la gestione del contratto di servizio senza però, con questo, andare a comprimere una delle potenzialità maggiori dello strumento che deve essere appunto la sua duttilità nel sapersi adattare alle diverse esigenze da regolare.
Il relatore conclude l’intervento rimandandoci al portale Servizi Pubblici Locali dove, a breve, saranno disponibili banche dati contenenti oltre 500 contratti di servizio, contratti societari, notizie, eventi, normativa italiana e comunitaria di riferimento.

A seguito dell’intervento del Dr. Gabbuti, ha preso la parola il Dr. Federico Bona Galvagno che prima di trattare l’argomento del suo intervento, ha evidenziato le chiare potenzialità del progetto predisposto dal Formez.
Ha infatti spiegato che, ad oggi, non c’è assolutamente una corsa degli amministratori locali all’affidamento attraverso gara: questo comportamento può essere sicuramente motivato dal terrore che questi soggetti hanno proprio nei confronti del contratto di servizio. Il problema maggiormente avvertito secondo il Dr. Bona Galvagno è che il contratto, che deve essere allegato al bando di gara, è ancora uno strumento altamente complesso; non bisogna inoltre sottovalutare che la normativa comunitaria impedisce modifiche alla negoziazione post-gara.
Sembra quindi ovvio che i sindaci, finchè rimarranno singoli soggetti appaltanti, nutriranno serie riserve nei confronti del contratto di servizio: positivo quindi l’intervento del Formez nella misura in cui potrà fornire un valido aiuto per la compilazione del contratto.
L’intervento è poi proseguito con l’obiettivo di spiegare le motivazioni del nuovo intervento del legislatore nella disciplina dei servizi pubblici locali con l’art. 14 del d. lgs. 269/2003, a soli due anni dall’art. 35 della finanziaria per il 2002. Il Dr. Bona Galvagno ha infatti ricordato che il Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2003 aveva dato mandato al Ministro per le Politiche Comunitarie Rocco Bottiglione – che poi aveva affidato allo stesso Bona Galvagno il compito effettivo di elaborare la norma – di predisporre un documento che consentisse di risolvere la procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea nel 1999 e reiterata per la violazione dei principi di non discriminazione e trasparenza nella disciplina dettata dall’art. 35 della l. 448/2001. Il relatore ha ritenuto opportuno richiamare alla memoria della platea che le procedure di infrazione partono con un primo atto formale – lettera di messa in mora – con il quale la Commissione chiede chiarimenti allo Stato membro su norme sospettate di essere in contrasto con principi o norme comunitarie.
La procedura, anche se aperta nel 1999 e reiterata a causa dell’art. 35, è ancora al primo atto: non è infatti intervenuto il parere motivato della Commissione che, nel caso non ritenga sufficienti i chiarimenti forniti dallo Stato membro e rendendo definitivi i propri rilievi, impone una scelta che può anche concludersi con il ricorso alla Corte del Lussemburgo.
Il Dr. Bona Galvagno ha sottolineato la propria soddisfazione per il fatto di essere riuscito a mantenere questo risultato perché ha spiegato che, rimanendo nell’alveo della messa in mora, il legislatore italiano aveva margini più ampi di manovra. L’obiettivo, al momento di predisporre eventuali nuovi modelli gestionali, era perciò di trovare una soluzione che ottenesse l’approvazione di tutta la coalizione di Governo e quindi del Parlamento e che soprattutto prefigurasse la chiusura della procedura d’infrazione.
Secondo il relatore, artefice materiale della disposizione in questione, il migliore risultato sembrava essere quello di prevedere tutti i possibili modelli di affidamento dei servizi pubblici locali legittimi sotto il profilo nazionale e comunitario – tenendo ben presente le aperture manifestate dalla Commissione in precedenti occasioni in merito a modelli specifici – lasciando però all’”autonomia” della stazione appaltante – i Comuni, in quanto titolari del servizio – la scelta del modello che, caso per caso, ritengano più adatto per la realtà socio economica locale.
I modelli che quindi il Dr. Bona Galvagno ha menzionato, che sono poi quelli che sono stati di fatto inseriti nell’art. 14, sono quattro:
· nei casi di servizi privi di rilevanza economica, si è ritenuto opportuno non fare una gara perché costosa e perché nessuno parteciperebbe per l’affidamento di un servizio per il quale si sopporteranno costi senza ricavarne un utile. In questo caso quindi la soluzione prospettata è quella di gestire il servizio secondo gli strumenti del diritto amministrativo
· permane, ovviamente il modello della gara per l’affidamento della gestione del servizio di rilevanza economica: la stazione appaltante, prima della gara, deve preparare con molta attenzione il capitolato, cioè un contratto di servizio nel quale disciplinare con chiarezza le modalità con le quali dovrà essere gestito il servizio
· altra ipotesi illustrata dal relatore è quella del c.d. affidamento “in house” che si profila quando la stazione appaltante decide di creare un ente di diritto privato a capitale interamente pubblico per gestire in maniera diretta il servizio – quindi senza procedura di gara – ma avvantaggiandosi della possibilità di usare lo strumento del diritto civile, più duttile alle esigenze del mercato e in grado di rendere la gestione più snella ed efficace. Il Dr. Bona Galvagno ha però subito chiarito che questa modalità di affidamento diretto può essere di fatto praticata a condizione che la stazione appaltante eserciti sulla società di capitali un controllo equivalente a quello che la stessa esercita sui propri uffici e che la società realizzi la parte più importante della sua attività con l’ente o enti che la controllano. Il riferimento poi alla dizione di capitale interamente pubblico – elemento questo non presente nella sentenza Teckal che ha indicato la strada da percorrere se si vuole adottare il modello dell’affidamento “in house” – non significa però che il capitale della società debba essere di proprietà di un unico ente locale: anzi, il Dr. Bona Galvagno ha evidenziato che è da auspicarsi, proprio per garantire forme di aggregazione, che il capitale sia detenuto da più amministrazioni locali. Si è tenuto anche a precisare, a garanzia della stabilità della riforma, che l’orientamento della Commissione europea e della Corte di Giustizia del Lussemburgo sulla possibilità dell’affidamento diretto a questa tipologia di società e positivo.
· infine, viene illustrato dal relatore il modello che prevede la possibilità di affidamento dei servizi a società miste pubblico-privato nelle quali l’ente pubblico detenga il 51% della proprietà. Il problema che andava risolto al momento della previsione di questa modalità gestionale, a causa delle contestazioni comunitarie al modello italiano, era quello di trovare il modo che garantisse il pieno rispetto dei principi e delle normative comunitarie in materia di concorrenza e non discriminazione. La questione è stata risolta prevedendo obbligatoriamente che la scelta del socio privato avvenga mediante il ricorso alla gara: in questo modo, infatti, il momento del rispetto dei principi comunitari è anticipato rispetto al momento dello svolgimento della gara. Non si concorre per ottenere l’affidamento della gestione del servizio ma si concorre per il ruolo di socio
Il Dr. Bona Galvagno ha concluso il suo intervento precisando che solo in questo modo le società italiane, in ritardo rispetto alla Francia, all’Inghilterra e alla Germania, potranno raggiungere le dimensioni per essere competitive sul mercato europeo e infine, ricordando che la crescita delle società è un dovere per un legislatore attento.

Nel corso della relazione del Dr. Bona Galvagno, è intervenuto molto brevemente il Ministro per le Politiche Comunitarie Rocco Bottiglione, impegnato contemporaneamente in più convegni.
Il Ministro ha colto l’occasione per richiamare brevemente l’art. 35 della l. 448/2001 ricordando che contraddiceva platealmente la normativa comunitaria.
La questione però non poteva essere abbandonata perché riguardava i servizi pubblici locali che devono essere resi obbligatoriamente a tutti i cittadini.
Le ipotesi che si erano da sempre prospettate, e che si potevano ritrovare esattamente identiche sia nel Governo di centrosinistra che nel Governo di centrodestra erano, da una parte, affidare tutti i servizi pubblici mediante gara alle imprese private per garantire un miglioramento dei servizi e un abbassamento delle tariffe: ma la realtà dei fatti ha dimostrato che non sempre è così. L’altra ipotesi tendeva invece a salvaguardare l’elemento della pubblicità dei servizi prevedendo possibilità di affidamento e gestione a soggetti aventi natura essenzialmente pubblicistica: l’inconveniente in questo caso era che l’amministrazione locale non si è dimostrata in grado di sapersi adeguare alla domanda.
Il Ministro quindi, come già esposto dal Dr. Bona Galvagno, ha spiegato che la loro scelta è ricaduta su un percorso misto prevedendo l’affidamento “in house” e soprattutto il modello della società mista dove però il socio sia obbligatoriamente scelto mediante gara.
Anche in questo intervento viene auspicato che più enti pubblici detengano la maggioranza del capitale della società citando come esempio il caso della provincia di Milano dove più comuni – per la precisione 193 comuni – si sono aggregati al fine di detenere la maggioranza del capitale della società costituita: il vantaggio per questo tipo di modello dovrebbe essere quello di ridurre il rischio di una gestione clientelare.

A seguire è intervenuto il Dr. Carlo Deodato, Consigliere di Stato e Consigliere Giuridico del Ministro per le Attività Produttive, che ha indirizzato le sue riflessioni sul tema del periodo transitorio modificato dall’art.14, ricordando che la procedura d’infrazione era stata aperta, per ex art. 113 prima e art. 35 poi, a causa delle previsioni sugli affidamenti diretti e sulla disciplina transitoria.
Come prima cosa, il Dr. Deodato ha provveduto a richiamare l’art. 35 che, modificando il comma 15 dell’art.113, aveva stabilito che, qualora le discipline di settore non avessero previsto un congruo periodo di transizione, dovesse essere il Regolamento – che, come si sa, non è mai stato emanato – a determinare i termini di scadenza o di anticipata cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica; questi termini non potevano comunque essere inferiore ai tre anni e superiori ai cinque.
I punti della norma in esame che secondo il Dr. Deodato avevano creato le maggiori perplessità erano anzitutto la dubbia compatibilità con le norme comunitarie, l’indeterminatezza temporale, il rinvio al Regolamento.
La situazione, già compromessa, veniva ulteriormente aggravata dalle ipotesi di proroga previste al capoverso 3 dello stesso comma 15: veniva infatti ipotizzato, alla lettera a) che il periodo transitorio poteva essere incrementato di misura non inferiore a un anno nel caso in cui, almeno 12 mesi prima della data indicata nel Regolamento per la cessazione della concessione, si fosse costituita, “mediante una o più fusioni, una società capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore”.
Il Dr. Deodato, a conferma delle sue perplessità, ha dato lettura anche della successiva lettera b) nella quale la proroga non inferiore a un anno era consentita anche per la società affidataria che, “a seguito a una o più fusioni, si trovi ad operare in un ambito corrispondente almeno all’intero territorio provinciale ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti”.
Senza continuare nella lettura delle lettere c) e d), il problema posto dal relatore ha riguardato la possibilità che una stessa impresa potesse contemporaneamente ricadere nelle ipotesi delle lettere a) e b) comportando, in questo modo, un cumulo di proroghe e, di conseguenza, una indeterminatezza temporale sempre più incompatibile con la normativa comunitaria.
Il relatore è quindi passato all’analisi della disciplina transitoria prevista dai nuovi commi 15-bis e 15-ter dell’art. 113 come introdotti non solo dall’art. 14 del d. lgs. 269/2003 ma anche dalla l. 350/2003 (finanziaria per il 2004). Si tratta di un nuovo regime transitorio che soddisfa le esigenze prevedendo una data unica di scadenza per le concessioni illegittime: “le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006”. In seguito alla cessazione, che avrà luogo senza la necessità di deliberazione dell’ente affidante, l’ente locale dovrà provvedere a nuove modalità di gestione.
Il Dr. Deodato ha poi provveduto a una rapida rassegna delle tre ipotesi di esclusione da detta disciplina contemplate dal comma 15-bis. Anzitutto, il termine del 31 dicembre 2006, che opera ex lege senza necessità di alcun regolamento, interviene solo se le normative di settore non stabiliscono un congruo periodo di transizione. Alcune perplessità sono state avanzate sul termine “congruo”, che dovrebbe rimandare quindi alla valutazione dell’interprete caso per caso: opinione prevalente concorda comunque nel ritenere congruo un termine che sia uguale o inferiore al 31 dicembre 2006. Un esempio che viene citato dal relatore è quello del decreto Letta sul servizio di distribuzione del gas d. lgs. 164/2000 nel quale il termine indicato è 31 dicembre 2005, termine che quindi può essere ritenuto congruo.
Altra ipotesi di esclusione si configura quando le concessioni sono conformi alla nuova normativa: questo vuol dire che se si è operato mediante affidamento “in house” oppure attraverso la costituzione di società mista, rispettando in entrambi i casi le condizioni più volte richiamate nel corso del convegno, la scadenza del 31 dicembre 2006 non sarebbe operativa.
Il Dr. Deodato ha poi illustrato la terza ipotesi di esclusione dalla cessazione, prevista sempre dal comma 15, introdotta dalla finanziaria per il 2004 e che, a suo parere, è giustamente motivata perché si tratta di situazioni industriali che hanno un impatto sul mercato e sull’economia nazionale di rilievo e che, quindi, meritano una tutela diversa. Il legislatore ha infatti previsto che siano “escluse dalla cessazione le concessioni affidate a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data (…) nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica”.
Il Dr. Deodato ha inoltre richiamato la disciplina del comma 15-ter che ha previsto altre due ipotesi di esclusione, che mirano all’aggregazione e alla stabilità, – le stesse, per altro, già inserite nelle lettere a) e b) del capoverso 3 del comma 15 dell’art. 113 come modificato dall’art. 35 – che però, per essere operative, sono subordinate al previo assenso della Commissione Europea. Unico limite, che potrebbe creare qualche problema, è che, nel comma 15-ter, non è chiarito se le due ipotesi di proroga possono cumularsi.
Per concludere il suo intervento, il relatore ha affermato che sono state adeguatamente soddisfatte le esigenze sottese alla dichiarazione di messa in mora.

A seguire, ha preso la parola l’avv. Tommaso Paparo, Consulente del Ministro per le Politiche Comunitarie. Il suo intervento ha avuto ad oggetto i commi 5 e 7, dei quali il relatore ha dato lettura, per fornire qualche ulteriore precisazione in merito all’affidamento “in house” e alla modalità di scelta del socio privato nella società mista.
Anzitutto, è stata sottolineata una importante differenza rispetto alla disciplina dettata dall’art. 35: mentre infatti per i servizi a rilevanza industriale la società di capitali cui conferire la titolarità del servizio poteva essere individuata unicamente attraverso gare con procedura ad evidenza pubblica, per i servizi a rilevanza economica l’affidamento “in house” o a società mista non rappresenta la regola ma una scelta rimessa all’autonoma valutazione dell’amministrazione locale.
Il relatore ha anche precisato che i requisiti contenuti alla lettera c) del comma 5 – capitale interamente pubblico, controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, parte più importante della propria attività realizzata con l’ente o gli enti pubblici che la controllano – non possono essere presenti alternativamente ma cumulativamente. Il controllo cui fa riferimento questa disposizione non è un controllo di natura societaria come previsto dall’art. 2359 del codice civile: è infatti la stessa sentenza Teckal ad aver espressamente previsto che si debba trattare di un controllo gestionale e finanziario stringente anche se diverso dalle vecchie tipologie di controllo che l’amministrazione locale operava sulle vecchie municipalizzate. Il modello strutturale che emerge da questa disposizione richiama un ufficio della pubblica amministrazione che però assume la natura giuridica di società per azioni.
L’avv. Paparo ha poi evidenziato le potenzialità positive del modello della società mista prevista alla lettera b) del comma 5 cominciando ovviamente con il precisare che le disposizioni del comma 7 dell’art. 113 sono da applicarsi sia alla gara per la scelta della società cui affidare l’erogazione del servizio sia alla gara per la scelta del socio privato nelle società a capitale misto.
Il modello della società mista può rappresentare una valida alternativa all’affidamento dei servizi ai privati mediante gara – unica regola nel precedente assetto normativo – perché, se applicata correttamente, può coniugare il buono sia del sistema dell’affidamento al pubblico sia dell’affidamento ai privati. Da un lato, infatti, consente i vantaggi della gestione attraverso società private che sono in possesso delle conoscenze, capacità e capitali per gestire in maniera più efficiente il servizio; dall’altro lato però, consente anche al Comune – che è dentro la società – di esercitare un controllo sulla società e su come vengono gestiti i servizi.
A parere del relatore, questa è la vera leva positiva della società mista perché solo in questo modo – ovviamente si parla dei servizi a rilevanza economica – il Comune può assicurarsi una corretta gestione, molto più di quanto invece avrebbe potuto fare in precedenza con il solo metodo di affidamento tramite gara, in base ad un capitolato eventualmente mal scritto ma che non può essere modificato dopo l’aggiudicazione.
Il relatore ha terminato precisando che il privato da scegliere mediante gara può anche essere una società mista o una società quotata in borsa.

Concluso l’intervento, ha preso la parola il Dr. Giuseppe Sgaramella, Responsabile Rapporti Istituzionali dell’Acea il quale, nella sua breve relazione, ha nuovamente confermato che l’art. 35 aveva fallito completamente i suoi obiettivi, specie se si considera la reiterazione della lettera di messa in mora.
Uno dei limiti essenziali era evidente anche all’osservatore meno attento: al comma 16 veniva infatti rimessa alla competenza di un apposito Regolamento, che il Governo avrebbe dovuto adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, l’individuazione dei servizi di rilevanza industriale e la determinazione del periodo transitorio per le concessioni illegittime.
Questo regolamento non ha mai visto la luce quindi si può parlare solo di aspetti teorici.
Diversa invece la situazione attuale: oggi c’è un quadro di maggiori certezze.
Secondo il relatore, avrà sicuramente risvolti positivi la scelta del legislatore di prevedere, al comma 5, più modalità gestionali in luogo della gara come unico strumento per l’affidamento del servizio.
L’intervento viene concluso precisando che se il momento concorrenziale c’è stato anche solo per la scelta del privato nella società mista, allora detta società potrà partecipare alla gara indetta dal 1 gennaio 2007.

Il convegno termina con le ultime valutazioni espresse Dr. Massimiliano Lombardo, docente Servizi Pubblici Locali alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università LUMSA, per il quale stiamo assistendo a una rilevante mutazione nel settore dei servizi pubblici locali e a fenomeni di riorganizzazione delle realtà aziendali: questi processi sono dovuti alla maggiore consapevolezza del ruolo delle imprese da un lato e delle amministrazioni locali dall’altro attraverso politiche commerciali che le rendono più competitive.
Ciò che si dovrà fare sarà una valutazione dei riflessi della riforma sul mercato, gli effetti rispetto al posizionamento e riposizionamento delle imprese e infine valutare come la riforma si traduca in un reale miglioramento dell’efficacia.

Benedetta Barbagallo