L’invasività dello Stato nelle competenze in materia ambientale delle regioniCorte costituzionale, 28 aprile 2004, n. 129

28.04.2004

La sentenza della Consulta ha come oggetto il ricorso, in via incidentale, promosso dalla Regione Lombardia nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri in riferimento all’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002, nell’ambito di un procedimento penale apertosi, a seguito di un esposto-denuncia presentato dalla Lega per l’abolizione della caccia, nei confronti di ignoti, per il reato previsto all’art. 30, comma 1, lettera h) della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che punisce “chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o [per] chi esercita la caccia con mezzi vietati”.

Nell’ambito di suddetto procedimento penale il Pubblico ministero ha disposto il sequestro preventivo delle specie di uccelli cui la legge regionale n. 18 del 2002 recante “Applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici”, si riferiva; lo stesso disponeva, in tal modo, il ripristino del divieto di caccia per i suddetti volatili.

L’ordinanza in oggetto, richiamando l’art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, secondo cui la competenza legislativa in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è riservata in via esclusiva allo Stato, conclude negando la convalida del sequestro e sostenendo la facoltà di prevedere eventuali deroghe ai divieti di prelievo venatorio.

La regione Lombardia chiede l’annullamento dell’ordinanza per violazione degli artt. 101, 134 e 117, commi primo, quarto e quinto della Costituzione.

Il quadro normativo che fa da sfondo a questa vicenda ha come presupposto la direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico. La stessa agli artt. 5, 6, 7 e 8 detta prescrizioni rigorose e puntuali in materia di prelievo venatorio, mentre, all’art. 9 statuisce che gli Stati membri possono derogare a tali disposizioni nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica, nell’interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame ai boschi, alla pesca, alle acque, per la protezione della flora e della fauna, o anche per fini riguardanti la ricerca e l’insegnamento, il ripopolamento e la riproduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni, infine per consentire in condizioni rigidamente controllate e in maniera selettiva la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

La regione Lombardia, con l’art. 2 della legge regionale n. 18 del 2002, ha dato attuazione al regime di deroga previsto dalla direttiva autorizzando, quindi, il prelievo venatorio di alcune specie di volatili. Il legislatore statale, successivamente, con l’art. 1 della legge 3 ottobre 2002, n. 221 recante “Integrazioni alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, in attuazione dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE” ha introdotto, nella legge n. 157 del 1992, l’art. 19-bis con il quale statuisce, al primo comma, che le regioni disciplinano l’esercizio delle deroghe di cui alla direttiva 79/409/CEE conformandosi alle prescrizioni e alle finalità previste in questa, nonché a quelle indicate nella medesima legge.

La ricorrente sottolinea che, nonostante la recente giurisprudenza costituzionale, (sentenze n. 536 del 2002 e n. 226 del 2003, con le quali è stato riconosciuto allo Stato il potere di fissare standard minimi e uniformi di tutela anche, in una materia ascrivibile alla potestà legislativa residuale delle regioni, qual è la caccia), l’ordinanza impugnata, affermando la competenza esclusiva dello Stato ad introdurre eventuali deroghe ai divieti di prelievo venatorio, risulterebbe comunque lesiva delle attribuzioni regionali.

La Corte costituzionale conviene con le motivazioni addotte dalla ricorrente e, dopo avere precisato che la direttiva comunitaria “per il suo contenuto incondizionato e sufficientemente preciso in riferimento ai divieti di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8” deve “ritenersi direttamente efficace o applicabile da parte del giudice nazionale senza la necessità di uno specifico provvedimento di attuazione”, chiarisce che, in applicazione del principio di separazione delle competenze fra Stato e regioni e al fine di garantire la non invasività da parte dello Stato nella sfera di competenza regionale, non spettava allo Stato e quindi, nel caso in oggetto al GIP, disapplicare la legge n. 18 del 2002 della regione Lombardia, in quanto così facendo si menomano le attribuzioni costituzionali regionali.

a cura di Caterina Bova