Dubbi sulla legittimità degli affidamenti diretti: rinvio alla Corte di Giustizia

22.04.2004

A poco più due mesi dalla sentenza n. 679 del 19 febbraio 2004 che, dichiarando l’efficacia retroattività della clausola di salvezza contenuta nel novellato articolo 113 del TUEL, aveva consentito di salvare gli affidamenti cd “in house” effettuati in violazione del previgente regime, il Consiglio di Stato solleva più di un dubbio circa la conformità con l’ordinamento comunitario degli affidamenti diretti di servizi pubblici locali.
Oggetto del rinvio pregiudiziale è l’articolo 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993, n. 1, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10 che consente di affidare direttamente la gestione di un servizio pubblico a società a capitale interamente pubblico
Sul punto, il Consiglio di Stato afferma di “condividere il dubbio” che le sopraccitate disposizioni non siano compatibili con il Trattato in particolare “con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato” e ritiene pertanto opportuno operare una remissione alla Corte di Giustizia ai fini di una pronuncia pregiudiziale.
Al riguardo, i giudici osservano come si riscontri “un impiego sempre più frequente della detta deroga…[che] comporta la sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all’iniziativa imprenditoriale privata, in contrasto la stessa ragion d’essere dell’Unione Europea.
I giudici evidenziano altresì che la soluzione data al quesito in esame non “esplic[herà] effetti solo sulla applicabilità della normativa della Regione Trentino-Alto Adige” dal momento che “anche la legislazione dello Stato consente ora la deroga al metodo di scelta del contraente mediante procedura ad evidenza pubblica” per quegli affidamenti direttamente effettuati in favore di “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.”
Più in particolare, il Consiglio di Stato sollecita una presa di posizione del giudice comunitario affinché risolva uno dei problemi interpretativi centrali emergenti dalla sentenza Teckal: stabilire quali devono essere le caratteristiche che consentono di configurare il “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.
In argomento, si ricorda che la Commissione nella lettera di messa in mora del 26 giugno 2002 aveva affermato che ai fini della sussistenza di un “…tale tipo di controllo….non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario” (punto 34), essendo necessario   “un rapporto che determina, da parte dell’amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo”.
Questa ricostruzione, secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato, si ridurrebbe a richiamare “un fenomeno giuridico assimilabile a quello delle aziende municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n.2578, nel quale si istituiva un nuovo soggetto, con capacità giuridica propria e propri organi, sottoposto peraltro a penetranti poteri di vigilanza da parte dell’Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n. 2578/1925). Tale esperienza, d’altra parte, era caratterizzata dall’obbligo dell’azienda di svolgere la propria attività mediante contratti, scegliendo il contraente con procedure ad evidenza pubblica (art. 57 e ss. del Regolamento di cui al D.P.R. 4 ottobre 1986 n. 902).
Di converso, “l’affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l’esercizio dei poteri propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto commerciale comune, sembra esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure diverse da quelle destinate a garantire una crescita del mercato interno, l’economia nelle spese e il vantaggio per l’utenza.”
Sulla base di tali argomentazioni, il giudice remittente chiede alla Corte di chiarire “se il possesso dell’intero capitale del soggetto affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione.

a cura di Luigi Alla


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