Eccesso e lesione di competenza, e regola del pubblico concorso Corte costituzionale, 8 – 24 luglio 2003, n. 274

13.04.2004

Corte Costituzionale, sentenza 8 – 24 luglio, n. 274 del 2003

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale  degli articoli 3 e 4 della  legge della Regione Sardegna 8 luglio 2002, n.11, intitolata “Norme  varie in materia di personale regionale e modifiche  alla legge regionale 13 novembre 1998, n. 31”.
L ‘art. 3 della legge reg. n. 11 del 2002,  autorizza l’ amministrazione regionale a collocare nei ruoli organici del proprio personale i soggetti che alla data di entrata in vigore della legge sono impegnati presso di essa in lavori socialmente utili, ovvero   sono ad essa  legati da rapporti di lavoro a termine o a tempo determinato. Tale collocazione avviene nel limite dei posti che risultano vacanti a conclusione delle selezioni interne per la copertura del 50 per cento del numero complessivo dei posti.
L’ art. 4 della legge impugnata, ha  modificato l’ art. 77 della legge regionale 13 novembre 1998, n. 31(Disciplina del personale regionale e dell’ organizzazione degli uffici della Regione), modificandone il comma 2, ed introducendo il comma 2-bis.
La qualifica di dirigente compete in base alla normativa impugnata non solo ai dipendenti della Regione già in possesso della qualifica funzionale dirigenziale in base alla legislazione previgente, ma anche ai dipendenti che  laureati  ed inquadrati in più elevati livelli funzionali siano in possesso di una data anzianità di servizio, ovvero, a coloro che conseguano tale qualifica in base a concorsi interni (per effetto della modifica dei commi 5 e 9 dell’ art. 2 della legge reg. 1998 n. 31, è stata elevata dal 75% al  90% la percentuale dei posti da ricoprire mediante concorsi interni ) ; è venuta meno, per effetto dell’ abrogazione del comma 10, la possibilità di indire un pubblico concorso per la copertura  della percentuale residua dei posti di dirigente. Come è evidente la normativa impugnata prescinde dall’ espletamento di una procedura concorsuale pubblica, ed in alcuni casi anche dal possesso del titolo di laurea. Risultano così violate in questo modo le norme costituzionali a garanzia dell’ imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (in particolare, artt. 3 e 97, Cost.).
La Regione Sardegna a difesa della propria legge eccepisce che, in contrasto con l’ art. 127 Cost., che contiene un espresso riferimento solo ai vizi concernenti la competenza, alcuni dei rilievi di incostituzionalità  mossi dallo Stato, censurano  la violazione di norme (costituzionali o interposte) non esclusivamente attinenti al riparto di competenze  Stato-Regioni (ad esempio, l’accesso al pubblico impiego in assenza di una previa procedura concorsuale, l’incompleta copertura degli oneri finanziari…, artt. 3, 51, 97, 81Cost.).
Si sottolinei prima di tutto come l’ art. 127 Cost., abbia cessato di essere una norma monotematica di disciplina dei ricorsi dello Stato avverso le leggi delle Regioni: al di là del generico riferimento alle questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato  (oltre che delle Regioni) contenuto nell’ art. 134 Cost.,  la disciplina dei ricorsi della Regione avverso le leggi dello Stato a lungo ha trovato una più compiuta disciplina nell’ art. 2 della legge costituzionale n.1 del 1948, recante norme sui giudizi di legittimità costituzionale e  sulle garanzie di indipendenza della Corte Costituzionale. In base al comma 1, le Regioni possono impugnare innanzi alla Consulta le leggi dello Stato che invadono la sfera di competenza regionale; al secondo comma è invece previsto che le leggi regionali possono essere impugnate oltre che dallo Stato ove eccedano la loro competenza , anche da altre Regioni che ritengano lesa la loro competenza. Oggi, il  nuovo art. 127 pur in una formulazione più sintetica,  disciplina il controllo di costituzionalità non più solo delle leggi delle Regioni, ma delle leggi  della Repubblica, statali e regionali insieme. Eliminata ogni forma di controllo preventivo sulle leggi delle Regioni,… espunto ogni riferimento all’ interesse nazionale  ed a quello delle altre Regioni (fonte di legittimazione del controllo politico del Parlamento sulle leggi regionali ), la violazione delle regole concernenti la competenza sembra il minimo comune denominatore tra l’impugnativa in via principale delle leggi statali e di quelle regionali. Diciamo sembra, perché l’art. 127 usa una diversa nomenclatura: nel comma 1, quella di eccesso di competenza, nel comma 2 quella di lesione di competenza. La Corte osserva che un aporia simile sussisteva  già tra l’originario art. 127 Cost.  che si riferiva a leggi regionali eccedenti la propria competenza, e l’ art.2, commi 1 e 2, legge cost. 1948, n. 2, ove ricorrevano i concetti di  invasione di competenza e lesione di competenza. Ma la differenza sta più che nella diversa nomenclatura, nella diversa sostanza dell’ impugnativa statale e di quella regionale. Un’  interpretazione  che tenga conto della sola lettera della legge  finisce con il dilatare senza limite la facoltà dello Stato di impugnare le leggi regionali, laddove resterebbe invece circoscritta la medesima facoltà per le  Regioni rispetto alle leggi dello Stato. Invero mentre ai sensi del comma 1 dell’ art. 127, la legge regionale potrebbe, in teoria, essere impugnata dallo Stato anche per violazione di parametri normativi non strettamente inerenti la competenza, la legge dello Stato, invece, sarebbe suscettibile di impugnativa solo  per violazione delle  norme concernenti  il  riparto di competenza Stato – Regioni [1].  Per fuorviare allora, una qualsiasi sopravvivenza di un’ impostazione asimmetrica dei rapporti Stato –Regioni, la Corte propone un’ interpretazione che, travalicato il mero dato testuale, sappia  fare astrazione dal contesto storico in cui le norme fin qui esaminate sono nate,  che sappia cioè tenere conto delle  imprescindibili innovazioni contenute nel titolo V (……dice infatti la Corte: “E proprio sul piano sistematico si è talora rilevato come l’insieme delle modifiche  apportate dalla riforma costituzionale del 2001 al quadro complessivo dei rapporti Stato e Regioni porti ad escludere la persistenza della ricordata asimmetria”). Tuttavia, quasi a sorpresa, la Corte  osserva, come pur nel mutato quadro costituzionale di riferimento lo  Stato conserva, quasi inevitabilmente, “… nell’ ordinamento generale  della Repubblica una  posizione peculiare…” (cfr., artt.5, 117, comma 1, 120, comma 2, 138), legata al suo ruolo rappresentativo ed unificante. Si tratta  ora di capire in che misura, in futuro, la Corte Costituzionale sarà disposta ad avallare questa peculiarità della posizione statale, e con essa, la potenziale omnicomprensività dell’ impugnativa statale delle leggi regionali [2] .
Anche le altre eccezioni di inammissibilità sollevate dalle Regioni, sono considerate infondate. In particolare le Regioni osservano che molte delle norme, che lo Stato assume violate dalla impugnata legge regionale, sono state abrogate.
Per la Corte invece, l’abrogazione formale di una legge non comporta  necessariamente l’ estinzione della sua ratio. Le ragioni profonde che conducono all’ emanazione di  una legge, il più delle volte sopravvivono alla sua abrogazione, per  rivivere in una nuova legge che della prima prende il posto.
La Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale della legge regionale impugnata, in relazione alla violazione dell’ art. 3 dello Statuto sardo. Deve ritenersi sia venuto meno per le Regioni di diritto comune il limite del rispetto delle norme fondamentali di riforma economico sociale, come dimostrerebbe il comma 1, dell’art. 117 della Costituzione, che non lo include tra i limiti posti al legislatore statale ed a quello regionale. Per le Regioni ad autonomia differenziata deve ritenersi invece  che tale limite sia venuto meno ai sensi dell’ art. 10  della legge costituzionale 2001, n. 3. Infatti, se per le Regioni ad autonomia differenziata sopravvivessero  i limiti derivanti dalle leggi dello Stato qualificabili come le norme fondamentali di riforma economico sociale (art. 3 dello Statuto), la situazione per queste Regioni  sarebbe assai deteriore rispetto a quella delle Regioni ordinarie che nelle materie di potestà legislativa esclusiva sono tenute al rispetto dei soli limiti posti dal comma 1 dell’ art. 117 Cost., ai quali si aggiunge – nelle materie di potestà legislativa concorrente ai sensi comma 3  – il rispetto dei c.d. principi fondamentali posti con legge dello Stato; ma soprattutto risulterebbe violato l’art.10 della legge cost. n. 3, per il quale il nuovo titolo V si applica alle Regioni ad autonomia speciale nei limiti in cui ciò comporti per esse la fruizione di un trattamento più favorevole rispetto a quello ad esse  garantito dagli Statuti.
E’ invece fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge impugnata in relazione  alla violazione della  regola del pubblico concorso (art. 97 Cost.).
Il passaggio del personale ad una qualifica  di grado superiore deve essere filtrato da una previa procedura concorsuale. In  quanto ” meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci” è in grado di individuare i soggetti  più idonei all’ efficiente disimpegno di determinati compiti o funzioni [3]. Sono pertanto censurabili tutte quelle norme di legge che consentono, l’accesso ad una qualifica funzionale, o l’avanzamento a quella di grado superiore, prescindendo da qualsiasi controllo attitudinale rispetto alle mansioni proprie di quella qualifica . Ciononostante, la regola del pubblico concorso  può tollerare delle “ragionevoli” deroghe (art. 97, comma 3).  Così è ad esempio per l’esperienza acquisita dai lavoratori a termine, o dai soggetti addetti a lavori socialmente utili, che attendono alle proprie mansioni in via precaria (art. 3 della legge regionale impugnata): l’esperienza acquisita è considerata rilevante dal legislatore al punto di ritenere che  tale posizione precaria sia meritevole di “stabilizzazione” mercè inquadramento nei ruoli organici “in posizioni corrispondenti al profilo delle prestazioni espletate in via precaria” e che questa stabilizzazione non sia fine a se stessa, ma funzionale alle esigenze di buona amministrazione [4] .
Tale ragionevolezza non sussiste invece nelle ipotesi di accesso ad una qualifica superiore, in specie se di natura dirigenziale, in assenza di un pubblico concorso (art. 4 della legge regionale impugnata). In questa ipotesi la deroga alla regola del pubblico concorso è priva di ogni ragionevolezza, e per  le rilevanti responsabilità proprie del ruolo dirigenziale, che richiedono una ponderata valutazione delle capacità e delle conoscenze e attitudini di coloro che aspirano a svolgere le corrispondenti mansioni, sia perché il passaggio ad una fascia funzionale superiore costituisce comunque un mezzo per accedere “….ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento,  alla regola del pubblico concorso” [5].
Le norme che stabiliscono condizioni di privilegio, riserve, progressione automatiche, promozioni, concorsi interni  nei limiti in cui sono tollerate dall’ ordinamento giuridico, non sono vere e proprie deroghe alla regola del buon andamento della pubblica amministrazione,  quanto un suo rafforzamento: gran parte di queste deroghe sono infatti  ammesse proprio perché attraverso esse è possibile migliorare il rendimento della pubblica amministrazione [6]
[1] La Corte Costituzionale, richiama espressamente la sentenza n. 30 del 1959; ma si abbia riguardo anche alla sentenza n. 38 del 1957. La Corte ritiene  che la competenza legislativa della Regione Sardegna, non sia definita esclusivamente dalle materie elencate nell’ art. 3 dello Statuto, ma anche dalle norme della Costituzione che costituiscono il fondamento della potestà legislativa della Regione, e  che sono richiamate dallo stesso art. 3. Esso si apre   proprio prescrivendo al legislatore regionale il rispetto della Costituzione  e dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica. Pertanto una legge regionale “ eccede la propria competenza” non solo quando è adottata in una materia non inclusa tra quelle elencate all’ art. 3, ma anche quando viola la Costituzione o uno dei suddetti principi. Quando la legge regionale violi uno di questi limiti è viziata da incompetenza; se poi questi limiti sono posti dalla Costituzione “…….il vizio di incompetenza coincide con quello di illegittimità costituzionale”.
[2] Sul punto, si veda ad esempio, Corte Costituzionale, n.94 del 2003
[3] Corte Costituzionale, sentenza n. 218 del 200l
[4] In senso parzialmente difforme , Corte Costituzionale, sentenza n. 320 del 1997.  Di rilievo anche la sentenza della Corte Costituzionale, n. 141 del 1999 per la quale l’ attività in passato svolta può essere un’ importante parametro valutativo delle attitudini possedute dagli aspiranti   in relazione ai posti da ricoprire, poiché  “è conforme all’ interesse pubblico” che la precedente esperienza da essi maturata non vada perduta. Sulla valorizzazione della precedente esperienza anche , Corte Costituzionale, ordinanza n. 517 del 2002. Sul punto si veda anche, Corte Costituzionale,  sentenza n. 1 del 1999: “Deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione ………o di attuare altri princìpi di rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratti di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi”
[5] Corte Costituzionale,  sentenza n.194 del 2002
[6] Corte Costituzionale, sentenze n. 313 del 1994, e n. 528 del 1995
a cura di Giuliana Bianchi