Modelli di giustizia costituzionale – Resoconto convegno

08.01.2004

Modelli di giustizia costituzionale

prof. L. Pegoraro

Siena, 16 dicembre 2003


Nell’introdurre il prof. Pegoraro, la cui relazione concerne il tema dei modelli di giustizia costituzionale, la prof.ssa Groppi evidenzia come tale argomento mostri un indubbio interesse non solo sul piano della ricostruzione del dato di diritto positivo, quanto su quello più generale dei rapporti, sempre particolarmente complessi, fra le nozioni stesse di giustizia costituzionale e di democrazia.
In premessa, occorre evidenziare, ad avviso del relatore, come la definizione di classificazioni e di modelli nell’ambito della scienza giuridica e, in particolare, nel diritto pubblico comparato,  non abbia una mera valenza descrittiva,  bensì rivesta anche carattere prescrittivo, con riflessi diretti sulle condizioni generali di funzionamento dei diversi sistemi: in tal senso, rappresentano esempi “negativi” di istituti giuridici, di cui si è proposta l’introduzione nell’ordinamento italiano senza tenere conto delle condizioni generali di funzionamento del sistema, il Gabinetto ombra (Shadow Cabinet), la difesa civica ed infine la mozione parlamentare di sfiducia costruttiva.
Sul piano più propriamente del metodo, la predisposizione di classificazioni nell’ambito della scienza giuridica deve fare i conti in primo luogo con la non perfetta identità di significato attribuito, nei diversi ordinamenti, ad una serie di concetti: si pensi, per esempio, al termine “regime politico”, che in Italia  mantiene una connotazione autoritaria derivata dall’esperienza fascista, mentre in Francia tale carattere è in pratica assente; si rifletta poi sull’espressione devolution, con la quale in Italia si indica un diverso assetto dei rapporti centro-periferia rispetto a quello evidenziato nell’impostazione anglosassone.
Quali ulteriori avvertenze si segnalano poi la scarsa attendibilità delle disposizioni che tendono ad autoqualificare i vari ordinamenti – si pensi al Belgio che si definisce uno “Stato federale” o al Ruanda che si qualifica come uno “Stato sociale” -,  la dinamicità dell’oggetto della comparazione, nonché la pluralità dei parametri presi in considerazione (si pensi alla definizione di “forma di governo”).  Tali difficoltà possono spiegare come sia ricorrente la tentazione di apportare modificazioni ai modelli che riguardano esclusivamente la denominazione, senza toccare invece la sostanza dell’oggetto della classificazione stessa.
Vanno inoltre considerati quelli che possono definirsi come i limiti “fisiologici” delle classificazioni e, in particolare,  l’impossibilità di includervi ogni aspetto dell’oggetto studiato, con la conseguente necessità di compiere una scelta discrezionale in ordine ai profili oggetto della classificazione.
Venendo al merito della relazione, essa muove dalla tradizionale classificazione dei sistemi di giustizia costituzionale operata dal Cappelletti intorno ad un triplice ordine di criteri: quello strutturale, relativo all’organo incaricato del controllo di costituzionalità; quello “modale” avente ad oggetto  i meccanismi di accesso al sistema di giustizia costituzionale ed, infine, quello “effettuale” concernente appunto gli effetti delle pronunce di tali organi. 
Questa classificazione tende a superare la contrapposizione fra i sistemi americano ed europeo di giustizia costituzionale, caratterizzati diametralmente dai seguenti requisiti: per il primo, i caratteri diffuso, sul piano strutturale,  incidentale, su quello dell’accesso, e dichiarativo sul piano degli effetti delle pronunce rese; per il secondo, la natura accentrata del sistema, il carattere principale dell’accesso ed infine l’effetto costitutivo delle pronunce.
Alla tradizionale impostazione di Cappelletti si affianca quella che distingue tra sistemi a controllo astratto e sistemi a controllo concreto, a seconda che assuma rilevanza o meno il collegamento con l’applicazione della norma al caso concreto. Si tende inoltre ad attribuire carattere preventivo al modello astratto di controllo di costituzionalità – il caso della Francia, (con qualche eccezione, come si vedrà) – e, di converso, carattere necessariamente successivo al controllo concreto – il modello statunitense.
La giustapposizione tra sistemi concreti/successivi ed astratti/preventivi deve tuttavia tenere conto di una serie di elementi che evidenziano nella prassi un progressivo avvicinamento dei due modelli: in particolare, sembrano attestare tale fenomeno l’uso da parte delle corti europee di una sorta di writ of certiorari, l’arricchimento delle motivazioni rese nelle pronunce, l’incremento degli strumenti processuali ed infine l’introduzione di un controllo di tipo successivo anche in Francia, in particolare per quanto riguarda il controllo sugli statuti dei Territori d’oltremare.
Questo progressivo avvicinamento dei due modelli, che sembra superare l’impostazione di parte della dottrina (Pizzorusso) che si era soffermata sulla dicotomia tra sistemi a controllo astratto e sistemi a controllo concreto determina una sorta di ibridazione dei due sistemi, confermata anche dall’evoluzione che stanno conoscendo alcune esperienze straniere di giustizia costituzionale, quali quelle svizzere, scandinave, portoghese, accomunate dall’essere una sorta di quartum genus,  nel quale coesistono forme di controllo diffuso e giudizio accentrato di costituzionalità.
Di fronte dunque all’erompere di oltre cento sistemi di giustizia costituzionale del mondo, la tenuta di tali classificazioni deve essere sottoposta ad un continuo aggiornamento critico.
Ad avviso di Pegoraro, vi sono elementi che devono essere presi in considerazione per i loro riflessi sulla morfologia stessa dei sistemi di giustizia costituzionale: in primo luogo, l’estensione del parametro di costituzionalità, ad esempio in Francia ed in Belgio, ma anche, più di recente, in quei paesi che vi includono i trattati e le convenzioni internazionali; quindi l’arricchimento dell’oggetto del giudizio, non più  esclusivamente riconducibile alla legge in senso formale, ma ricomprendente  leggi organiche e trattati, nonché leggi di revisione costituzionale; infine, lo status dei soggetti legittimati ad adire la Corte (si pensi agli eccessi che in tal senso prospettava il progetto di riforma costituzionale licenziato dalla “Bicamerale D’Alema”, mentre di segno opposto era la situazione in Francia prima della riforma degli anni ’70).
Questo insieme generalizzato di tendenze comporta che debbano essere riviste classificazioni che sembravano consolidate: in particolare, sotto il profilo strutturale può essere utile distinguere tra sistemi unitari e sistemi plurali, dove nei primi si registra la presenza di una Corte in posizione “monopolista” e nei  secondi assume diverse articolazioni il rapporto tra la Corte e gli altri soggetti incaricati del controllo di costituzionalità delle leggi.  E’ poi possibile, ad avviso del relatore,  articolare un’ulteriore sottoclassificazione fra sistemi unitari integralmente accentrati, quali quelli esistenti in Italia e Spagna, sistemi plurali parzialmente accentrati, come  per la Germania e  l’Austria, sistemi plurali parzialmente decentrati quali quelli di Portogallo e Grecia, ed infine sistemi plurali integralmente decentrati quali quelli degli Stati federali  del Sudamerica (Brasile-Argentina), della Russia e degli Stati Uniti.
Sul profilo funzionale assume rilievo la distinzione fra sistemi monofunzionali, in particolare quello statunitense, e sistemi polifunzionali, particolarmente diffusi in ambito continentale.
Quanto all’oggetto del giudizio, infine, il range va dal sistema italiano, che sottopone all’esame di costituzionalità soltanto leggi in senso formale, fino all’esempio del Cile, che comprende anche leggi di revisione costituzionale  e regolamenti.


Piero Gambale