Relazione tenuta presso il Centro di Ricerca sulle Amministrazioni Pubbliche“Vittorio Bachelet” della Lluiss Guido Carli
Roma, 29 ottobre 2003
A distanza di due anni dalle sentenze nn. 341 e 342 del 2001 la Corte costituzionale si pronunzia nuovamente, con un’altra coppia di sentenze, le nn. 300 e 301 del 2003, sulla natura giuridica delle fondazioni di origine bancaria (vulgo fondazioni bancarie; secondo una denominazione tanto diffusa quanto imprecisa, anche alla luce delle pronunce che qui si commentano) e sulle sue conseguenze. Analogamente a quelle del 2001, le sentenze del 2003 vanno esaminate congiuntamente poiché, anche oggi, la prima è prodromica alla seconda, sebbene a differenza di allora, il relatore (e redattore) dell’una e dell’altra non coincidano, trattandosi del giudice Zagrebelsky per la n. 300 e del giudice Marini per la n. 301.
Non si vuol qui misconoscere gli elementi di differenziazione tra le due pronunce, a partire dalla diversa via di accesso alla Corte delle questioni giudicate: principale per la sentenza n. 300, che giudica (parzialmente, vedremo ora) i ricorsi regionali ex art. 127, 2°c. Cost. di Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Umbria; incidentale per la sentenza n. 301, relativa a questioni di legittimità costituzionale sollevate da ordinanze di rimessione del TAR Lazio, dinanzi al quale pendono i giudizi a quibus, relativi soprattutto al regolamento ministeriale previsto dall’art. 11, 14°c. legge finanziaria 2002 (legge n. 448 del 2001) e adottato con decreto ministeriale n. 217 del 2002.
Proprio la via di accesso principale consente al giudice delle leggi di ridefinire l’oggetto della sentenza n. 300 rispetto a quello dei relativi ricorsi regionali. Se a una legge omnibus come la legge finanziaria corrispondono ricorsi omnibus contro di essa, la Corte costituzionale provvede a ricondurli a unità materiale, con un’operazione di drafting processuale (Ruggeri, con riferimento alla sentenza n. 201 del 2003 che utilizza la stessa tecnica qui descritta), grazie alla quale “per ragioni di omogeneità di materia, la trattazione della questione di costituzionalità indicata viene separata da quella delle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni” (punto 1 del considerato in diritto della sentenza n. 300). Ma nella sentenza n. 300 la Corte costituzionale si spinge oltre: dopo aver scorporato ogni ricorso regionale “uno nella forma, (…) plurimo nel contenuto” (sent. n. 201 del 2003), riaggrega ratione materiae le parti di ciascun ricorso relative all’art. 11 della legge finanziaria 2002, vale a dire alle fondazioni di origine bancaria. Il giudice costituzionale ottiene così per la sua sentenza un più agevole oggetto (plurimo nella forma, uno nel contenuto), ma rischia forse di allontanarsi eccessivamente dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ridefinendo il primo in base alle esigenze del secondo; tanto più che l’operazione di scorporo-riaggregazione viene assai succintamente motivata.
Al di là delle differenze ora rilevate, le sentenze n. 300 e n. 301 si pongono però come due momenti dello stesso iter argomentativo che muove, nella prima pronuncia, dalla costruzione della griglia di riferimento utilizzata dalla Corte nella seconda, in quanto – come vedremo – l’individuazione della competenza legislativa in materia (alla luce del nuovo art. 117 Cost.) richiede la definizione della natura giuridica delle fondazioni di origine bancaria, dalla quale discendono le soluzioni alle varie questioni di legittimità costituzionale giudicate nella sentenza n. 301: se le fondazioni di origine bancaria sono enti privati – sembra dire la Corte – non c’è spazio per la competenza legislativa regionale; ma se lo sono, non tutte le previsioni contenute nell’art. 11 legge finanziaria 2002 (cosiddetta riforma Tremonti delle fondazioni di origine bancaria) sono costituzionalmente legittime, o lo diventano soltanto grazie a un’interpretazione adeguatrice. Così il giudice costituzionale supera un’aporia insita nell’art. 11 finanziaria 2002, che spinge le fondazioni verso nuove forme di pubblicità, mantenendo però ferma la loro definizione in termini di “persone giuridiche private senza fine di lucro” (art. 2, 1°c. decreto legislativo n. 153 del 1999). Non a caso, il testo iniziale di quello che diventerà l’art. 11, approvato in prima lettura dalla commissione bilancio della Camera dei deputati, prevedeva la soppressione del riferimento alla natura privatistica delle fondazioni, definite soltanto “enti senza scopo di lucro”; testo peraltro successivamente abbandonato dall’Aula, che optava per il mantenimento della definizione tutt’ora vigente.
Quanto all’oggetto delle sentenze, la prima questione che la Corte correttamente affronta, nella sentenza n. 300, è quella dell’eventuale incompetenza della legislazione statale impugnata; questione ictu oculi preliminare alle altre, in quanto se l’art. 11 fosse viziato da incompetenza, non sarebbe neppure necessario passare all’esame di merito, svolto invece nella sentenza n. 301.
Ora, per appurare la competenza legislativa sulle fondazioni di origine bancaria, occorre definirne la natura giuridica; a riguardo, astrattamente si possono individuare tre soluzioni possibili che, schematizzando, il testo vigente dell’art. 117 Cost. offriva al giudice costituzionale:
1) competenza statale esclusiva;
2) competenza concorrente;
3) competenza regionale residuale.
1) Sebbene non manchi un cenno in tal senso da parte della difesa erariale (ripreso al punto 1.2 del ritenuto in fatto della sentenza n. 300) la competenza legislativa esclusiva statale risulta assai difficile da sostenere muovendo dal carattere pubblico delle fondazioni, in quanto ad esso dovrebbe aggiungersi quello nazionale (ex art. 117, 2°c. lett. g Cost.); ancora più ardua da percorrere sembra la strada, alternativamente proposta dall’avvocatura dello Stato, volta a fondare detta competenza sulla “tutela del risparmio”, ex art. 117, 2°c. lett. e, in quanto richiederebbe ad un tempo la riconduzione delle fondazioni di origine bancaria al mondo del risparmio e la negazione della loro assimilazione alle casse di risparmio, in presenza della quale scatterebbe – vedremo tra breve – la competenza concorrente, ex art. 117, 3°c..
La competenza legislativa statale esclusiva è più agevole da sostenere se si conferma il carattere privato delle fondazioni e le si include nell’“ordinamento civile”, estensivamente interpretato; come vedremo, sarà la soluzione scelta dalla Corte.
2) La riconduzione delle fondazioni di origine bancaria alla competenza legislativa concorrente richiede la loro assimilazione alle casse di risparmio, menzionate all’art. 117, 3°c. (indicazione che altrimenti risulterebbe inutiliter data); si tratta della tesi sostenuta dalla Corte nelle sentenze n. 341 e n. 342 del 2001. In tal caso andrebbe esclusa la competenza regolamentare dello Stato, ex art. 117, 6°c. Cost., mentre sarebbe forse possibile far salva la sua legislazione di dettaglio, affermandone il carattere cedevole.
3) L’art. 11 legge finanziaria 2002 risulterebbe in toto costituzionalmente illegittimo in presenza di competenza legislativa regionale residuale, che a sua volta potrebbe basarsi sulla natura pubblica, ma non nazionale, delle fondazioni di origine bancaria (come afferma la memoria della Regione Marche, ripresa la punto 5.2 del ritenuto in fatto, che tuttavia pare argomentare sulla base della ripubblicizzazione operata dall’art. 11 legge finanziaria 2002, vale a dire dalle stesse disposizioni la cui legittimità costituzionale viene messa in dubbio), i cui interventi (“settori ammessi”) rientrano nella competenza legislativa, residuale o concorrente, delle Regioni (come sostengono i ricorsi regionali).
A conclusioni analoghe si potrebbe giungere per aliam viam, sostenendo che le fondazioni di origine bancaria hanno natura privata, ma non riconducibile all’“ordinamento civile”.
Nell’una e nell’altra ipotesi occorrerebbe negare la natura creditizia delle fondazioni e comunque la loro riconducibilità alle casse di risparmio, onde evitare che rientrino nella competenza concorrente.
Rispetto al quadro ora tratteggiato, la sentenza n. 300 giudica infondati i ricorsi regionali, affermando la competenza legislativa esclusiva dello Stato; al punto 6.1 del considerato in diritto troviamo i due passaggi decisivi: da un lato, le fondazioni di origine bancaria “non sono più elementi costitutivi dell’ordinamento del credito e del risparmio”; dall’altro, le fondazioni rientrano nell’ordinamento civile, attribuito appunto dall’art. 117, 2°c. lett. l Cost. alla competenza legislativa statale esclusiva.
Entrambi i passaggi presentano qualche profilo problematico. Il primo implica l’abbandono dell’orientamento seguito nelle sentenze n. 341 e n. 342 del 2001, secondo il quale “nel periodo transitorio delle operazioni di ristrutturazione bancaria, fino a quando il Ministero del tesoro eserciterà i poteri di vigilanza sulle fondazioni (…) deve ritenersi che permanga la qualificazione di ente creditizio, in mancanza della quale non vi sarebbe alcuna giustificazione di attribuzione di poteri allo stesso Ministero del tesoro”; e ancora “la perdita di tale qualificazione è destinata a verificarsi solo al compimento della trasformazione sia con la dismissione della partecipazione rilevante nella società bancaria conferitaria e delle altre partecipazioni non più consentite, sia con l’adeguamento degli statuti e la relativa approvazione” (punto 6 del considerato in diritto della sentenza n. 341). Oggi, se è terminato il processo di adeguamento statutario, non altrettanto si può dire sul versante delle dismissioni, mentre la “transitoria” vigilanza ministeriale continua ad essere esercitata. Il che dovrebbe forse insinuare qualche dubbio in merito al completo distacco delle fondazioni di origine bancaria dal mondo del credito, tanto più che ad esse viene tuttora riconosciuta la possibilità di partecipare al capitale della Banca d’Italia, ex art. 27 decreto legislativo n. 153 del 1999; possibilità utilizzata nella sentenza n. 341 del 2001 come argomento ad adiuvandum della “non completa definitiva separazione dal settore bancario-creditizio delle fondazioni” (punto 7 del considerato in diritto). Con la sentenza n. 300 la Corte costituzionale abbandona invece l’orientamento precedente sostenendo che la perdurante natura creditizia delle fondazioni, allora sostenuta, si radicava nel “periodo transitorio delle operazioni di ristrutturazione bancaria” (rectius di separazione delle fondazioni dalle spa bancarie), terminato il quale essa non sarebbe più proponibile; così in particolare non lo sarebbe “nel momento presente, in cui il quadriennio si è compiuto” e dunque “il termine previsto per l’adeguamento è ormai decorso” (punto 6.3 del considerato in diritto della sentenza n. 300). Va peraltro rilevato che, nelle more della pronuncia di legittimità costituzionale, il termine quadriennale è stato prorogato al 31 dicembre 2005 (art. 4, 1°c. decreto-legge n. 143 del 2003, come modificato dalla relativa legge di conversione, n. 212 del 2003). Ora, tale proroga avrebbe forse potuto avere qualche conseguenza sull’iter argomentativo della Corte, che invece si limita a menzionarla, senza trarne però alcun elemento quanto alla mancata conclusione del periodo transitorio.
Il secondo passaggio postula il ricorso a un’accezione assai estensiva dell’“ordinamento civile”, tale da poter includere anche le fondazioni di origine bancaria. In tal modo però è difficile sfuggire all’impressione che si tenda a reintrodurre il vecchio limite del diritto privato, in un significato forse addirittura più forte che in passato (almeno nelle intenzioni governative; si pensi al ricorso contro lo Statuto calabrese, che riconduce all’“ordinamento civile” la stessa dirigenza regionale privatizzata), in contrasto – parrebbe – con lo spirito della riforma costituzionale.
La riconduzione delle fondazioni di origine bancaria all’“ordinamento civile” in quanto “persone giuridiche private senza fine di lucro” (art. 2, 1°c. decreto legislativo n. 153 del 1999) rappresenta lo snodo che consente di passare dalla sentenza n. 300 alla n. 301, vale a dire dalla problematica della fonte legislativa competente a disciplinarle a quella della legittimità costituzionale delle varie previsioni legislative impugnate in via incidentale. Si tratta di un percorso che lo stesso legislatore finanziario del 2002 ha – inconsapevolmente, si presume – contribuito a tracciare, inserendo, attraverso un faticoso “taglia e incolla” le disposizioni dell’art. 11 nel decreto legislativo n. 153 del 1999 come “previsioni del tutto estranee al corpus normativo organico previgente” (Balboni), ma senza esplicitamente travolgerne i principi ispiratori; così il giudizio di legittimità costituzionale contenuto nella sentenza n. 301 è volto a interpretare l’art. 11 coerentemente con la natura privata delle fondazioni stesse, in particolare espungendo dalla riforma Tremonti quei profili che sembravano operare nel senso di un riavvicinamento delle fondazioni alla natura pubblica (che, se si fosse realizzato, avrebbe potuto compromettere il permanere della competenza legislativa statale). Il dispiegarsi nella sentenza n. 301 della panoplia delle tecniche decisionali della Corte può leggersi anche in questa luce.
Alle previsioni che più sembravano attrarre verso il pubblico le fondazioni di origine bancaria corrispondono decisioni di accoglimento: il giudice costituzionale, senza neppure tentare un’interpretazione adeguatrice rispettivamente della legge delega o della legge di abilitazione alla delegificazione, dichiara costituzionalmente illegittimi sia, al punto 13 del considerato in diritto, il potere di indirizzo attribuito all’autorità di vigilanza (in oggi ministero del tesoro, scilicet dell’economia), sia, al punto 5, l’attribuzione alla stessa (rectius allo stesso, poiché l’art. 11 legge finanziaria 2002 tranquillamente ragione di potestà regolamentare ministeriale, senza neppure porsi il problema della mancata istituzione dell’autorità di controllo di cui all’art. 10, 1°c. decreto legislativo n. 153 del 1999) di un potere regolamentare atto a modificare i settori ammessi.
Ancora, la prevalente rappresentanza negli organi di indirizzo delle fondazioni attribuita dal 4°c. dell’art. 11 alle Regioni e agli enti locali, viene colpita da una decisione manipolativa, che diluisce “gli enti, diversi dallo Stato, di cui all’art. 114 Cost.”, nel più vasto insieme degli “enti, pubblici o privati, comunque espressivi delle realtà locali” (punto 8 del considerato in diritto); decisione manipolativa tecnicamente interessante, inquadrabile (secondo la tipologia proposta dal relatore della sentenza n. 300, il giudice Zagrebelsky) sia nelle sentenze sostitutive, in base alla sua struttura argomentativa (“anziché”), sia nelle sentenze additive, poiché aggiunge altri enti a quelli indicati all’art. 11, 4°c.. Il rischio di trasformare le fondazioni di origine bancaria in “enti collaterali e serventi, o strumentali, di quelli territoriali” viene ulteriormente allontanato dal giudice delle leggi attraverso un’interpretativa di rigetto, secondo la quale il termine “rappresentanza” viene utilizzato all’art. 11, 4°c. legge finanziaria 2002 in senso “all’evidenza atecnico”, che “non comporta alcun vincolo di mandato a carico dei soggetti nominati” (punto 8 del considerato in diritto). Nella stessa direzione, un’altra decisione interpretativa di rigetto, di cui al punto 9 del considerato in diritto, fa venir meno la posizione privilegiata delle Regioni e degli enti locali nel loro rapporto con gli organi di indirizzo delle fondazioni, in quanto all’ultimo periodo del 4°c. dell’art. 11 viene attribuito un significato restrittivo (“al di là delle sue espressioni letterali”), secondo il quale “le fondazioni non possono svolgere la loro attività a vantaggio diretto dei componenti degli organi delle fondazioni, né di coloro che li hanno nominati”; viene invece privata di autonomo significato normativo la locuzione “salvo quanto previsto al periodo precedente”, che avrebbe altrimenti potuto leggersi nel senso che soltanto le Regioni e gli enti locali potessero nominare componenti degli organi di indirizzo delle fondazioni pur essendo portatori di interessi riferibili ai destinatari degli interventi delle stesse.
La tecnica della decisione interpretativa di rigetto, ora richiamata, viene estesamente utilizzata dalla Corte nella sentenza n. 301 per sottoporre a torsione la disciplina legislativa introdotta dalla legge finanziaria 2002, in modo da renderla omogenea alla natura privata (ancorché no profit) delle fondazioni di origine bancaria, come definita dalla sentenza n. 300.
Così le locuzioni relative ai settori ammessi (ad esempio “prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica”) che potrebbero rammentare contenuti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri, “possono e devono essere interpretate in senso logicamente compatibile con il carattere non pubblicistico delle attività delle fondazioni e, quindi, come tali riferentisi solo a quelle attività, socialmente rilevanti, diverse, se pur complementari e integrative, da quelle demandate ai pubblici poteri” (punto 4 del considerato in diritto). D’altra parte l’autonomia dei privati fa sì che le fondazioni restino libere rispetto all’uso delle risorse di cui dispongono; ma allora la disposizione dell’art. 11, 3°c. legge finanziaria 2002, che sembra indirizzarne l’attività va interpretate come “una mera indicazione di carattere generale, priva, in quanto tale, di valore vincolante” (punto 7 del considerato in diritto); in tal modo la disposizione citata sembra esprimere delle clausole di stile più che delle norme giuridiche, dando l’impressione che l’interpretativa di rigetto si sia spinta fino alla interpretatio abrogans (Balboni).
Ancora, l’incompatibilità introdotta dall’art. 11, 7°c. viene interpretata restrittivamente alla luce del testo successivamente introdotto dall’art. 80, 20°c. legge 289 del 2002 (finanziaria 2003) che appunto la circoscrive alle sole società in rapporto di partecipazione azionaria o di controllo con la spa bancaria (punto 10 del considerato in diritto); viene quindi utilizzata la disposizione entrata in vigore successivamente come se fosse l’interpretazione autentica della precedente disposizione. Infine con l’interpretativa di rigetto viene giudicata la questione relativa al controllo congiunto di una spa bancaria da parte di più fondazioni, che viene reputato sussistente dal giudice delle leggi soltanto in presenza di “accordi di sindacato tra più fondazioni” (punto 11 del considerato in diritto).
Dopo aver proceduto a rimodellare, nel senso finora descritto, la riforma Tremonti delle fondazioni di origine bancaria la Corte costituzionale – che rigetta tout court soltanto una questione di legittimità costituzionale, la meno significativa, relativa alla limitazione numerica dei settori rilevanti, al punto 6 del considerato in diritto – può agevolmente affrontare, al punto 12 del considerato in diritto, la questione della decadenza degli organi delle fondazioni che debbono adeguare i loro statuti alle disposizioni dell’art. 11 legge finanziaria 2002. La portata di tale previsione e della connessa limitazione dell’attività all’ordinaria amministrazione fino alla ricostituzione degli organi, è infatti circoscritta a quelle fondazioni i cui organi non abbiano una composizione conforme all’art. 11, come riformulato, però, dall’intervento del giudice costituzionale, che lo ha reso molto meno innovativo, come si è visto.
Ma la storia delle fondazioni di origine bancaria pare essere davvero senza fine (Balduzzi); a poche settimane dalle sentenze della Corte costituzionale che qui si commentano, il legislatore finanziario non sembra in grado di resistere neppure quest’anno alla tentazione di modificarne la disciplina vigente: nel maxiemendamento – leggiamo sui quotidiani di oggi – è previsto l’aumento da tre a cinque dei settori rilevanti. Parrebbe quasi che legislatore (rectius il suo suggeritore governativo, reso assai autorevole dal probabile ricorso alla questione di fiducia) rivendicasse in materia le dernier mot.