1. Indicando gli argomenti che si desidera considerare nel corso della discussione è consigliabile grande brevità. E’ perciò consigliabile la pura e semplice segnalazione di quanto i successivi interventi dovranno valutare con ben altra completezza di riferimenti, assumendo i rilievi svolti in queste pagine di apertura come premessa elementare del discorso da lasciare sullo sfondo sempre che non occorra invece dissentire e correggere. E premessa elementare della discussione da avviare è il richiamo dei fenomeni che sono in via obbligata il generale contesto di ogni riflessione che guardi al regime delle società di capitali, finalmente riformato con gli interventi legislativi del gennaio 2003 che sono davvero radicale riforma di sistema ma devono pur sempre valutarsi nella prospettiva del così problematico scenario delle economie di mercato di questo inizio secolo.
Uno scenario e una realtà delle cose che inevitabilmente restituiscono l’immagine di un complesso universo di imprenditori, imprese e mercati tutto da esplorare e nel segno delle maggiori incertezze. Che sia così sa bene chi già in superficie consideri lo scenario delle fonti di diritto che adesso segnalerò in modo sommario, essendo tuttavia stabilito che i successivi interventi dovranno invece provvedere ai necessari approfondimenti di genere sistematico guardando ad imprese e società con la rigorosa metodologia di law and economics.
Disciplinano la materia disposizioni del quinto libro del codice civile che anche altrove tuttavia stabilisce disposizioni regolatrici di imprese e società. Ma al tempo stesso intervengono norme di diversa fonte non escluse le norme del diritto penale. A integrare il sistema delle fonti primarie concorre poi in misura determinante un crescente numero di leggi a carattere speciale ormai presenti con una estensione di campo e in quantità tali da motivare l’assunto dei molti che quanto ad imprese e società di capitali mettono in evidenza un processo di avanzata decodificazione del diritto commerciale e societario. Esistono in ogni caso separati ordinamenti di settore che meritano attenzione.
L’impresa bancaria ha un suo speciale regime. Normative a sé valgono per l’impresa assicurativa.Altre caratterizzano le attività di impresa a svolgersi nel contesto della nuova previdenza privata con finalità pensionistica. L’impresa attiva nel settore di industria dei financial services ha sue particolari discipline essendo come si sa impresa a diritto speciale lo stesso mercato degli strumenti finanziari. E questi sono soltanto alcuni punti di più evidente emersione di un consistente insieme di ordinamenti di comparto. Altro ancora appartiene poi ad un sistema delle fonti normative ormai multiforme che per il suo stesso oggetto rende indispensabile una attenta analisi economica del diritto dell’impresa.
Una giurisprudenza talvolta davvero creativa configura un autentico diritto giurisprudenziale di imprenditori e società. Con valore normativo operano usi commerciali e altre regole di soft law. Rilevano variamente discipline di fonte privata che sono lex mercatoria volta a volta costituita da regolamenti di associazioni imprenditoriali, contratti di genere normativo, statuti di correttezza professionale. E se è vero che è in atto una visibile tendenza ad ampliare lo spazio aperto a forme di self regulations di imprese e imprenditori commerciali, di società e mercati a veder bene sono tuttavia pur sempre numerose le modalità di loro regolazione con gli strumenti del diritto amministrativo e della pubblica vigilanza.
Strumenti che talvolta operano secondo logica di formalismo giuspubblicistico con risultati di segno negativo infinite volte documentati. Ma sono ormai in atto notevoli inversioni di tendenza e anche in questo senso per l’impresa che sia <società di capitali> i decreti legislativi del gennaio 2003 hanno segnato una autentica svolta di sistema. Quanto poi alla frammentazione della disciplina per via di norme di legge speciale, in più di un caso tali da configurare separati ordinamenti di settore e un particolare regime di attività e imprese, sarà chiaro che lo scenario imprenditoriale dei tempi di capitalismo maturo presenta caratteri sconosciuti al mondo che poteva immaginare il legislatore dei lontani tempi del codice civile.
Guardando ancora alle linee evolutive del sistema (e a ciò maggiormente interessa discutere) risalta infine il dirompente processo di destatualizzazione del diritto dell’impresa e delle società dovuto alla posizione di grande e sempre maggior incidenza delle norme sovranazionali.In crescente estensione di campo operano con particolare forza le fonti di diritto dell’Unione Europea che saranno sicuramente richiamate. E fino da ora segnalo come argomento da discutere la disciplina comunitaria di statuto della società europea che trova adesso necessaria integrazione con il recepimento della direttiva 86 del 2001 regolatrice della partecipazione dei lavoratori ai processi di costituzione e gestione societaria.E si dovrà discutere dei principi contabili internazionali Ias del regolamento comunitario 1725 che così significativamente innovano il regime dei documenti di bilancio consolidato.
Alle disposizioni delle direttive comunitarie ma anche ai regolamenti di diritto comunitario ormai si devono davvero numerose e importanti riforme della disciplina spesso variata anche in punto di principi generali e di complessivo assetto del sistema. Già ne risulta una autentica uniformazione sovranazionale del diritto dell’impresa che coinvolge e trasforma la stessa nozione di «impresa» in un senso che agli specialistici di materia si domanda di precisare.E il riferimento alle innovazioni di diritto contabile conseguenti alla prefigurata applicazione dei principi contabili Ias in quanto standards contabili che diventano materia di obbligo nell’intero contesto dell’Unione europea, cosi come il richiamo della disciplina comunitaria di statuto della società europea hanno una precisa motivazione.
Alla discussione che seguirà in modo particolare si domanda, infatti, di documentare la politica comunitaria di uniformazione che in modo così evidente ormai configura un diritto europeo delle società di capitali e dei mercati finanziari, segnatamente i mercati mobiliari dove si trattano prodotti, strumenti e financial services del più vario genere. Ma tutto questo è nell’ordine delle cose perché da sempre il diritto dell’impresa e delle società allo stesso modo del diritto dei mercati finanziari ha vocazione transnazionale. Lo scenario di inizio secolo si caratterizza tuttavia per la compresenza di fenomeni che ai problemi di genere transnazionale sempre più spesso assegnano una nuova dimensione.
Né si rende necessario un lungo discorso.Sono i fenomeni con formula di estrema sintesi indicati come economia globale e new economy, globale l’economia di questo inizio secolo essendo nella crescente quantità documentata dall’operare di imprese che operano alla scala internazionale considerando loro <mercato> l’intera serie dei mercati dove sia possibile una offerta di beni e servizi.E non sarà il caso di ricordare in qual misura a questa strategia di presenza globale assicurano strumenti decisivi i congegni di genere telematico variamente costituiti dalle possibili modalità di integrazione delle tecnologie della telecomunicazione con quelle dell’informatica e di Internet.
Da ciò una economia <produttiva> e una economia <finanziaria> che per gran parte ormai ignorano i confini nazionali, e insieme con tutto questo la ricorrente (ma spesso approssimativa) considerazione che sarà possibile disciplinare quanto occorre la new economy di inizio secolo soltanto mediante complessi apparati di norme transnazionali operative a tutto campo. Norme in ampia misura ancora allo stato di talvolta incerte progettazioni che tuttavia meritano certamente grande attenzione e una documentata discussione nel segno di un ben inteso realismo giuridico.
Se è vero che a tutt’oggi non esiste una disciplina di economia globale e new economy con gli indispensabili caratteri di universalità, significativi passi nella giusta direzione comunque si devono alla politica del diritto nel segno della moral suasion e alle <raccomandazioni> dell’Unione Europea che si aggiungono ai già richiamati regolamenti e all’ormai così cospicuo numero di direttive comunitarie.Ma anche in questa materia sono davvero urgenti normative che valgano da legge applicabile all’intero contesto di un sistema economico e di un mondo di imprese e società che ad una dimensione più ampia di quella europea ormai operano senza più alcun regolamento di confini.
E per fare soltanto un esempio (ma è un esempio sicuramente emblematico) dell’ e.commerce tutti i diversi comparti andranno regolati in modo più organico di quanto non consentano pure semplici regole di soft law di diritto dell’Internet comunque sempre alla indicata scala sovranazionale.Dovranno perciò essere in modo più organico regolati il business to business commercio elettronico tra imprese così come il business to consumer nella complessa trama dei rapporti tra imprese e consumatori dei beni e dei servizi offerti al mercato.Mi sembra che di questo occorra discutere a fondo e con precisa indicazione di che cosa è realistico progettare in un più ampio contesto di ingegneria istituzionale.
L’universo delle attività di impresa e dei settori dell’economia che sono new economy attrezzata con strumentazione telematica ha infatti dimensioni ancora maggiori.Si pensi al comparto delle transazioni via Internet per così dire consumer to consumer, rese praticabili dall’immediato contatto che la rete web consente a chiunque di stabilire con altri mediante l’attività di intermediazione svolta da imprese dell’industria informatica che provvedono all’incontro di domanda e offerta sullo schermo dei loro computers. E si pensi alle attività di e.procurement variamente costituite da <prestazioni> e da <forniture di beni> che l’imprenditorialità privata assicura ad amministrazioni pubbliche appunto nelle forme del <commercio> elettronico.
Si pensi infine in qual misura lo stesso e.government,il flusso crescente dei pubblici servizi dalle amministrazioni erogati per via informatica porta con sé anche operazioni ausiliarie di privati imprenditori. Economia globale e new economy delle tecnologie dell’informatica operano con modalità che assegnano il ruolo protagonista a contratti di impresa e ad un regime di lex mercatoria per quanto è possibile sottratti al controllo di una normativa che vincoli le iniziative di mercato.E in tempi di capitalismo maturo qualsiasi normativa di vincoli per eccesso naturalmente rischia di portare con sé risultati di segno negativo.
2. Questo tuttavia non significa in alcun modo che si possa consegnare attività imprenditoriali e mercati ad una privata lex mercatoria che stabilisca da sé le sue regole. Ma in questo senso diritto dell’Internet e regolamentazione giuridica del commercio elettronico sono soltanto il punto di principale emersione di un ordine di problemi più generale. A tutto campo sono infatti una urgente necessità le normative di diritto europeo e ad una scala sovranazionale ancora più estesa si devono progettare e rendere effficamente operative per identificare un possibile punto di equilibrio tra autonomia di impresa e garanzie di una regolazione pubblica delle attività di mercato.
Anche quando si tratti di new economy a imprese,società e mercati in ogni caso occorre guardare nella prospettiva indicata da norme di costituzione economica a segnalarsi per una serie di precise enunciazioni di principio che lo specialista di materia è chiamato a commentare.Ancora una volta non servono e rischiano di essere devianti le personali preferenze di politica del diritto che non sono parte della nostra discussione.Ma esiste pur sempre e ha grande evidenza una politica del diritto che le disposizioni costituzionali imperativamente prescrivono. E non sarà davvero necessaria una lunga digressione o enfasi di discorsi.
Le attività di impresa sono iniziativa economica regolata dall’art. 41 e la norma regola l’iniziativa economica secondo principio di libertà ma prefigura pur sempre limiti, programmi e controlli. L’ «iniziativa economica privata è libera» ma alle libertà di iniziativa economica privata tuttavia segnano un limite valori costituzionali ancora più forti, essendo stabilito che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». E «a fini sociali» la norma costituzionale segnala al legislatore ordinario i possibili strumenti di politica del diritto.
Se occorre «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica» sia privata o pubblica « possa essere indirizzata e coordinata» appunto «a fini sociali». Per l’art. 43 sono ancora «fini di utilità generale» e il «preminente interesse generale» a motivare originarie riserve o successivi trasferimenti al settore pubblico di «determinate imprese» o di «categorie di imprese» che si riferiscano «a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio». E nel corso della discussione sarà più volte necessario ricordare in che misura la norma costituzionale dell’art. 47 vincola ogni comparto dell’economia finanziaria all’osservanza delle regole di garanzia di <tutela del risparmio> e in <tutte le sue forme>. Al disegno delle norme di costituzione economica si deve tuttavia guardare nella sua completezza.
Limiti, programmi, controlli e riserve di attività non sono infatti spazio aperto alla pura e semplice decisione politica. Possono operare soltanto nella misura indicata da regole di costituzione economica che se presidiano valori della collettività ancora una volta al tempo stesso si pongono a garanzia delle libertà dei privati. Garanzia di libertà di iniziativa in una economia di mercato dove competere secondo regole di concorrenza tra imprenditori e imprese. Le norme costituzionali gravemente ignorano il mercato ma il principio della libertà di concorrenza a veder bene è già contenuto nella garanzia di libertà dell’iniziativa economica. E da tutto questo la discussione dovrebbe muovere per una riflessione orientata nelle direzioni che brevemente si indicano.
L’ambito di materia che si domanda di considerare è costituito con assoluta prevalenza dalle norme e dalle policies in materia di società di capitali codificate dalla riforma della disciplina delle società di capitali in vigore dal gennaio 2004.E se certamente molto rilevano anche il nuovo regime di società a responsabilità limitata, imprese cooperative,operazioni straordinarie (e altro ancora) si preferisce orientare la discussione nella prospettiva di analisi che comprensibilmente assegna posizione dominante alle disposizioni relative alla società per azioni.
Se si pensa all’incessante evoluzione dell’economia dei tempi di capitalismo maturo non sono naturalmente da escludere ulteriori varianti di sistema.Quali che possano esserne le varianti il mondo delle società di capitali continuerà comunque ad essere con grande prevalenza mondo di società per azioni. E la riforma operata con i decreti legislativi del gennaio 2003 per le sue parti di diritto sostanziale è certamente ordinamento di materia per il lungo periodo.Forse invece diverso discorso vale per le norme di diritto processuale della materia societaria. E anche di questo si dovrebbe discutere essendo poi appena il caso di avvertire che agli interventi si domanda di distinguere con la dovuta chiarezza tra fenomeni di genere assolutamente diverso.
Già il manuale universitario insegna che una cosa è la società a ristretta base azionaria e altra cosa la società con azionariato diffuso che coinvolge su scala di massa azionisti «risparmiatori». E se una politica del diritto nel segno della protezione giuridica degli investitori di risparmio emerge con chiarezza gia dalle norme regolatrici delle fonti di finanziamento della società a responsabilità limitata, nel caso delle società <emittenti di azioni> ampiamente diffuse tra il pubblico le garanzie di tutela dei risparmiatori sono diventate struttura portante del sistema, dovendosi considerare con la dovuta attenzione il rinvio ai poteri regolamentari della Consob disposto appunto con riguardo alle operazioni di raccolta del risparmio sul mercato del capitale di rischio.
E va da sé che una cosa è operare sul mercato senza aggregazioni di gruppo ma altra cosa l’appartenenza della società ad un gruppo di imprese che unisce risorse finanziarie, coordina attività e apparati aziendali, occupa mercati secondo strategie di insieme spesso pensate alla scala sovranazionale. E anche per tutto questo la riforma del gennaio 2003 si segnala e si segnala in positivo in positivo per le disposizioni degli artt. 2497 a a 2497 sexties che se non sono completa disciplina del gruppo di società costituiscono pur sempre puntuale regime delle attività di direzione e coordinamento.Problematica attenzione e ampia discussione si devono poi certamente alle norme degli artt.2498 a 2500 novies dove si regolano in modo per la verità assai perfettibile le operazioni straordinarie di trasformazione omogenea e di trasformazione eterogenea delle società.
Né alla enumerazione degli argomenti che si desidera discutere può mancare un riferimento alla innovazione di regime delle società che si è operata prefigurando all’art. 2447 bis la possibile costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare così come i contratti di finanziamento dello specifico affare regolati dall’art. 2447 decies. E se la materia si presta a (anzi pretende) valutazioni con il metodo dell’analisi del diritto ancor prima interessa ricevere autorevoli ricostruzioni di genere sistematico quanto ai caratteri distintivi della fattispecie indicati dall’art.2447 ter, ai vincoli di destinazione e alle prescrizioni pubblicitarie,alle discipline di contabilità e alle normative di bilancio che qualificano l’innovazione dell’art. 2447 bis.
3. Non sarà tuttavia il caso di integrare al dettaglio il repertorio degli argomenti particolari che offrono materia ad una discussione naturalmente aperta a tutte le indicazioni che possano venire da quanti interverranno. E perciò sembra utile richiamare soltanto gli argomenti relativi a basic rules che già di per sé documentano le grandi linee del percorso seguito dal legislatore della riforma. Ma anche questo in via breve perché una volta di più non occorre davvero lungo discorso.
Considerato quanto sono diverse le iniziative imprenditoriali che si svolgono nella forma giuridica della società per azioni erano comprensibilmente numerosi e ben motivati gli interrogativi sempre aperti in punto di possibili alternative di politica del diritto. E da sempre quanto a policies e a principi costitutivi del sistema la riflessione sul fenomeno «società per azioni» è consegnata ad una sconfinata letteratura che non sarà certamente possibile ripercorrere, essendo comunque letteratura spesso divisa da contrastanti orientamenti ma pur sempre univoca nella segnalazione della complessa trama degli interessi messi in gioco dall’esercizio di una attività di impresa nella forma della società per azioni.
Nella prospettiva segnata dalle norme della riforma del gennaio 2003 e appunto quanto a composizione degli interessi in gioco si impone allora una circostanziata valutazione dei risultati che ne conseguono in ordine alla diversa posizione e alla situazione di oggettiva divergenza di interessi tra soci di maggioranza che dispongono degli strumenti di comando della società e quanti sono invece soci di minoranza esclusi dal governo della compagine azionaria. E sarà naturalmente il caso di distinguere tra minoranze di consistente rilievo e posizione marginale del <piccolo> azionista.
Interessa conoscere più di quel che consentono puri e semplici discorsi di superfice in qual misura le norme della riforma migliorano (e certamente migliorano)lo status socii delle minoranze e segnatamente dell’azionista investore di risparmio. Le norme che si riferiscono in via esclusiva alle società che sul modello dell’art. 2325 bis fanno ricorso al mercato del capitale di rischio sono infatti il primo punto di emersione di una più ampia policy che dagli interventi a seguire dovrà essere documentata per esteso. E documentata per esteso si vorrebbe la nuova organizzazione dei rapporti che comunque intercorrono tra azionisti (fossero anche i soci di maggioranza) e amministratori della società.
Una volta preso atto che agli amministratori competono loro esclusivi poteri di gestione dell’impresa essendo ormai comunque più contenute le competenze della assemblea dei soci molto interessa poincomprendere fino in fondo con quali finalità il legislatore ha codificato le sue variazioni di sistema. In linea generale e astratta si sa quali ulteriori varianti di sistema comportano le alternative al tradizionale modello di organizzazione societaria dell’art. 2380 offerte dal modello monistico dell ‘art. 2409 sexiesdecies e dal modello dualistico dell’art 2409 bis.
Ma comprensibilmente molto interessa l’opinione di specialisti della materia perché lo spazio aperto a modello monistico e modello dualistico in altri paesi del continente europeo o in ambiente di common law di per sé non è garanzia di un loro elevato rendimento nelle possibili applicazioni al caso italiano. E comunque ne risulta prefigura una particolare dialettica di rapporto tra amministrazione della società e funzioni di controllo societario già molto considerata ma forse non ancora esplorata per intero.
Altri argomenti di discussione saranno stabiliti da chi interverrà e immagino che comunque la dovuta attenzione ci sarà per le fattispecie di inevitabile divergenza tra attese dei soci (e dei prestatori di lavoro dell’impresa) e aspettative dei terzi creditori della società, operando disposizioni che a garanzia di tutela del loro diritto a ricevere segnano i necessari limiti alle libertà di disposizione del patrimonio sociale.Ma sarà assai istruttivo ogni ulteriore intervento espressamente inteso a documentare con riferimento ad altre fattispecie di genere particolare la ratio legis delle nuove norme di disciplina delle società per azioni.
Norme comunque pensate per identificare un possibile punto di equilibrio tra posizioni e pretese di avere <diritti> sempre e strutturalmente confliggenti. E una seria riflessione sul fenomeno «società per azioni» guardato nella prospettiva della recente riforma del suo regime a veder bene porta con sé molto più di quanto non si possa trovare nel formale discorso sull’insieme dei suoi congegni normativi.Per quanto sia possibile si domandano perciò anche ragionevoli prefigurazioni di quanto potrà essere nuovo diritto giurisprudenziale delle società di capitali.
E se è vero che la ricognizione di campo che si domanda di svolgere non si spinge più avanti delle questioni di stretta interpretazione delle norme della riforma, mi sembra prevedibile che per forza di cose finiscano con l’emergere anche questioni di ordine più generale che esigono anch’esse precisa definizione. A cominciare dalla tradizionale (e da sempre infinite volte discussa) contrapposizione che non è puramente ideologica o di «teorie» tra rappresentazioni della società per azioni come istituzione oppure invece come contratto.
Un breve richiamo per ricordare l’intera letteratura dove si avverte che il discorso non riguarda necessariamente o soltanto le attività di impresa per l’oggetto o la finalità statutaria sottratte al principio capitalista dell’economia di mercato. Riguarda sia pure in diverso modo lo stesso settore privato dell’economia e perciò il multiforme universo delle imprese che non sono in alcun senso impresa pubblica. Anche le imprese del settore privato costituite in forma di società per azioni sembrano infatti a molti essere una istituzione per così dire <a rilevanza «pubblica», quando l’interesse reso giuridicamente rilevante dalla costituzione della società non è pensato soltanto come personale e privato interesse ai risultati economici della attività di impresa condiviso dai soci.
Ma non sarà il caso di ripetere ciò che già si legge nel manuale universitario. Alla società per azioni si guarda come a qualcosa di più di un negozio giuridico «rete di contratti» conclusi per una pura e semplice regolazione di rapporti di affari. Si teorizza nel modo ripetuto da una intera letteratura un <interesse della impresa> in sé considerata, appunto quale «istituzione» che al di là degli interessi dei soci ne coinvolge altri meritevoli di tutela, si tratti poi delle aspettative dei dipendenti dell’impresa, dei terzi suoi finanziatori e della massa dei creditori, del mercato o in senso ancora più ampio di un «interesse» dell’«economia nazionale».
E che il discorso non è soltanto divagazione ideologica o l’astratto argomentare dei professori risulta con grande evidenza (da ricorrenti progetti di politica del diritto e quel che più conta) da rilevanti orientamenti del giudiziario che configurano un autentico diritto di fonte giurisprudenziale tradizionalmente orientato in questa direzione.Non si tratta perciò soltanto di una appassionata letteratura sulla posizione istituzionale della società di capitali ma al tempo stesso di un modello concettuale per fare operativamente politica del diritto e law in action.
Contratto o comunque pura e semplice attività negoziale di soggetti privati la società per azioni è invece nell’opinione di quanti ritengono che con la sua costituzione altro non sia se non avvio di una iniziativa economica in forma di impresa, che istituzionalmente deve uniformarsi ad un rigoroso regime di norme disposte a tutela dei prestatori di lavoro, dei terzi entrati in rapporto con l’impresa e del mercato di riferimento, senza che tuttavia per essa si configuri una funzione di cura di interessi generali (e tanto meno di un pubblico interesse). Se la impresa societaria ha un valore «sociale», e se svolge una funzione «sociale» del maggior rilievo è perché opera come strumento di una economia di mercato che per sua natura e grandemente crea ricchezza con risultati collettivi di segno positivo.
Come si sa questo modo di rappresentare il fenomeno «società per azioni» trova un suo forte riscontro nel complessivo sistema delle norme della riforma del gennaio 2003 che non sembra davvero legittimare un diverso genere di valutazioni. E in altra ma correlata prospettiva di analisi si pensi poi allo spazio aperto dall’art. 2341 bis alla formale legittimazione di patti parasociali per così dire <integrativi> della disciplina statutaria della società.Disciplina statutaria che (non soltanto nel caso della società a responsabilitata ma anche) nel caso della società per azioni contestualmente si consegna ai poteri di autonomia dei soci in misura tale da operare davvero una svolta di sistema.
E per fare ancora riferimenti certamente da discutere e tuttavia assolutamente emblematici si pensi infine alla rimozione del principio di numero chiuso delle fattispecie azionarie così come alla policy privilegiata in materia di strumenti finanziari diversi dalle azioni e più in generale per l’intero contesto dei di mezzi di finanziamento dell’impresa. Nè mancano ulteriori disposizioni della riforma nel segno di poteri di autonomia privata che a taluno sembra consegnare quasi per intero il regime della società per azioni alla disciplina del contratto.Un assunto nel numero di quelli massimamente aperti al confronto delle opinioni altro ancora essendo comunque utile rimarcare quanto a scelte operate dal legislatore che confermano e portano a decisivi risultati un preciso orientamento di policies.
4. Si seguano teorie della «istituzione» o si pensi in termini di «contratto» in passato si è molto discusso in che misura fosse razionale (e perciò da preferire) il modello normativo di una disciplina delle società per azioni tendenzialmente unitaria e in che misura occorresse invece provvedere ad una diversificazione di regime a seconda delle particolarità dei singoli comparti di società azionarie e delle singole fattispecie.Ma se più delle discussioni svolte in passato adesso comprensibilmente interessa guardare agli svolgimenti dell’ordinamento societario non sarà difficile fare definitiva chiarezza.
L’ormai consolidata esperienza della generalità degli ordinamenti dei paesi a capitalismo maturo assegna posizione residuale al modello della disciplina unitaria perché dovunque alla diversità dei fenomeni nel lungo periodo finiscono per corrispondere diversità dei congegni normativi. Logica di di diversificazione che trova puntuale riscontro nella riforma del gennaio 2003 essendo una volta di più norma di obbligato riferimento l’art. 2325 bis, che in modo così deciso organizza il sistema distinguendo (e separando nel loro regime) società che fanno ricorso al capitale di rischio in certa misura going public e società che invece al pubblico risparmio non fanno ricorso.
E ancora per l’art. 2325 bis nel linguaggio del legislatore società <che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio> sono sia le società <emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati> sia le società emittenti di titoli non quotati ma pur sempre <diffusi fra il pubblico> in misura rilevante. Il secondo comma dell’art 2325 bis avverte poi che con riguardo alle società emittenti di azioni quotate è necessario considerare anche quanto sia diversamente disposto da altre norme del codice o di leggi speciali.E già da tutto questo emerge con la maggior evidenza una policy di diversificazione di regimi che è certamente carattere principale (e sicuro merito) della riforma in vigore dal gennaio 2004.
Diversificazione di regimi che diventa poi particolarismo societario se all’interno del sistema delle norme inderogabili i soci costituenti si avvalgono dei privati poteri di normazione delle iniziative imprenditoriali congegnate in forma di società per azioni che le norme della riforma mettono ampiamente a loro disposizione.E in questo senso si tratta di discutere nel dettaglio una disciplina di riforma che come si è più volte osservato è decisamente in linea con la opinione di quanti considerano segno di un ordinamento della società per azioni davvero evoluto soltanto i sistemi normativi che lasciano spazio alle determinazioni e alle libertà di autonomia negoziale.
Dagli interventi che seguiranno si attende una ricognizione di materia che riscontri le disposizioni di più ampio rinvio a poteri riservati alla libertà statutaria dei soci.E che provveda a mettere in evidenza il significato forte delle disposizioni che quanto a contratto e libertà negoziali legittimano con ampiezza il ricorso a patti parasociali.Allo stesso modo si attende una ricognizione di materia invece intesa a fare rassegna delle norme che continuano ad essere inderogabile disciplina della società per azioni.
Norme che talvolta sono clausole generali in funzione di garanzia dell’ordine pubblico economico e altra volta disposizioni codificate a tutela di un interesse generale che occorre comunque difendere.Ma se è vero che si tratta di basic rules al vertice del sistema a veder bene una volta complessivamente considerato il sistema sembra pur sempre restituire l’immagine di un ordinamento dove una serie di indispensabili prescrizioni con carattere di imperatività rinvia poi ad altro.
Da ciò una disciplina della società per azioni sul modello di normative del codice civile da integrare in via di self regulation mediante regole di statuto della società volta a volta elaborate in autonomia dai partecipanti all’iniziativa imprenditoriale.Ma se questo è sicuramente stato l’orientamento privilegiato dal legislatore della riforma occorre adesso discuterne in termini più puntuali di quanto possono consentire i ricorrenti discorsi di quadro generale che inevitabilmente rischiano di trascurare quanto sarà diritto vivente delle società di capitali.
In questa prospettiva di analisi sarà anche utile confrontare opinioni con riguardo al Codice di autodisciplina che in materia di corporate governance delle società con azioni quotate si era approvato ad ottobre del 1999, in tempi successivi essendosi provveduto a sue revisioni che si tratta di valutare in termini di rendimento operativo delle regole stabilite appunto in via di self regulation degli aderenti all’iniziativa. E quanto a definizione della corporate governance parte di essa si erano considerate nel loro complessivo insieme le direttive «secondo le quali» le imprese sono «gestite e governate», perciò un intero insieme di «norme, di tradizioni, di comportamenti elaborati» in modo volta a volta diverso «dai singoli sistemi economici e giuridici» ma comunque determinanti per l’operare delle società azionarie.
Sia pure muovendo dalla premessa che il loro impiego è «volontario e non obbligatorio» anche nel caso italiano i promotori dell’iniziativa hanno provveduto ad elaborare una prima serie di regole di corporate governance variamente discusse. Regole fondate sul principio «della libertà di organizzazione del governo di impresa» e tuttavia parte di un più ampio contesto di prescrizioni dove il principio di «autodeterminazione» risulta invariabilmente associato alla richiesta una «corretta definizione delle responsabilità in un regime di perfetta trasparenza» delle attività societarie.
Assegnando al Codice di autodisciplina il suo «obiettivo principale» il Comitato per la corporate governance a suo tempo ne aveva poi indicato come dichiarata finalità «la massimizzazione del valore per gli azionisti» e quanto ne consegue in termini di «efficienza» e di «integrità» aziendale, a beneficio di tutti gli altri stakeholders intesi come tali «i clienti, i creditori, i consumatori, i fornitori, i dipendenti, le comunità e l’ambiente», perciò l’intera serie dei soggetti e degli interessi che un evoluto ordinamento del settore deve prendere nella dovuta considerazione.
Si guardava «alla «centralità» del consiglio di amministrazione prefigurando sia criteri di sua affidabile composizione sia regole di svolgimento della attività societaria appunto riferite al «primato» dell’interesse sociale e della «massimizzazione» dei risultati utili. Si raccomandava la costituzione di un sistema di controllo interno «nei limiti del possibile» inteso a «prevenire e gestire» i «rischi di natura finanziaria e operativa» e quant’altro possa originare «danno della società».Ma guardando più là delle formule di moral suasion e delle enunciazione di principio quel che serve (e dalla discussione si attende) è un giudizio sia sul modello di self regulation sia in ordine al suo reale rendimento quanto a risultati di law in action.
5. Ancora una volta privilegiandosi il metodo della analisi economica del diritto ancor più naturalmente si domanda una valutazione in termini di possibile rendimento della disciplina societaria con riguardo alle norme della riforma che non sono strumento di moral suasion ma puntuale prescrizione di regole di governo societario.In modo particolare interessano le norme che maggiormente influiscono sull’ordine di problemi con formula di sintesi ormai del tutto consolidata indicati come questione del rapporto tra <proprietà> e <controllo>. Questione assolutamente cruciale già nel caso della grande società per azioni ad azionariato diffuso per tutti motivi indicati già dalle pagine di apertura del manuale universitario.
Se per una grande parte la proprietà azionaria è frammentata presso una massa di piccoli azionisti, azionisti per così dire «marginali» ognuno possessore di partecipazioni azionarie quanto mai contenute,. il controllo della impresa si colloca necessariamente altrove perchè il mondo dei piccoli azionisti è mondo di azionisti risparmiatori che non prendono parte attiva alle vicende dell’impresa,già il manuale universitario avvertendo che una minoranza di azionisti <imprenditori> se ha in portafoglio partecipazioni azionarie di adeguata consistenza dispone dei diritti di voto che occorrono per deliberare la nomina degli amministratori della società, mediante gli amministratori nominati esercitando poi il controllo e il comando della società.
All’immagine stilizzata delle pagine del manuale sarà tuttavia utile sostituire considerazioni meno approssimative comunque provvedendosi ad una rassegna delle norme della riforma che finalmente precostituiscono non marginali strumenti di tutela degli azionisti <risparmiatori>,certamente più rilevanti degli astratti discorsi (che sono così spesso discorsi poco informati) sulla modellistica di public companies alla impossibile ricerca di una idealizzata <democrazia> azionaria. Con il medesimo senso della realtà sara utile svolgere l’analisi di altri ordini di problemi che i successivi interventi dovranno pur considerare.
Non esclusi i problemi conseguenti al potere degli amministratori all’origine di una ulteriore e più generale separazione tra «proprietà» e «controllo» dell’impresa, dovendosi valutare in qual misura quel potere sia un insieme di poteri di gestione della società già in punto di diritto sottratti all’influenza degli stessi azionisti di comando. E rilevato che ad esercitare il controllo dell’impresa per ciò che più conta talvolta possono essere amministratori della società che pure non ne sono azionisti (o comunque non azionisti in possesso di partecipazioni azionarie rilevanti) le pagine del manuale universitario insegnano che in ogni caso saranno gli amministratori a progettare e ad attivare i programmi strategici, industriali e finanziari della società.
Saranno perciò loro a svolgere l’intera serie delle funzioni di governo societario che con la già segnalata formula di estrema sintesi ormai comunemente indicate come corporate governance. Lasciando sullo sfondo la indeterminatezza delle rilevazioni di carattere sociologico e di una imponente letteratura generalista, giuristi che sono specialisti della materia possono sicuramente fare maggior chiarezza e leggere le norme della riforma del gennaio 2003 nel modo che occorre per stabilire quale regime ne risulti a fronte dei tradizionali problemi di rapporto tra <proprietà> e <controllo> dell’impresa.
Problemi di controllo societario che in altra ma obbligata prospettiva di analisi si presentano poi nei termini di una <contendibilità> del controllo e delle posizioni di comando azionario. E’ un ordine di problemi che semplice richiamo per i dovuti approfondimenti con speciale riguardo al comparto delle società ad azionario diffuso dove si registra la maggior instabilità di quelle posizioni in ragione della loro maggiore contendibilità, mediante offerte pubbliche di acquisto delle azioni con diritto di voto che quando sono offerte remunerative comprensibilmente incontrano il favore degli azionisti «risparmiatori». E come si sa il continuativo flusso di operazioni di di offerta pubblica di acquisto (o di acquisto e di scambio) è diventato davvero fenomeno cruciale al punto più stretta interferenza tra diritto delle società e diritto dei mercati finanziari.
Decideranno i successivi interventi se estendere la discussione a questo ambito di materia che comunque presenta caratteri da precisarsi se non altro per rilevare in qual misura alla particolarità del sistema della financial economy nel lungo periodo finiscono necessariamente per corrispondere altrettante particolarità dei congegni normativi.E ad una forte diversificazione di regime in ogni caso ovunque si è provveduto quanto alle società per azioni going public, intese come tali quante si rivolgono al pubblico risparmio con una sollecitazione all’investimento azionario che rende indispensabili norme di garanzia e forme di vigilanza assolutamente particolari.
Da ciò tutti i punti di interferenza tra disciplina societaria e regimi di mercato finanziario che come già si diceva trovano adesso immediato riscontro nelle disposizioni dell’art. 2325 bis. Una norma di grande chiarezza nelle sue intenzioni di politica del diritto a tutela dell’azionista <risparmiatore> ma al tempo stesso norma assai problematica là dove impegna ad una organizzazione in sistema delle prescrizioni del quinto libro del codice cvile con le prescrizioni di legislazione speciale che non sarà davvero cosa facile.Una riflessione in ordine a ratio legis e conseguenze applicative dell’art. 2325 bis è urgente e massimamente rilevante.
La attesa sociale di tutela del risparmio investito nello strumento finanziario <azioni> in ogni caso ha tutta la forza assicurata dalle norme di costituzione economica già richiamate, e segnatamente dalla norma dell’art. 47 dove imperativamente si domanda appunto <tutela del risparmio> e <in tutte le sue forme.> E la «parte quarta» del del Tuf,il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria del luglio 1998 è la speciale e rigorosa disciplina delle società con azioni <quotate> in mercati mobiliari «regolamentati» o comunque <ampiamente diffuse> presso il pubblico degli azionisti «risparmiatori» che l’art. 2325 bis impegna adesso a considerare secondo la già indicata logica di sistema.
Di regola integrate in un sistema di gruppi di società che sono sempre più spesso gruppi organizzati ad una dimensione multinazionale anche in questo senso le società con azioni quotate o comunque diffuse tra il pubblico degli investitori costituiscono ormai oggetto di un regime comprensivo di contenuti tali da far pensare che ormai si tratti di un tipo di società a sé fortemente caratterizzato da uno speciale statuto giuridico di settore.Ma naturalmente più della qualificazione concettuale ha interesse il risultato di garanzia.
Ha interesse l’insieme dei mezzi di protezione legislativa degli investitori «risparmiatore» che le norme del Tuf finalmente organizzano in una coerente disciplina di genere speciale. A tutela degli investitori ma anche «avendo riguardo» alla «stabilità», alla «competitività» e al «buon funzionamento» del mercato finanziario, come si sa le norme del Tuf a suo tempo avevano variamente attivato speciali garanzie di trasparenza delle attività e degli assetti azionari, speciale regime dei diritti degli azionisti di minoranza, più estese funzioni di controllo sull’amministrazione della società e molto altro ancora.
Si tratta di un insieme di garanzie che le norme del Tuf mediante disposizioni di principio in ampia misura rinviando poi alle ulteriori prescrizioni regolamentari e alle attività di vigilanza delle autorità di regolazione dell’economia finanziaria. E se un ruolo di particolare rilievo compete alla Commissione nazionale per le società e la borsa, la Consob chiamata dal Tuf a funzioni di disciplina del mercato finanziario quanto mai impegnative che molto spesso comportano ancora una volta l’impiego di estesi poteri di genere normativo e regolamentare, massimamente rilevano anche le funzioni regolatrici che competono alle società di gestione del mercato mobiliare dell ‘art. del Tuf.
All’ordinamento delle società con azioni quotate in questo senso si deve davvero guardare con l’attenzione necessaria per apprezzarne tutti i caratteri distintivi già in evidenza quando si considerano la configurazione di una particolare categoria di azioni quali sono le azioni di risparmio, il particolare regime di trasparenza delle proprietà azionarie che costituiscono partecipazioni rilevanti per la loro consistente entità, la disciplina dei rapporti di gruppo e degli<accordi parasociali> tanto più determinanti quando intercorrano tra soci di comando. Allo stesso modo sarebbe bene poter discutere in dettaglio la normativa di obbligo in materia di offerte pubbliche di acquisto e di scambi.
Moltro altro ancora si dovrebbe poi considerare precisandosi in che misura le società azionarie quando hanno azioni <quotate> derivano altra (e consistente) parte della loro disciplina dalle norme di diritto dei mercati finanziari. E si ricorderà in qual misura il diritto dei mercati finanziari è sistema di norme che ha per suo oggetto anche la disciplina di numerose società azionarie a statuto speciale.
Imprese di intermediazione mobiliare che nell’interesse degli investitori principalmente agiscono su mercati finanziari sono infatti imprese bancarie, imprese di assicurazione, società di investimento mobiliare (le Sim),società di gestione del risparmio o società di investimento a capitale variabile (le Sicav) ma sempre e comunque società azionarie. E invariabilmente si tratta di società azionarie a diritto speciale. Si impiega una tecnica di organizzazione legislativa e si privilegia una politica del diritto che a veder bene operano poi a tutto campo.
Non è infatti diversa la configurazione degli apparati di governo e di amministrazione di questo comparto dell’economia finanziaria. Per l’art. 61 del Tuf l’attività di organizzazione e gestione dei mercati finanziari ha «carattere di impresa» ed è esercitata da società per azioni. Per l’art. 80 «carattere di impresa» esercitata da società per azioni ha anche l’attività di gestione accentrata e dematerializzata degli strumenti finanziari. E tra gli strumenti finanziari che l’art. 1 del Tuf indica come valori « negoziabili sul mercato dei capitali » naturalmente occupano posizione di primario rilievo «le azioni» ammesse a quotazione in quanto «titoli rappresentativi di capitale di rischio».
È vero che in ampia misura il diritto dei mercati finanziari è ormai ordinamento di settore che fa parte a sé. Ma ogni possibile separazione del diritto delle società di capitali dalla materia finanziaria è cosa che appartiene al passato. E in questa prospettiva di analisi la discussione da svolgere ancora una volta inevitabilmente rinvia allo scenario sovranazionale di inizio secolo.
6. Con grandezze sempre maggiori flussi monetari lasciano il territorio nazionale per diventare investimento estero e i residenti esteri originano un flusso di segno contrario.In tempi di global economy e di e.commerce come i volumi delle transazioni di questo genere sono diventati quantità in altri tempi semplicemente impensabili. E ancora di recente si è rilevato in che misura dagli ultimi anni Novanta è ormai in atto e su scala di massa un forte incremento delle risorse patrimoniali che si investono all’estero, impiegando una crescente varietà di strumenti finanziari(ma in consistente misura acquistando partecipazioni azionarie) con una ben motivata propensione a sempre maggiori diversificazioni di portafoglio.
Ritorni ad un passato di chiusura entro una geografia di confini nazionali non sono una eventualità da considerare.Normative sovranazionali e prassi di mercato seguono e al tempo stesso incentivano queste linee di tendenza.E si legga che cosa stabiliscono l’art.2, il quinto comma dell’art. 18 e l’art. 67 del Tuf con riguardo all’interazione tra discipline nazionali e ordinamento comunitario. Regolando appunto i <rapporti con il diritto comunitario> la normativa del Tuf avverte che l’autorità di governo, la Banca d’Italia e la Consob esercitano e devono esercitare i poteri loro attribuiti <in armonia con le disposizioni comunitarie,applicando i regolamenti e le decisioni dell’ Unione Europea>e provvedendo in merito alle <raccomandazioni> espresse nella sede sovranazionale.
Quando poi prefigurano il possibile incremento delle categorie di strumenti finanziari così come le possibili innovazioni in materia di servizi di investimento e le conseguenti forme di vigilanza prudenziale, la normativa del Tuf guarda all’evolvere e alla dinamica dei mercati ma allo stesso modo espressamente impegna il legislatore della materia a <tener conto (…) delle norme(…) stabilite dalle autorità comunitarie>.Una medesima policy di riferimento all’ordinamento comunitario è punto forte della disciplina di riconoscimento dei mercati esteri di strumenti finanziari.E se naturalmente tutto questo massimamente interessa il mondo delle società per azioni emittenti financial products le finalità da conseguire risultano di immediata evidenza
Sia programmi generali di politica economica che policies di settore,e perciò qualsiasi politica del diritto necessariamente condividono l’intera serie degli obiettivi fondamentali già con grande chiarezza segnalati dalle norme del Tuf che volta a volta si riferiscono a soggetti <emittenti> azioni o altri strumenti finanziari, attività delle società per azioni che svolgano attività di intermediazione mobiliare e dinamica del mercato dei capitali. E si leggano in modo particolare le norme di programma degli artt. 5, 63 e 91.Ma numerose altre occorre leggere con la medesima attenzione.
Anche quando le loro indicazioni di principio sono diversamente formulate sempre le norme del Tuf domandano infatti risultati di efficienza del mercato dei capitali,e più in generale risultati di <buon funzionamento> e di <competitività> del <sistema finanziario> complessivamente considerato. Con la medesima forza si domandano garanzie di sua <stabilità>, sana e prudente gestione delle risorse consegnate alla financial industry così come trasparenza e correttezza dell’agire societario.A tutto questo gli svolgimenti dell’ordinamento comunitario aggiungono dimensione sovranazionale e un più forte impulso in direzione dei fattori costitutivi di una economia capitalista di libero mercato.
Un obbligato processo di destatualizzazione dei sistemi normativi necessariamente coinvolge tutti gli ordinamenti e attraversa per intero le economie di questo inizio secolo.Ma piu’ di qualsiasi altro il settore dell’economia finanziaria e i suoi mercati devono misurarsi con una domanda di efficienza operativa ma anche di vigilanza e di legalità che già nel contesto europeo a veder bene può avere sufficiente risposta soltanto da interventi del legislatore comunitario.
Interventi e normative comunitarie da progettare e portare a risultati operativi con grande estensione di campo già per le società di capitali occorrendo disciplina di e.commerce e trading on line ma contestualmente dovendosi considerare prestazione dei servizi finanziari, regolamentazione di mercati e delle ammissioni a quotazione,offerte pubbliche del genere Opa e Opas, regole contabili, modalità di clearing e settlement dei titoli così come <manipolazioni> di mercato e molto altro ancora.
Il processo di transizione ad un diritto europeo dei mercati mobiliari è su più fronti ormai entrato in fase di rilevante operatività.E se non qui possibile una rappresentazione dello scenario di insieme sarà pur sempre almeno indicativa una serie di concisi riferimenti ad iniziative comunitarie sempre più al centro della generale attenzione che sarà perciò necessario discutere.
Alcuni interventi del legislatore europeo sono di più immediata evidenza.E per fare soltanto un esempio sono certamente cosa di grande rilievo le disposizioni della direttiva che a gennaio del 2003 guardando al mercato azionario ha stabilito nuovo regime di prevenzione e di di reazione all’abuso di informazioni riservate e alle operazioni di manipolazione del mercato secondo un più evoluto regime di sanzione del market abuse.Dove esistono asimmetrie informative il principio del market egualitarianism è infatti gravemente violato e sicuramente occorre sanzionare l’uso dell’informazione per così dire <privilegiata> occorrendo allo interrogarsi sul miglior modo di reagire ad altre possibili forme di manipolazione del mercato.
Anche molto altro e ancor più deve tuttavia essere oggetto di attenta riflessione se si vuole misurare per intero la estensione di campo dell’iniziativa comunitaria. Si pensi a quale rilevante svolgimento dell’iniziativa comunitaria consegue alle discipline in materia di conglomerati finanziari finalmente intese ad attivare speciali regole di amministrazione del rischio e di vigilanza sui gruppi societari a grande dimensione.Massimamente rileva poi quanto possa diventare miglior disciplina fiscale delle operazioni di mercato azionario.
E ancora. Con riguardo al comparto dei rapporti precontrattuali,si pensi alla definitiva approvazione della direttiva in materia di prospetto informativo, che se muove dall’assunto che <il documento informativo> deve assicurare la <chiara> e <completa>informazione necessaria per <prendere> consapevoli <decisioni di investimento> è poi dichiaratamente intesa a consentire una più agevole e meno costosa raccolta di risparmio e capitali nel contesto dell’intera Unione europea avvalendosi della autorizzazione ricevuta dall’autorità competente di un singolo Stato secondo la regola dell’home competent authority.
Per il comparto degli investimenti già operati segnalo in modo particolare la recente proposta di una direttiva intesa a stabilire minimum transparency requirements come obbligo per le società emittenti di valori trattati in un mercato regolamentato,così da assicurare tutela degli investitori e al tempo stesso attrarre risorse finanziarie al mercato europeo dei capitali,che comunque si prefigura come mercato aperto,efficiente e caratterizzato dalle dovute prescrizioni di integrity.Si tratti poi dell’informazione periodica o di altre forme di disclosure intenzione del legislatore comunitario è comunque <contemperare> le prevalenti esigenze di una maggior trasparenza con le contestuali esigenze di non gravare le imprese di <costi in eccesso>.
E le barriere nazionali una volta di più dovrebbero in ogni caso essere rimosse incentivandosi l’accesso delle imprese a più di uno dei mercati dell’Unione Europea. E’ un generale orientamento nella direzione di una policy sovranazionale di genere aperto che trova altro e decisivo riscontro nella recente e assai discussa proposta di direttiva in materia di servizi di investimento e di regolamentazione dei mercati azionari (ma non soltanto).
Si muove dal riscontro dei mutamenti che over the last decade hanno caratterizzato le attività delle societa azionarie di servizio finanziario e l’ndamento dei mercati per dichiarare l’urgente necessità di normative di incremento della armonizzazione delle discipline nazionali.E si considerano prerequisiti del completamento del mercato comunitario sia regole di single passport che consentano alle imprese di operare nell’intero contesto europeo,sia regole di tutela degli investitori che allo stesso modo a loro consentano di allocare risparmio <dovunque in Europa> con le necessarie garanzie di protezione normativa.
Ne risulta progettato un regime di organizzazione dei servizi di investimento e di assetto dei mercati regolamentati e non regolamentati tutto nel segno della concorrenza tra sistemi di negoziazione,ritenendosi che per via di liberalizzazione delle attività e avviando un processo di riforma del sistema dichiaratamente rivolto a mettere imprese di intermediazione e mercati in concorrenza nella conquista e nella esecuzione degli ordini si conseguano positivi risultati di rimozione delle barriere all’ingresso di nuovi operatori nel comparto dell’industria dei servizi finanziari.
Insieme con questo risultati utili sono attesi quanto a riduzione dei costi delle attività e a miglior qualità dei servizi offerti al pubblico degli investitori. In estrema sintesi è la policy della concorrenza quale incentivo alla inovazione e alla maggior efficienza di mercato. Ma da parte di molti e molto autorevolmente si è osservato che occorre valutare,e valutare a fondo in che misura la progettata riforma prefigura realmente il dovuto equilibrio di sistema tra <liberalizzazione> e regole d’ordine in linea con le emergenti necessità di maggior tutela degli investitori
Nuovo regime sovranazionale dei prospetti informativi per la sollecitazione del pubblico risparmio, disposizioni della direttiva di in materia di insider trading e abusi di mercato, le tormentate progettazioni di un ordinamento sovranazionale delle attività di intermediazione e dei mercati e molto altro ancora in ogni caso sono il segno di una svolta storica forse ancora non interamente compresa nelle sue dimensioni e nelle sue valenze di politica del diritto. Come si è avvertito una politica del diritto inevitabilmente multiforme essendo perciò impensabile una sua documentazione in via breve.
Ma è pur sempre possibile indicare almeno la univoca direzione del percorso comunitario. E se gli li interventi operati in prevenzione e a sanzione dei comportamenti devianti che configurano fattispecie di illecito e di market abuse fanno parte a sé,uniformandosi all’obbligato modello delle normative che stabiliscono invalidità di atti o applicano misure di genere punitivo,quando invece occorre precostituire normative di ordinario regime dei mercati con ogni evidenza prevalgono policies di costruzione di un nuovo diritto privato europeo sul modello che si è già segnalato.
Quale che sia l’oggetto della regolazione comunitaria la strumentazione giuridica comunemente privilegiata è infatti quella di genere privatistico nel senso stretto del termine, dominando una logica di sistema in linea di principio dichiaratamente intesa ad ampliare lo spazio aperto ai poteri di libera determinazione dell’autonomia operativa dei soggetti attivi sul mercato dei valori mobiliari. E’ comunque logica di sistema finalmente pensata a misura di un diritto delle società di capitali e di una financial industry di genere transnazionale.
Invariabilmente di genere transnazionale si tratti di una disciplina di prospetto informativo che consente di scegliere dove conseguire una approvazione a valere per l’intero contesto comunitario, di una disciplina dell’intermediazione mobiliare e dei mercati che azzera vincoli di appartenenza nazionale e di concentrazione delle transazioni o di altro ancora.Ma se questa è la politica del diritto che disegna il futuro tanto più sarà chiaro in che misura è necessario discutere i cruciali i problemi dell’iniziativa efficiente e delle garanzie di pubblica vigilanza. E non tutti gli indicatori sono di segno positivo.
In punto di iniziativa efficiente si deve pur rilevare che se non mancano i risultati utili spesso il legislatore europeo continua tuttavia a trovare ostacolo in resistenze che per una parte si devono ai caratteri di complessità procedimentale del law making comunitario e per altra parte al gioco di forze degli interessi nazionali. Si devono segnare al passivo dell’iniziativa comunitaria i tempi lunghi dell’operatività.
E per fare soltanto un esempio, la direttiva intesa a regolare <la vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatori> adesso finalmente in vigore è il risultato di una contrastata vicenda attuativa di un progetto in elaborazione dal luglio del 1999.Ancor più si devono segnare al passivo le contrapposizioni di poteri forti che diventano scontro di polices, in questo senso per la materia azionaria essendo assolutamente emblematico il caso della progettazione comunitaria di una disciplina uniforme di Opa e Opas,che in elaborazione da più di dieci anni sembra ancora lontana da qualsiasi posizione generalmente condivisa (e perciò rinviata ad un imprecisato futuro).
In altra ma convergente prospettiva di analisi istituzionale si consideri poi quali resistenza incontrano le iniziative sovranazionali con finalità di garanzia della pubblica vigilanza. E non sarà il caso di ripetere quanto si è già osservato in apertura di discorso. Economia di mercato massimamente aperta non significa mercato senza regole. Da ciò la necessità (che è ormai urgente necessità) di progettare e portare a risultato normative al giusto punto di sintesi tra nuove regole per mercati nel segno delle libertà di impresa e nuove modalità organizzative delle funzioni di pubblico controllo, che se non possono essere pensate come direzione pubblica del settore devono tuttavia pur sempre garanzia di market integrity e di tutela forte degli investitori.
Anche in questo senso occorre una strategia di intervento legislativo che sia davvero molto più di una politica del diritto sul modello dei frammentati interventi di pura e semplice correzione dell’esistente. Da ciò tutto l’importante rilievo delle policies e delle strategie di intervento a suo tempo progettate appunto per avviare un complessivo programma di incremento dell’efficienza di mercati sopranazionali e di miglior organizzazione delle funzioni normative ma anche di integrazione comunitaria dei principi e delle modalità di svolgimento delle attività di vigilanza delle diverse authorities nazionali.
Policies e strategie di intervento già in chiusura degli anni Novanta formulate in documenti che costituiscono un riferimento obbligato per ogni possibile discussione in materia di nuovo diritto europeo dei mercati mobiliari. Mi riferisco in modo particolare alle grandi linee della organica riforma di sistema prefigurata dalla Commissione Europea già con l’ approvazione nel 1998 del Financial Services Action Plan.
Come si sa una inziativa pensata come <piano d’azione>che sembrava indispensabile congegnare in modo tale da conseguire con la dovuta completezza di regole i risultati indispensabili per assicurare consistenza reale al progetto di <creazione di un mercato europeo integrato dei servizi finanziari>.Si trattava di avviare un processo normativo di grande complessità ma ormai da ogni parte considerato come cosa da segnare molto in alto nell’agenda delle cose da fare.
. Si ricorderà che se il Consiglio europeo di Lisbona aveva stabilito al 2005 il termine ultimo per la assunzione dei provvedimenti previsti dall’Action Plan, quanto al settore dei mercati mobiliari il Consiglio di Stoccolma aveva poi imposto di stringere i tempi con una dichiarazione di indirizzo ancora di recente richiamata. E carattere di grande rilevanza si deve riconoscere alla proposta di <adozione> di una <procedura semplificata> per la normazione <in materia di valori mobiliari> efficacemente formulata dal <Comitato dei Saggi> presieduto da Lamfalussy.
Proposta formalmente approvata dal Consiglio di Stoccolma e organizzata secondo logica di law making comprensiva di <quattro livelli> di possibile intervento.Al vertice del modello istituzionale che ne risultava configurato si situano le indicazioni di policy in materia di normazione primaria,e perciò la prefigurazione di direttive conformate ad una serie di regole di principio con caratteri di tendenziale <stabilità> (ma anche di <flessibilità> con riguardo alle possibili evoluzioni di assetto e dinamica dei mercati).Cosa che nelle intenzioni del Comitato doveva consentire di contenere i perversi fattori di frammentazione ma anche di <ritardo> in così grande parte imputabili alle modalità di organizzazione della funzione legislativa ancora del tutto prevalenti.
Configurava policy di <secondo livello> l’avvio di processi di normazione secondaria e regolamentare in osservanza dei criteri e per l’oggetto indicati dalle disposizioni di delega contenute nella legislazione di fonte primaria. E precisazione assai importante l’intero procedimento era pensato come comprensivo delle <consultazioni pubbliche> necessarie per conoscere e valutare posizioni e aspettative dei soggetti protagonisti nel settore della imprenditorialità, del mercato azionario e dell’industria dei servizi finanziari.
Sarà infatti chiaro che nessuna normazione del mondo societario e dell’economia finanziaria è corpo legislativo che si possa stabilire seguendo metodo diverso da quello di un law making se non contrattato quanto meno capace di trovare consensi sufficientemente diffusi.Essendo in ogni caso assicurata la dovuta trasparenza del processo normativo nei confronti del Parlamento Europeo, quale <terzo livello> di intervento si segnalava poi una politica del diritto intesa ad assicurare finalmente <cooperazione rafforzata> quanto al complessivo sistema delle <azioni di vigilanza> assegnate in competenza alle authorities nazionali.
Una cooperazione <rafforzata> anche mediante l’adozione di <misure di convergenza> delle prassi regolamentari e di controllo impiegate nei diversi <Paesi dell’Unione>. Si indicava infine come <quarto livello> l’operare della Commissione Europea per verificare che l’attuazione di tali misure sia uniforme ed <omogenea a livello europeo>, non essendo escluso il ricorso agli ordinari strumenti di <richiamo> e di avvio di una <procedura di infrazione> in caso di <mancato adeguamento di uno Stato> all’acquis comunitario. Ne risultava completato un modello e un progetto di regolamentazione di servizi finanziari e mercati finalmente capace di offrire strumenti a quant’altro occorrerà in un non lontano futuro.
Un futuro di integrazioni che con ogni probabilità dovranno trovare formale riscontro anche nelle prescrizioni dei trattati che sono costituzione dell’Unione Europea. E sembra dover essere questo il contesto normativo dove trovare soluzione al problema del regime comunitario della pubblica vigilanza,che sicuramente non è più problema da consegnare ai discorsi di lungo periodo o da lasciare al gioco di forze delle contrapposizioni nazionali.
Offrono utili indicazioni quanti anche per l’ordinamento delle società di capitali e dei mercati mobiliari pensano alla possibile attivazione di una authority sul modello privilegiato per il settore del credito con la configurazione di una Banca Centrale Europea. E per fare veramente chiarezza alle iniziative di ingegneria istituzionale ancora una volta occorre discutere da punti di osservazione che consentano di allontanare il pericolo di errori di prospettiva. Si sbaglia quando si guarda al sistema delle norme regolatrici in una prospettiva pericolosamente unilaterale quasi che le vicende dell’economia finanziaria fossero cosa che forma giuridica e prescrizioni legali possono governare per intero.
Allo stesso modo occorre scongiurare il rischio di altre perverse semplificazioni. Se è vero che i suoi congegni e i modi essere di società di capitali e dei mercati mobiliari sono molto più di quanto emerge nella prospettiva delle norme regolatrici,allo stesso modo si sbaglia se non si considera che per tutti i fenomeni societari e dell’economia finanziaria la forma giuridica e le prescrizioni legali costituiscono pur sempre un fattore fortemente condizionante. E più di quanto non sembri ad osservatori lontani dalla realtà a veder bene ogni comparto di imprese <società per azioni> e di financial economy è in consistente misura una variabile dipendente dal suo diritto.
Molto in questo senso insegnano le indagini svolte con un realistico metodo di analisi economica del diritto. Regole di procedimento inefficienti, tempo lungo degli adempimenti richiesti, incertezze interpretative sono costi che azzerano i benefici di qualsiasi possibile accesso al mercato. E norme che lasciano spazio aperto ad asimmetrie informative, lacune disciplinari che agevolano comportamenti devianti o inadeguatezze degli apparati amministrativi con funzioni di pubblico controllo sono anch’esse all’origine di passività sistemiche (e di costi) che finiscono per essere disincentivo alla presenzasocietaria sul mercato.
Lo scenario internazionale di inizio secolo in ogni caso conferma che la concorrenza tra financial economies,e perciò la competizione tra economia finanziaria del continente europeo e altri mercati di financial services è in grande misura anche competizione sulle regole che insieme ad efficienza dei mercati devono garantirne una affidabile integrità.Non esiste documento comunitario di intenti o <considerando> di direttive che a tutto questo non guardi con la maggior attenzione.
Se è vero alla disciplina dei rapporti di mercato sempre più si provvede con una strumentazione normativa che assegna il ruolo protagonista ai mezzi e agli istituti in appartenenza all’autonomia privata e comunque al sistema del diritto privato, gli assetti istituzionali e le regole di pubblica vigilanza perciò sono con altrettanta forza elementi costitutivi del sistema perché come non sono congegni a comando allo stesso modo il mondo delle società di capitali e i mercati mobiliari neppure possono essere luogo di un far west finanziario.
Non lo possono comunque essere mercati davvero vincenti in un confronto internazionale che è ormai il contesto necessariamente condiviso dalla generalità dei paesi a capitalismo maturo.Da ciò il significativo progresso nel caso italiano certamente costituito dall’intervento del gennaio 2003 che alle società per azioni assegna una disciplina in più parti perfettibile ma pur sempre ad un accettabile punto di equilibrio tra autonomia di soggetti privati e garanzie di vigilanza nel generale interesse.E a tutto questo per una discussione utile si aggiunga quanto occorre rilevare con riguardo al sistema delle disposizioni che assoggettano imprese, società e mercato finanziario ad un controllo di legalità con lo strumento forte della norma penale.
Sia pure in via di prima approssimazione sarà perciò il caso di segnalare i caratteri distintivi di un insieme normativo di genere molto particolare.In linea di principio si possono indicare come interessi protetti dalla norma incriminatrice i valori sociali che negli artt. 41 e 47 o in altre disposizioni costituzionali segnano limiti alla iniziativa economica. Ma nella legislazione ordinaria dovevano prevalere disposizioni che si sono succedute senza una sufficiente organicità di complessivo disegno del diritto penale di imprese e società.
Ogni singola norma incriminatrice ha poi naturalmente una sua particolare ratio legis che occorrerà di volta in volta precisare. Ancor prima occorre tuttavia distinguere tra le diverse norme incriminatrici in considerazione del loro diverso ambito di operatività. Parte del sistema sono fattispecie di reato che possono configurarsi per qualsiasi attività di impresa e per qualsiasi società «soggetta a registrazione». Altre disposizioni dove si prefigurano fattispecie di reato sono invece norme incriminatrici che si riferiscono in via esclusiva alle società di capitali. Altre ancora stabiliscono infine speciale disciplina delle società azionarie con azioni quotate e del mercato finanziario.
L’universo delle fattispecie che costituiscono «delitto» o «contravvenzione» e che perciò comportano sanzioni penali di comportamenti devianti ha poi tutta la ulteriore complessità che si può bene immaginare.
Normative a sé valgono per singole categorie di soggetti (e ad esempio per le società di revisione contabile), così come per singoli settori di industria (e ad esempio per il settore bancario) e per i fenomeni di insolvenza delle imprese configurandosi allora le diverse ipotesi di reati fallimentari. A tutto questo si aggiunga la nuova disciplina penale delle attività imprenditoriali di intermediazione in valori mobiliari. Ne risulterà con chiarezza la estensione di campo di normative di prevenzione e sanzione dell’illecito di impresa che si indicano per rinvio ai possibili approfondimenti.
Occorre tuttavia segnalare un elemento distintivo dell’intera disciplina che al tempo stesso ne costituisce grave punto di caduta. Configurando il regime penale di imprese, società e mercato finanziario nel grande numero dei casi si privilegia infatti una tecnica legislativa che definisce la fattispecie criminosa mediante rinvio ad altre disposizioni. E si tratta di tecnica legislativa che non si sottrae ad una motivata critica.
La norma penale stabilisce la sanzione ma gli elementi costitutivi della fattispecie di reato devono derivare da altre norme. E molto spesso si tratta di norme di diritto privato o di diritto amministrativo, di per sé incapaci di una descrizione di comportamenti così puntuale quanto richiede il principio di stretta legalità che è invece per tutti garanzia costituzionalmente stabilita. Da ciò una serie di norme penali in bianco che comportano un elevato rischio di discutibili applicazioni.
Sono perciò del maggior rilievo e meritano ampio consenso le innovazioni di sistema operate dal decreto legislativo che a marzo del 2002 ha riformato il regime degli <illeciti penali> di <società e consorzi>, sia sostituendo intermante l’undicesimo titolo del quinto libro del codice civile sia prefigurando nuove fattispecie di reato con una tecnica normativa finalmente lontana dal modello delle norme penali <in bianco>.
Ragionando in termini di politica del diritto sarà infine chiaro che l’impiego della norma penale esige misura. È pur sempre necessario quando occorre agire in prevenzione e a sanzione di comportamenti con caratteri di particolare gravità. Anche in materia di imprese, società e mercato finanziario (ma a veder bene sempre) il ricorso allo strumento forte della norma penale si giustifica tuttavia soltanto nella misura resa indispensabile dalla provata mancanza di altri e meno afflittivi mezzi di reazione all’illecito (segue).
(*) In queste pagine si trascrive una prima parte di <materiali per una discussione> impiegati per indicare l’oggetto di un <incontro per la didattica> a svolgersi nel corso dell’anno accademico.