Giuseppe Di Gaspare, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali

29.10.2003

Giuseppe Di Gaspare, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Cedam, Padova, 2003, pp. 238.

In questo volume Giuseppe Di Gaspare propone un nuovo approccio scientifico al diritto dell’economia, che enuncia fin dal titolo, argomenta sul piano teorico nelle pagine introduttive ed applica nel prosieguo dell’opera.
L’A. parte da una giustificata insoddisfazione per le soluzioni tradizionali al problema dell’autonomia scientifica del diritto dell’economia: se la concezione “totalitaria”, considerando oggetto del diritto dell’economia tutti i rapporti giuridici a contenuto economico (di diritto privato come di diritto pubblico), impedisce di rintracciarne la consistenza, la concezione “riduzionistica”, assumendo il profilo formale tipologico degli istituti come metro di classificazione, risolve il diritto dell’economia negli istituti di diritto pubblico o in quelli di diritto privato.
La proposta alternativa consiste nell’assumere ad oggetto dello studio del diritto dell’economia non gli istituti (ad es. proprietà, concessione), che costituiscono il primo livello di rappresentazione della realtà giuridica, ma le istituzioni che li conformano (pubblici poteri, mercato e impresa) e soprattutto le loro interrelazioni. Da cui la configurazione del “diritto dell’economia quale diritto delle istituzioni rilevanti per l’economia, come un diritto di secondo livello” (p. 8).
Questo è però solo il primo passaggio della ricostruzione, il secondo essendo costituito da una prospettazione diacronica degli andamenti delle relazioni fra istituzioni. Il volume è tutto costruito intorno alla domanda su come sono andate evolvendo le dinamiche dei rapporti fra le istituzioni rilevanti per l’economia nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico, ulteriormente scomposto in modello democraticoliberale  e socialdemocratico, fino alla crisi di quella che l’A. definisce “costituzione socialdemocratica” ed alla formazione di mercati globali. 
Le risposte che fornisce si articolano necessariamente in una pluralità di variabili, talune ben note negli studi sulle forme di Stato e di governo, altre tratteggiate dallo stesso A. Così, la distinzione fra modello monista e dualista è riferita non alla ripartizione del potere fra Legislativo ed Esecutivo (come nella tradizione della  scienza costituzionalistica), ma al ruolo della legge, che nel primo caso dà luogo a un alto tasso di legislazione orientato al legislatore (Europa continentale) e nel secondo a un basso tasso di legislazione orientato al giudice (Gran Bretagna e USA). Con conseguenze, avverte molto giustamente, destinate a dar vita a “una competizione fra sistemi giuridici nella definizione di una embrionale costituzione economica della globalizzazione” (p. 57).
A questo quadro, efficace ma necessariamente rapido, degli assetti delle relazioni interistituzionali destinate a conformare diversamente il diritto dell’economia degli Stati democratici a capitalismo maturo, Di Gaspare fa seguire una più distesa trattazione della vicenda della nostra Repubblica, col risultato di valorizzare molto meglio le implicazioni euristiche del suo approccio teorico.
Qui il punto di partenza è costituito da una approfondita ricognizione del disegno costituzionale, riscoperto (è il caso di dire, se si pensa all’interpretazione giurisprudenziale) nei suoi enunciati testuali rilevanti per il diritto dell’economia (anche quelli rimasti più in ombra e che  l’esperienza riporterà alla luce, come l’art. 46). Il risultato, sicuramente controcorrente rispetto alle acquisizioni della scienza costituzionalistica, è che tanto i diritti economici quanto i diritti sociali sono “diritti” solo nei rapporti interindividuali, mentre sono stati assimilati agli interessi legittimi ogni volta che la controparte del rapporto è costituito dal pubblico potere, vista l’ampia disponibilità rilasciata al legislatore ordinario circa la loro conformazione.
Questo risultato secondo l’A. non è  inscritto nella Costituzione (p. 126), ma è piuttosto dipeso da una serie di distorsioni verificatesi in sede attuativa (p. 131). Il punto centrale è stato  il depotenziamento, nell’esperienza, tanto dei diritti economici quanto dei diritti sociali, e soprattutto il fatto che “in termini reali le risorse sottratte ai primi saranno solo parzialmente impiegate a vantaggio dei secondi” (p. 131).  
Di Gaspare fornisce una quantità di interessanti dimostrazioni delle conseguenze delle distorsioni operate negli anni seguenti al decollo economico italiano sul godimento dei diritti sociali e dei diritti economici, comprese le peculiari alleanze italiane fra pubblico e privato che suggellano monopoli e mercati chiusi (Mediobanca), le mancate riforme (urbanistica), e più in generale il libero corso lasciato dai pubblici poteri a fenomeni speculativi. La metodologia e l’ispirazione ricordano il Giuliano Amato di Economia, politica e istituzioni in Italia (1976).
L’altro asse del volume è inevitabilmente costituito dall’incidenza del diritto comunitario. Anche qui l’analisi è in controtendenza rispetto alle correnti letture che lo contrappongono allo Stato sociale. Per Di Gaspare le cose non stanno così, e lo dimostra distinguendo accuratamente le varie tappe della formazione del mercato unico, e cogliendone le diverse implicazioni per il diritto interno e per le politiche pubbliche nazionali. Come già per Guarino, anche secondo l’A. il punto centrale di sblocco del processo di integrazione è costituito non da Maastricht ma dall’Atto Unico del 1986, nella misura in cui ha ribaltato l’originaria impostazione che subordinava al coordinamento delle politiche economiche la liberalizzazione del mercato dei capitali, e ha così posto le premesse di tutti gli sviluppi successivi fino all’adozione della moneta unica nel 2002.     
La parte finale è dedicata alla stentata (e perfino, direi, in parte reversibile) modernizzazione amministrativa italiana, con una peculiare attenzione, frutto anche di un’ampia messe di lavori specifici dell’A., ai processi di privatizzazione e di liberalizzazione. E’ sempre presente a Di Gaspare la consapevolezza che tali innovazioni non solo sono il frutto di, ma debbono misurarsi con, la realtà di mercati globali e comunque aperti. Con una conseguente vigile preoccupazione per quelle strozzature dei canali concorrenziali che proprio allo studioso di diritto dell’economia spetta mettere in luce. 
Scrive l’A. nella Prefazione che il volume è frutto di una rielaborazione dei suoi corsi universitari, e che perciò i suoi primi destinatari sono gli studenti. Mi pare giusto. Aggiungo solo che la sua fatica non servirà loro soltanto ad apprendere il diritto dell’economia, ma prima ancora a reagire allo spaesamento che incolpevolmente li affligge: a capire cioè in che razza di paese si trovano, perché le cose sono andate in Italia così e non in altro modo, e magari anche cosa fare per non ricadere nelle tante trappole che hanno disseminato il nostro percorso. Anche questo, alla fine, dobbiamo fare: educare gli studenti al vivere civile, in un’epoca e in un paese in cui nessuno ci pensa più.
Il volume ha per primi destinatari gli studenti, ma coinvolgerà sicuramente gli studiosi, non solo per le ragioni che ho cercato di sintetizzare, ma anche per l’estrema ricchezza di riferimenti e per la densità di certi passaggi, che invece non ho neanche provato a riportare. Meglio leggerli direttamente

recensione a cura di Cesare Pinelli