Sulla potestà legislativa concorrente in materia di “tutela della salute”

27.10.2003

Oggetto della sentenza 27 ottobre 2003, n. 329 sono i ricorsi per conflitto d’attribuzione delle Regioni Lombardia e Lazio avverso il D.P.C.M. 24 maggio 2001 recante “Linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra Regioni e Università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle Università nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517. Intesa, ai sensi dell’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che nelle prospettazioni delle ricorrenti avrebbe violato il principio di leale collaborazione e le competenze costituzionalmente garantite alle Regioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera.

La Corte, senza entrare nel merito, dichiara l’inammissibilità dei ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’entrata in vigore di normativa di grado sopraordinato (decreto legge 18 settembre 2001, n. 347 recante “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 16 novembre 2001, n. 405) che, attraverso la “derubricazione” delle disposizioni di cui agli articoli 4, comma 1-bis, e 9-bis, d.lgs. 502/92 e s.m. non più considerati “principi fondamentali” della materia,  ha comportato una innegabile  “espansione delle potestà organizzative riconosciute alle Regioni in materia sanitaria” e, per espresso riconoscimento delle difese delle regioni ricorrenti, dal punto di vista sostanziale, avrebbero superato i contenuti del D.P.C.M. impugnato.

Inoltre, la stessa Corte fonda la propria decisione sul nuovo assetto della potestà legislativa e regolamentare così come risultante dal nuovo articolo 117 Cost., evidenziando che:
a) nelle materie di competenza concorrente (quale è la “tutela della salute”), “le Regioni possono esercitare le proprie competenze legislative approvando una propria disciplina – anche sostitutiva di quella statale – sia pure nel rispetto del limite dei principi fondamentali posti dalle leggi dello Stato”;
b) “lo Stato non può intervenire in tale materia con atti normativi di rango sublegislativo, in considerazione di quanto disposto dall’art. 117, sesto comma, della Costituzione”;
c) “non permane in capo allo Stato il potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento” – quale è quello impugnato – in relazione alla materia de qua, anche alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, il quale stabilisce che “nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”.

“E’ proprio la possibilità per le Regioni di sostituire la disciplina dettata dall’atto impugnato”, argomenta la Corte, “a determinare il venir meno dell’interesse a ricorrere, pur dovendosi riconoscere che in forza del principio di continuità tale atto mantiene la propria vigenza nell’ordinamento, sia pure con carattere di cedevolezza rispetto all’eventuale intervento normativo regionale”.
Il testo della decisione è consultabile al sito: www.giurcost.org

a cura di Enrico Menichetti