L’ineleggibilità alla carica di deputato regionale dei capi servizio degli uffici statali che svolgono attività nella Regione Sicilia

03.10.2003

Corte Costituzionale, 3 ottobre 2003, sent. N. 306

In virtù della competenza legislativa primaria della Regione Sicilia in materia di ineleggibilità, non possono accedere alla carica di deputato regionale i capi servizio degli uffici statali che svolgono attività nella Regione medesima.

Il termine “servizio”, definito come struttura amministrativa articolata, affidata alla responsabilità di una figura dotata di poteri dirigenziali, è riferibile ad una categoria sufficientemente circoscritta e pertanto suscettibile di utilizzazione nella definizione delle cause di ineleggibilità.

Giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 2, n. 7, della legge Regione Siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale Siciliana), promosso con ordinanza del 6 marzo 2003 dalla Corte di cassazione.

La Corte di Cassazione ha sollevato in via incidentale questione di legittimità costituzionale avverso l’articolo 8, secondo comma, n. 7 della legge della Regione Siciliana 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui prevede l’ineleggibilità alla carica di deputato regionale dei “capi servizio…degli uffici statali che svolgono attività nella regione” per contrasto con l’art. 51, primo comma della Costituzione. In particolare, la rimettente richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 1972, in cui la Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art.5, n. 7 della legge n. 106 del 1968, giudicava inammissibile una causa di ineleggibilità (quella relativa ai “capi degli uffici”) dai confini estremamente generici ed elastici, suscettibile di essere dilatata in sede interpretativa sino a ricomprendere le situazioni più diverse.
La Corte Costituzionale interviene innanzitutto per chiarire se la disposizione impugnata debba essere ritenuta tuttora vigente, come sostenuto dalla Corte di Cassazione, o se invece essa non sia stata abrogata ad opera dell’art. 13, primo comma della legge n. 19 del 1997, come sostenuto nel giudizio di merito. La Corte Costituzionale conferma l’interpretazione della rimettente, specificando che, nonostante l’entrata in vigore della successiva legge statale, la legge impugnata rimane vigente.
Appurata la rilevanza della questione (tenuto conto dell’evoluzione storica dell’Istituto, la Corte ritiene infatti che l’INAIL possa essere ricompreso nella dizione “uffici statali” utilizzata dalla norma impiegata), la Corte circoscrive il problema di merito nella valutazione della sufficiente determinatezza della fattispecie di ineleggibilità contemplata dalla disposizione impugnata. Sulla questione , vengono in rilievo i precedenti orientamenti giurisprudenziali che prevedono che le cause di ineleggibilità siano considerate di stretta interpretazione, siano contenute entro i limiti strettamente necessari al soddisfacimento del pubblico interesse e siano determinabili con sufficiente certezza.
Sulla base di tali orientamenti pregressi, la Corte individua l’ambito di applicazione della causa di ineleggibilità impugnata in via incidentale: mentre infatti nella legge statale dichiarata illegittima nella sentenza n. 166 del 1972 si evidenziava l’assenza di norme che definiscano l’ufficio, nel presente ricorso la Corte ritiene che il termine servizio individui una categoria sufficientemente circoscritta (definita come “struttura amministrativa articolata, affidata alla responsabilità di una figura dotata di poteri dirigenziali”), integrata negli ultimi anni anche grazie all’ampia produzione normativa relativa ai poteri e alle responsabilità della dirigenza amministrativa.
Verificata la compatibilità della norma impugnata con l’art. 51 della Costituzione e ribadita l’ammissibilità, nelle Regioni a statuto speciale, di una disciplina differenziata in tema di ineleggibilità (il cui fondamento per la Regione Sicilia è da rinvenirsi nell’art. 3 dello Statuto), la Corte giudica infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 8, secondo comma, n. 7 della legge della Regione Sicilia n. 29 del 1951.

Giurisprudenza richiamata:

– sull’esigenza che le cause di ineleggibilità non abbiano confini troppo generici ed elastici, suscettibili di essere dilatati in sede interpretativa fino a ricomprendervi le ipotesi più diverse: Corte Costituzionale, sent. n. 166 del 1972;
– sull’esigenza che le cause di ineleggibilità siano di stretta interpretazione e che le medesime siano contenute entro i limiti rigorosamente necessari per il soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse: Corte Costituzionale, sent. n. 388 del 1991, sent. n. 344 del 1993, sent. n. 141 del 1996 e sent. n. 132 del 2001;
– sulla disciplina dell’illegittimità consequenziale di cui all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87: Corte Costituzionale, sent. n. 422 del 1995, sent. n. 322 del 2000 e sent. n. 169 del 2003;
– sulla possibilità per le Regioni ad autonomia speciale di prevedere discipline differenziate in tema di ineleggibilità, purché adeguatamente motivate e finalizzate alla tutela di interessi generali: Corte Costituzionale, sent. n. 571 del 1989, sent. n. 438 del 1994 e sent. n. 162 del 1995;
– sulla natura primaria della competenza della Regione Sicilia in materia di ineleggibilità: Corte Costituzionale, sent. n. 276 del 1997;
– sul significato dell’espressione “requisiti” per l’accesso alle cariche elettive, prevista dall’articolo 51 Cost., come estesa a comprendere anche l’inesistenza di incarichi la cui titolarità sia ritenuta incompatibile con la candidatura, oltre che l’inesistenza di incarichi tali da influire sulla par condicio della competizione elettorale: Corte Costituzionale, sent. n. 287 del 1997.

a cura di Elena Griglio