Costituzione europea e Presidenza italiana dell’UE: dalla Convenzione alla Conferenza intergovernativa?
L’Europa sta vivendo oggi una nuova fase costituente, un passaggio importantissimo verso la costruzione dell’Europa politica.
E’ un passaggio fondamentale’ O solo una tappa in un calendario che gli eventi rendono sempre più stretto’
E’ difficile rispondere oggi a questa domanda, ma credo che per meglio interpretare lo stato dell’Europa di oggi sia necessario analizzare il contesto politico e istituzionale attuale e le sue prossime tappe. Solo cosi’ potremo capire se abbiamo veramente intrapreso la strada dell’Europa politica, dell’Unione politica di Stati e Popoli, la cui ‘volontà’ ha ispirato l’articolo primo del progetto di Costituzione europea.
Vediamo allora quali sono le questioni da affrontare in questa nuova fase.
Mi sembra che se ne possano identificare tre:
la conclusione del processo di riforma costituzionale e la creazione di un sistema di governo europeo;
la posizione e il ruolo dell’Unione nel mondo nel periodo post-Irak;
la realizzazione di un vero e proprio patto politico, percepito come tale, tra Unione e cittadini.
Questi tre grandi capitoli vanno poi legati ad altre due questioni: quella dei tempi e delle tappe e quella del rapporto tra i ‘metodi’ della costruzione e le sue implicazioni politiche ed economiche.
Per valutare i successi o i fallimenti dell’Europa, infatti, occorre distinguere tra il breve periodo e il lungo periodo. Se vi sono a volte delle importanti accelerazioni, che rendono i progressi particolarmente visibili, spesso le decisioni europee dispiegano tutti i loro effetti politici, economici e giuridici, solo col passare del tempo.
Quello che è senza dubbio finalmente emerso, grazie al dibattito che ha preceduto e accompagnato i lavori della Convenzione, e che da tempo avevamo auspicato, é che la costruzione dell’Europa non é né é più percepita come una questione tecnica o di sola politica estera, ma come una questione altamente politica e di tipo costituzionale.
L’Europa di oggi si pone degli obiettivi esplicitamente politici e si presenta come la risposta al bisogno di agire in politica estera, nella politica di sicurezza, in quella dell’immigrazione ecc., in tutti quei settori, cioè, in cui é sempre più sentita dai cittadini l’esigenza di un’azione più forte e più efficace rispetto a quella dei singoli Stati.
Tale esigenza si manifesta nel momento in cui la scelta, che é una scelta della Storia, di unificare il continente e al tempo stesso approfondirne l’integrazione, impone decisioni coraggiose.
La nuova fase storica europea: dal 1989 a Laeken
Il nuovo processo di costruzione politica dell’Europa affonda le sue radici nel 1989 e nel periodo successivo. Un periodo caratterizzato da grandi rotture e da forti accelerazioni. Ricordiamo brevemente i grandi eventi: crollo del muro di Berlino, riunificazione tedesca, crisi dell’URSS, fine della Jugoslavia. La globalizzazione comincia a manifestarsi con tutta la sua forza. Gli Stati Uniti d’America diventano l’unica superpotenza e scelgono di rafforzare la loro preminenza tecnologica e militare.
L’unificazione tedesca darà la spinta politica definitiva all’Unione monetaria. L’Unione politica pero’ non accompagna tale processo.
Qualche anno dopo, nel 1993, a Copenaghen viene data la prospettiva di adesione alle nuove democrazie europee. Una prospettiva concepita come forma di solidarietà storica e politica, legata allo sforzo di modernizzazione di questi paesi e pensata come un’occasione senza precedenti per costruire una grande area di democrazia e prosperità. Le riforme istituzionali che seguono tale dichiarazione, pero’, non sono all’altezza delle ambizioni e delle sfide europee. Amsterdam e Nizza sono più che altro i trattati dei rinvii e delle occasioni perdute.
Capiamo meglio allora l’importanza della Dichiarazione di Laeken, che segna l’inizio di un nuovo periodo.
La Dichiarazione ricorda quattro dati storici e politici fondamentali:
l’Europa é nata dall’esplicito rifiuto della volontà di dominare con la forza il continente europeo;
– l’Europa é stata costruita, dalla CECA all’Euro, attraverso una serie di ‘realizzazione concrete’ ottenute grazie ad un nuovo metodo, il metodo comunitario;
– l’Europa deve ora misurare la portata delle nuove sfide politiche che ha innanzi all’inizio del nuovo millennio;
– l’Europa deve rinnovare il suo metodo, per vincere tali sfide.
E la Dichiarazione indica alcuni orientamenti di fondo per vincere tali sfide:
avvicinare le istituzioni europee ai cittadini;
svolgere un ruolo di potenza internazionale, per contribuire alla pace e alla stabilità e per divenire un punto di riferimento attivo sulla scena mondiale.
La Convenzione: tra autonomia e dipendenza.
Nella notte di Nizza, tutti finalmente capirono i limiti del metodo intergovernativo: un metodo in cui le burocrazie discutono a porte chiuse e in cui i capi di Stato e di Governo si affrontano ognuno con la propria lista di ‘interessi vitali’, da tutelare attraverso il diritto di veto.
Un metodo che non può certo più venire applicato per affrontare le nuove questioni politiche e istituzionali a cui l’Europa deve fare fronte.
Da questo punto di vista, la Convenzione, con la presenza di tutte le fonti di legittimità europee e nazionali, ha risposto alle attese.
E’ riuscita ad accordarsi su un testo, e non su delle semplici opzioni.
Ha permesso di creare un movimento di riforma che non avevamo conosciuto in Europa.
Ha dato prova di immaginazione ma anche di realismo trovando un accordo su punti importanti, su alcuni dei quali si erano arenati i negoziati di Amsterdam e di Nizza:
La Carta dei diritti fondamentali farà parte del trattato costituzionale;
L’Unione avrà una personalità giuridica unica;
La definizione dei poteri dell’Unione aiuterà i cittadini a capire la divisione dei compiti tra gli Stati membri e l’Unione e a capire le funzioni di ciascuno;
I trattati sono stati considerevolmente semplificati, anche se si poteva certamente fare di più: il progetto propone di ridurre gli attuali 700 articoli (sparsi in quattro Trattati) a 460.
La procedura di codecisione è diventata ora la regola generale.
E’ prevista la creazione Ministro degli esteri europeo, vicepresidente della Commissione, che per contribuire alla coerenza dell’azione esterna dovrà pero’ basarsi sull’amministrazione comunitaria esistente e non creare una nuova burocrazia parallela.
Nel corso dei lavori, tuttavia, si é sovrapposta alla Convenzione una sorta di pre-conferenza intergovernativa, che l’ha rallentata e forse non ha permesso di giungere ad un esito pienamente soddisfacente.
La Convenzione ha perso autonomia nei confronti dei governi e ha perso la sua forza immaginativa al momento di discutere la riforma delle istituzioni.
Su tale questioni, si é anche rotto l’equilibrio tra ‘grandi’ e ‘piccoli’ Stati, dato che i primi, con poca lungimiranza, hanno spinto per un regresso verso il metodo intergovernativo e i secondi hanno reagito arroccandosi su posizioni a volte troppo difensive e conservatrici.
L’esito non é pienamente soddisfacente, é un passo in avanti, non é il salto di qualità necessario, soprattutto a causa del mantenimento del voto all’unanimità su materie come la politica estera, la difesa e la politica fiscale (per gli aspetti che incidono sul buon funzionamento del mercato unico e che danno luogo ad una concorrenza sleale).
Se un domani scoppiasse un’altra crisi di tipo iracheno, l’Unione si presenterebbe nuovamente divisa.
Le soluzioni proposte dalla Convenzione sono necessarie ma non del tutto sufficienti per permettere all’Unione di divenire un vero soggetto di politica internazionale.
L’esito non è soddisfacente anche a causa dei rischi insiti nella soluzione di un Presidente del Consiglio permanente, non sottoposto ad un controllo democratico diretto, nazionale od europeo, e che potrebbe sfociare in un nuovo centro esecutivo, aumentando la frammentazione esistente e sollevando forti problemi di coordinamento con il Ministro degli affari esteri e con il Presidente della Commissione.
E non é soddisfacente per quanto concerne la Commissione.
Il principale argomento a favore di un minor numero di commissari è il rischio che i commissari degli Stati membri di maggiori dimensioni – corrispondenti al 65% della popolazione europea – si trovino in minoranza rispetto ai commissari degli Stati membri più piccoli, che rappresentano il 10% della popolazione.
Questo creerebbe problemi di legittimità per la Commissione, oltre a quelli derivanti dalla necessità di funzionare in modo efficace con 25 e più commissari.
Ma quale legittimità avrebbe – per esempio – una proposta presentata da una Commissione ridotta, nella quale 2 o 3 Stati di grandi dimensioni non fossero rappresentati, e che fosse adottata da un Consiglio che metta quegli stessi Stati in minoranza’
Specialmente nella prima fase dell’Unione allargata, è quindi preferibile mantenere il principio di un commissario per Stato membro. Ovviamente ciò richiede un forte potere di organizzazione interna autonoma, con ‘nuclei’ e un certo numero di gruppi di commissari presieduti da vicepresidenti.
Sono questi i punti su cui insisteremo nel nostro parere sull’apertura della Conferenza intergovernativa, prevista per settembre.
Proporremo anche un aggiornamento dell’articolato sulle politiche che non sono state discusse dalla Convenzione. Sarebbe infatti difficile e rischioso lasciare nella Costituzione delle disposizioni scritte nel 1957 e mai aggiornate finora, come ad esempio per l’agricoltura o la libera circolazione dei prodotti e dei servizi. Apporteremo poi il nostro contributo e le nostre idee per assicurare una partecipazione adeguata del Parlamento europeo.
In ogni caso, sarà fondamentale che le discussioni in seno alla conferenza intergovernativa rimangano discussioni a livello politico, tra Capi di governo e Ministri degli esteri. Gli eventuali gruppi tecnici dovranno avere un mandato ben preciso e delimitato.
Rimane poi la questione del meccanismo di revisione della futura Costituzione.
E’ auspicabile introdurre un meccanismo di revisione più semplice per la modifica di alcune parti della Costituzione.
Ed é assolutamente necessario prevedere già nella Costituzione stessa il meccanismo da seguire nel caso di mancato ratifica del nuovo trattato da parte di uno Stato.
Che si farebbe in qual caso’ Si tornerebbe, come se nulla fosse, alle soluzioni di Nizza, che rappresenta forse il momento più triste della storia recente dell’Unione’
Le prossime tappe: verso l’Europa dei cittadini’
L’Europa é già uno spazio di pace, di sicurezza e di stabilità.
Tale spazio di sta estendendo progressivamente su tutto il continente e si sta proiettando verso le regioni vicine, quello che chiamo ‘l’anello dei paesi amici’, dalla Russia al Marocco.
L’Europa é un esempio mondiale di area di sviluppo sostenibile, che garantisce benefici concreti ben al di là del semplice, grande mercato.
Infine, l’Europa é la migliore espressione dell’equilibrio tra unità e diversità che diventa la chiave per beneficiare pienamente dei benefici della globalizzazione evitandone le possibili conseguenze negative.
Si tratta di conquiste notevoli, impensabili mezzo secolo fa, che rappresentano un modello su scala mondiale.
Infine, l’Europa si accinge a dotarsi di un trattato con portata costituzionale.
Ma ciò non basta per la costruzione dell’Europa politica.
Ciò va accompagnato da una nuova struttura istituzionale e da un vero e proprio movimento delle società europee.
La CIG dovrà terminare i lavori in modo che i cittadini europei possano conoscere il testo del trattato costituzionale prima delle elezioni per il rinnovo del PE nel giugno 2004.
Per la ratifica ci sarà sicuramente un referendum in Irlanda; la Spagna ha annunciato che intende organizzare una consultazione referendaria; e in Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo, Francia e Regno Unito, potrebbero tenersi dei referendum.
La parola passerà ai cittadini, e sarà fondamentale ben spiegare il contenuto e tutte le implicazioni politiche di tale processo, che si tratti della ‘grande Europa’, del nuovo sistema di governo europeo e del ruolo dell’Unione nel mondo.
Tale dibattito dovrà approfondire la breccia aperta dalla Convenzione, dovrà aprire a tutti i cittadini un dibattito che é stato oggi allargato grazie alla Convenzione, dovrà porre le basi per un vero e proprio spazio politico europeo.