L’azione amministrativa nel progetto di revisione della L. 241/90 (Ddl Senato 1281) – Resoconto convegno

11.05.2003

Incontro di studio sul tema
“L’azione amministrativa nel progetto di revisione della L. 241/90 (Ddl Senato 1281)”

Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti – Pescara

Pescara, 30 maggio 2003

Intervento del Prof. Erminio Ferrari (Università di Pavia)
su “I principi generali dell’azione amministrativa”

Il disegno di legge in esame, pur proponendosi come novella della legge 241/90, non si limita a disciplinare il procedimento amministrativo.
Estende, infatti, il proprio raggio di operatività ai rapporti tra attività amministrativa da un lato e diritto pubblico/privato dall’altro.
La più ampia portata si evince dallo stesso titolo (che fa riferimento a “norme generali sull’azione amministrativa”piuttosto che a “nuove norme in materia di procedimento amministrativo”).
Dubbi sorgono sulla bontà dell’opzione effettuata: regolare, cioè, con unico testo normativo, ambiti tematici diversi e particolarmente delicati.
Dopo aver evidenziato l’assenza di riferimenti ai servizi pubblici (anch’essi “canali” dell’azione amministrativa) e la rivisitazione dell’istituto della conferenza di servizi, il Prof. Ferrari espone alcune notazioni sui contenuti della riforma, con specifico riguardo ai seguenti aspetti:

1. principi generali;

2. procedimento amministrativo;

3. disciplina dell’invalidità dell’atto amministrativo.

1) Principi generali. L’art. 1 comma 1 conserva la struttura del medesimo articolo della L. 241/90 che, un po’ arcaicamente, sembra considerare l’attività amministrativa esistente di per sé, a prescindere dagli interessi collettivi che la originano e giustificano (ad esempio: attività di polizia – pubblica sicurezza).
Una certa ridondanza si nota nel richiamo ai principi ispiratori (art. 1 comma 1) ma il vero “nodo gordiano”è da ravvisarsi nell’art 1 bis, a tenore del quale “salvo che la legge disponga diversamente, le amministrazioni pubbliche agiscono secondo il diritto privato.”
Tale disposizione è da ritenersi priva di reale significato e portata innovatrice, in base al semplice assunto secondo cui in assenza di previsione normativa non può esistere attività amministrativa.
A dimostrazione di ciò, può opportunamente operarsi un richiamo all’articolo 86 comma 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea, che prevede l’applicazione delle proprie norme e in particolare delle regole in materia di concorrenza alle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”. Gli stati membri possono, dunque, attuare regimi derogatori nei confronti delle imprese private quando le specifiche finalità dalle stesse perseguite lo esigano, nell’ambito di un sistema improntato alla massima tutela dei principi comunitari (la sopraccitata norma prevede anche che “lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della comunità”).
Ne deriva che il soggetto pubblico può ritenersi giustificato nell’applicazione di deroghe funzionali al perseguimento di particolari fini, qualora glielo consentano i principi comunitari o, segnatamente, quelli costituzionali. Il Prof. Ferrari richiama un altro probante esempio suggellato dalla giurisprudenza comunitaria, quello di Bassano del Grappa, dove l’autorizzazione all’esercizio di attività commerciali viene rilasciata solo a seguito del parere favorevole di una commissione composta da commercianti. A seguito del ricorso avverso tale formula organizzatoria, la Corte di Giustizia C.E.E., pur prendendo atto della sua impostazione corporativistica, ha affermato che il sistema oggetto di impugnativa può sopravvivere se sostenuto da fini pubblici e non meramente legati ad interessi di categoria. Esempio contrario, il risarcimento danni per la mancata consegna di pacchi postali, di cui è stata dichiarata l’incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza. Secondo la Consulta, infatti, la mission di diritto pubblico non giustificava l’applicazione di un regime derogatorio. Non può, dunque, darsi luogo ad una deroga senza il sostegno dei principi costituzionali.

2) Per quanto attiene al procedimento amministrativo si osserva la tendenza alla delegificazione, finalizzata a consentire a ciascun organo amministrativo l’autonoma regolazione dei propri procedimenti. L’aspetto della delegificazione, nel disegno di legge in esame, è però evanescente. Occorrerebbe specificare, nel testo definitivo, se la stessa è in corso di attuazione o meno. Il fenomeno della moltiplicazione dei procedimenti amministrativi deve essere, infatti, presidiato con gli opportuni strumenti giuridici. L’unicità del procedimento si è sgretolata in virtù di nuovi fattori soggettivi (si pensi alle autorità amministrative indipendenti, che intervengono in situazioni diverse con diversi compiti) e oggettivi (necessità di diversificare i procedimenti in materie tecniche, ad esempio sanità e ambiente). Il Prof. Ferrari richiama, inoltre, un nuovo principio comunitario in via di affermazione: il principio di precauzione, in virtù del quale, per bloccare un provvedimento, basterebbe la mancata prova della sua “bontà”. Altro fenomeno interessante è rappresentato dalla progressiva affermazione nell’ordinamento di provvedimenti senza atti (si pensi alla D.I.A.).

3) La disciplina dell’invalidità (art. 10) apre il varco ad un notevole lavorio intepretativo. In particolare, gli art. 21 quinquies e sexies, nel consacrare a livello normativo (operazione senza precedenti) la distinzione tra nullità e annullabilità dei provvedimenti amministrativi, pongono una serie di problemi, rimessi all’interpretazione giurisprudenziale (ad esempio: quali sono gli elementi essenziali la cui assenza determina nullità del provvedimento? Quali sono le norme imperative che ne determinano, per contro, l’annullabilità?).                    La pecca di tale normativa consiste dunque nel non risolvere i problemi che solleva e nel demandare tutto alla futura elaborazione ed interpretazione giurisprudenziale.
L’invalidità e sue connesse implicazioni costituiscono tematiche molto importanti e dibattute nel diritto amministrativo. In particolare, il Prof. Ferrari richiama il problema della necessaria pregiudizialità delle domande di annullamento rispetto a quelle di risarcimento del danno. Si osserva, peraltro, l’erosione di tale vincolo pregiudiziale in favore dell’immediata monetizzabilità dell’invalidità del provvedimento (possibilità di chiedere il risarcimento in assenza di preventivo annullamento: il decreto o legislativo sulle infrastrutture l’ha già prevista). Per contro, vi è anche una sfera di invalidità in relazione alla quale non si profilano specifici interessi a ricorrere.


Intervento del Prof. Gian Franco Cartei (Università di Firenze)
su “I principi del diritto comunitario”

L’esposizione del Prof. Cartei trae le mosse dall’art. 1 comma 1 del Ddl 1281, che ricomprende i principi comunitari tra quelli che reggono l’attività amministrativa.
Nel 1970 il Prof. Merusi ha scritto un saggio, oggetto di recente ristampa, in cui si affronta il problema dell’applicabilità del principio di buona fede al diritto amministrativo.
L’ampia e dotta ricerca di Merusi (come confermato dallo stesso autore nella prefazione alla ristampa) si fonda sulla giurisprudenza e non sulla normativa.
Nello scorso 2000 (sentenza in data 1° aprile) il Consiglio di Stato attribuiva carattere generale al principio di proporzionalità. L’importanza dei principi di diritto comunitario si è andata affermando, in particolare, parallelamente al passaggio dall’amministrazione indiretta a quella diretta, nonché alla coamministrazione. Già dal 1956 la Corte di Giustizia (sentenza Angera) considerava il principio generale strumento essenziale per l’applicazione delle norme. Il fondamento dei principi comunitari risiede, in particolare, nella giurisprudenza. Anche il Trattato istitutivo della Comunità Europea fa riferimento espresso a principi di carattere amministrativo (legalità, sussidiarietà, proporzionalità, necessità della motivazione) che, peraltro, non sempre sono perfettamente omotetici rispetto a quelli di diritto interno. A titolo puramente esemplificativo, si consideri il principio di legalità nella sua accezione sostanziale, che sarebbe sconosciuto all’ordinamento comunitario. Quello di legittimo affidamento, per contro, ha una forte matrice comunitaria. Il principio di buona amministrazione ha una duplice declinazione: 1) antitesi della cattiva amministrazione; 2) orientamento generale all’efficacia/efficienza. Vi sono poi i cosiddetti “principi valvola” (ad esempio, rappresentazione degli interessi in gioco). Da ultimo, si segnalano quelli procedimentali: diritto al contraddittorio, diritto alla visione degli atti procedimentali (corrispondente al nostro diritto di accesso) termine ragionevole del procedimento, conclusione dello stesso con un provvedimento espresso. L’applicazione dei principi comunitari non ha carattere immutabile ma è diversamente modulata anche in funzione di eventuali vulnerazioni delle libertà previste dal trattato. In questi casi, è più pregnante la tutela del diritto violato (ad esempio, quello alla concorrenza, nel caso di violazione di libertà economiche). I principi comunitari sono utili? Può essere proficuo per l’interprete richiamarli? Nel 1998 la Corte di Giustizia affermava che i principi comunitari devono imporsi alle amministrazioni nazionali. Un cattedratico spagnolo, ad esempio, ha sostenuto la radice comunitaria della nostra Legge 241/90. Altra dottrina sostiene che il richiamo agli stessi può ingenerare confusione. E’ indubbia, infatti, la prevalenza della normativa e giurisprudenza comunitaria in certe “aree” di intervento (ad esempio, gestione dei finanziamenti comunitari e degli appalti pubblici sopra soglia). Soffermiamoci sul principio di proporzionalità, nel quale confluiscono tre aspetti: 1) idoneità; 2) necessità; 3) proporzionalità dell’atto in senso stretto. Già nel 1956, come sopra precisato, la Corte si riferiva a questo principio, adombrato dal Consiglio di Stato soltanto nel 1992.  Secondo alcuni, il principio in questione nascerebbe da quello di ragionevolezza, secondo altri dal principio di legalità.
L’equità consiste nel raggiungere il massimo utile col minimo sacrificio dei cittadini, definizione, questa, già coniata da Cammeo che anticipava in tal modo il principio di proporzionalità di matrice comunitaria. Da segnalare, da ultimo, quello di precauzione, nato nell’ambito della materia ambientale per estendersi, successivamente, alla sicurezza del lavoratore e tutela del consumatore.

Intervento del Prof. Stefano Civitarese (Università di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”)
su “La funzione amministrativa e il diritto privato”

L’art. 1 bis muove i primi passi nell’ambito dei lavori della Bicamerale (cosiddetto “emendamento Salvi”).
La formulazione attuale è il risultato di diverse modifiche e ripensamenti.
In via preliminare, si osserva che tale norma si inserisce, alimentandolo, nel dibattito sulla “riduzione della sfera pubblica”. Non mira, però, a ottenere una compressione dell’attività amministrativa, connotata sempre dal carattere della necessarietà, ma il cambiamento delle sue modalità di svolgimento. Generalmente l’attività della Pubblica Amministrazione si aggancia a fondamenti costituzionali. Nel caso specifico, tale fondamento mancherebbe. La possibilità di prescinderne era già adombrata da Orsi Battaglini in un celebre saggio sulla privatizzazione del pubblico impiego (Scoca parla addirittura di “statuto costituzionale” dell’attività amministrativa). Esiste, comunque, un nucleo di poteri che si dispiegano a prescindere dal consenso degli interessati (si pensi alle potestà sanzionatorie o alla necessità di realizzare opere pubbliche). Entrano però in gioco anche dei campi in cui si può registrare il recesso del diritto amministrativo: si pensi al regime delle concessioni e alle attività regolate dal diritto privato in genere.
In particolare l’agire (agere del diritto romano) si distingue dall’attività. E’una formulazione di tipo neutro, rispetto alla quale deve però farsi presente che tutto ciò che precede l’atto stricto sensu inteso ha comunque rilevanza giuridica (come già sostenuto da Feliciano Benvenuti). L’attività non è dunque da intendersi secondo un accezione formale ma come complesso di atti posti in essere in un determinato periodo (lo afferma, tra gli altri, il sopraddetto Orsi). Va menzionata l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 1/2000, in materia di servizi, che sottolinea la specialità delle funzioni (privatistiche?) della P.A. (in particolare, essa accenna alla prevalenza del diritto pubblico con riferimento al rapporto debitore/creditore che vede il coinvolgimento di un’Amministrazione). Come possono definirsi le esigenze costituzionali della funzione? Che cosa si intende per regime costituzionale? Vi sono alcuni principi “tangibili”anche in regime privatistico: ad esempio, principio dell’istruttoria, motivazione, trasparenza, pubblicità, obbligo di procedere.
Ha sempre riscosso grande credito la distinzione di Giannini tra attività pubblicistica e privatistica (regime dualistico). Per contro si può asserire, (sulla scorta di quanto già sostenuto da Schlesinger in un saggio degli anni ’60), che l’interesse pubblico si configuri anche con riferimento agli atti prenegoziali. Del resto, l’atto si ambiente automaticamente in un contesto privatistico ed esprime un assetto di interessi privatistico a seconda della modulazione di alcuni elementi (ad esempio, quando manchi la clausola di recesso nei contratti).


Intervento della Prof.ssa Alessandra Pioggia (Università di Perugia)
su “Amministrazione e diritto privato nella prospettiva della giurisprudenza”

Riprende integralmente l’intervento del Prof. Civitarese, precisando che la verifica della conformità dell’azione alla legge, operata dal giudice, passa attraverso due piani:

1) verifica della funzione;
2) verifica della sfera privatistica.

Nella privatizzazione sostanziale l’intero processo (fonte stessa dell’energia giuridica) transita in ambito privatistico. In questo caso la sfera pubblica e privata si fondono e confluiscono, senza possibilità di distinzione, nella medesima azione. Si pensi alla determinazione a contrarre, che, in sede di controllo pubblicistico, consente la verifica sulla coerenza del contratto, in quanto quest’ultimo deve mutuarne, necessariamente, i contenuti.
Oppure, con riferimento all’esercizio dei poteri datoriali, le clausole privatistiche suppliscono alle lacune delle previsioni pubblicistiche.
Fondamentalmente, occorre sottolineare che il giudice ordinario, nel processo di individuazione delle regole governanti la giurisdizione sulla sfera privatistica, deve muovere, piuttosto che dal potere, dal diritto, nella consapevolezza che non sempre vi è rapporto biunivoco, nell’applicazione delle stesse, tra diritto pubblico e privato.


Intervento del Prof. Gianluca Gardini (Università di Chieti Pescara)
su “La nuova disciplina dei vizi degli atti”

La nuova disciplina dei vizi degli atti  presenta aspetti positivi e negativi.
In primis va apprezzato l’impegno del legislatore nell’affrontare una materia i cui ultimi riferimenti normativi risalgono alla legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato e intorno alla quale dottrina e giurisprudenza si sono molto affannate (Giannini definisce i vizi dell’atto amministrativo “espressioni di anormalità”). La nullità, che ha finora rivestito carattere puntiforme, assurge al rango di categoria generale. Si osserva, in linea generale, una dequotazione dei vizi formali a favore dell’irregolarità, derivante sostanzialmente, quale espressione di flessibilità, dal principio di proporzionalità (in base all’assunto secondo cui non ogni violazione può determinare nullità).
La dottrina, guardando ai processualcivilisti (“il raggiungimento dello scopo sana il vizio”), abbraccia questa concezione.
Tale posizione “sostanzialista” presenta però dei rischi. Infatti, la contropartita dell’accentuata tutela dell’efficienza è costituita dal parziale sacrificio di alcune garanzie.
“Il raggiungimento dello scopo sana il vizio”. Ma qual è lo scopo dell’atto amministrativo? Fondamentalmente, il corretto soddisfacimento degli interessi in gioco.
Orbene, nella cosiddetta “prova della resistenza”, il giudice dovrebbe conoscere non solo dell’atto ma anche del rapporto, il che non è pacifico. L’operazione presenta un notevole grado di incertezza, in quanto effettuata “ora per allora”. Molti interrogativi si profilano in ordine alla nuova disciplina:
l’elenco delle cause di nullità è da considerarsi tassativo o esemplificativo?
La carenza di potere in concreto è vizio di nullità?; quale vizio patologico determina?
L’incompetenza territoriale: rientra tra i vizi che determinano l’annullabilità dell’atto?
Si osserva la scomparsa del vizio di incompetenza. A tal proposito c’è da chiedersi se il legislatore ordinario possa disporre con riguardo ai vizi di legittimità, ritenuti da alcuni autori costituzionalizzati in base all’art. 113 Cost. Una recente dottrina sostiene che le scelte relative alla competenza preconizzano quelle sull’assetto di interessi che ciascun ente vuole perseguire. Le decisioni, infatti, nell’ambito della stessa amministrazione, cambiano radicalmente a seconda del soggetto che le assume (si pensi, con riferimento al comune, al sindaco e al direttore generale). Alcuni autori (tra cui Casetta) sostengono che la categoria dell’irregolarità dovrebbe sparire. In effetti, la su richiamata concezione sostanzialistica potrebbe condurre, se spinta alle estreme conseguenze, alla derubricazione di obblighi procedurali (per es. l’obbligo di motivazione). Si pensi, a titolo esemplificativo, alla riforma del reato di abuso d’ufficio operata nel ’97. La nuova formulazione del 323 c.p. elude il vizio dell’eccesso di potere dal campo d’azione del giudice penale. Nel suo complesso, l’azione del giudice amministrativo potrebbe ridursi notevolmente. Inoltre, la possibilità di riformulare decisioni “ora per allora amplierebbe pericolosamente la discrezionalità dei T.A.R., con inevitabili asimmetrie di criteri e modalità di giudizio nell’ambito del territorio nazionale. Da ultimo il relatore, nel citare la sentenza della Cassazione n. 157/2003 (sulla responsabilità “da contatto” della P.A. con il cittadino), osserva che il disegno di legge si inserisce in un vento di riforma che ha fatto letteralmente “evaporare”una parte del tradizionale concetto di interesse legittimo.


Intervento del Prof. Lorenzo Del Federico (Università di Chieti – Pescara)
su “Procedimento amministrativo e procedimento tributario”

Il procedimento tributario è species del più ampio genus del procedimento amministrativo: ciò si evince dalla portata dell’art. 13 l.241/1990 e dallo statuto del contribuente. Si riafferma un depotenziamento dei vizi formali, nell’ottica di far sì che la p.a. uniformi la propria azione in vista del raggiungimento dei risultati che vengono predeterminati (efficacia). Non si può ammettere però una verifica ex post, poiché altrimenti occorrerebbe dotare il Giudice di poteri inquisitori e modificare la struttura del processo sotto il profilo inpugnatorio-caducatorio di atti.
Nell’ambito tributario rileva precipuamente il problema degli interessi legittimi oppositivi, mentre una norma come quella del nuovo comma 1bis dell’art. 1 l.241/1990 in tema di regime privatistico non dovrebbe trovare applicazione.

Comunicazioni

Dott. Diego De Carolis, Università di Teramo
su “Forma e sostanza della comunicazione di avvio del procedimento”

Dott.ssa Claudia Tubertini, Università di Bologna
su”La nuova disciplina della conferenza di servizi”

Dott. Christian Califano, Università di Pescara
su”Procedimento amministrativo e procedimento tributario”


Relazione conclusiva del Prof. Vincenzo Cerulli Irelli, Università La Sapienza di Roma

Conclude i lavori il Prof. Vincenzo Cerulli Irelli, il quale espone l’iter legislativo che ha portato alla stesura del testo attuale del disegno di legge in esame, ne menziona le novità più rilevanti e risponde ad alcune perplessità ed osservazioni fatte dai precedenti relatori. Si afferma innanzitutto che con il  d.d.l. n.1281 in oggetto non si fa altro che recepire osservazioni della dottrina più accorta e i recenti orientamenti della giurisprudenza su varie questioni, quali il regime delle invalidità e dei vizi formali.
Si espone poi il contenuto di alcune delle norme del d.d.l. n.1281.
L’art. 1 della l. 241/1990,  nella parte in cui indica i principi alla cui stregua deve orientarsi l’azione dei pubblici poteri, non è del tutto soddisfacente nella stesura attuale; la norma tuttavia ha il fine ed il pregio di orientare l’azione della p.a. nel rispetto dei principi di diritto comunitario, recependo in tal senso l’orientamento della Corte di giustizia CE. Quanto poi al nuovo comma 1 bis del medesimo art.1, si sottolinea il fatto che la norma è molto meno innovativa di quanto possa a prima vista sembrare, dal momento che è assolutamente pacifico che le amministrazioni pubbliche abbiano la capacità giuridica di diritto privato: al pari delle altre persone giuridiche possono pertanto stipulare qualsivoglia negozio di diritto privato, salvo quelli incompatibili con lo status di persona giuridica e quelli vietati dalla legge, e sempre nel rispetto delle norme di legge e nel perseguimento dell’interesse pubblico. Il nuovo comma 1 bis deve essere letto con l’art. 3 del d.d.l. 1281 che ha modificato l’art.11 della l. 241/1990 nella misura in cui generalizza lo strumento dell’accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo: questa norma tende allo snellimento dell’agire dei pubblici poteri, recependo le legislazioni europee che già prevedono un uso generalizzato, e non espressamente previsto da leggi ad hoc, dello strumento dell’ accordo sostitutivo.
Gli artt. da 4 a 8 modificano in parte il regime delle conferenze di servizio, cercando di rafforzare gli strumenti di raccordo tra le varie amministrazioni potenzialmente interessate all’adozione di progetti comuni, quali la Conferenza Stato Regioni e la Conferenza unificata: tali modifiche si sono rese necessarie dopo l’approvazione delle modifiche al Titolo V della costituzione, per far giocare un ruolo più incisivo alle Regioni.
Le novità più rilevanti si trovano all’art. 10 del d.d.l. 1281 nella parte in cui introduce un nuovo capo IV bis alla l.  241/1990 in tema di efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo.
L’art. 21 bis pone fine ad un dibattito assai aspro in dottrina sulla esecutorietà del provvedimento amministrativo, nel senso che la p.a. può mandare ad esecuzione il provvedimento amministrativo,  in mancanza di collaborazione del privato, nei casi  tassativamente prevista dal Legislatore.
L’art. 21 quater generalizza l’indennizzo  nel caso dell’ esercizio dei poteri di autotutela da parte della p.a. e del cd ius poenitendi nel caso di sopravvenuti moitivi di pubblico interesse, ricalcando lo schema dell’art,11, comma IV, della l. 241/1990 in tema di accordi tra privati e p.a.
Gli art. 21 quinquies e sexies regolano per la prima volta compiutamente il regime delle invalidità degli atti amministrativi, distinguendo i casi in cui è possibile ravvisare la nullità da quelli in cui invece ricorre l’annullabilità del provvedimento amministrativo. Questo è nullo nel caso in cui difetti un elemento essenziale (oggetto, forma, volontà, ecc.), e ciò si spiega col fatto che in casi di questo tipo saremmo di fronte ad una parvenza di atto: si fa il caso del provvedimento di esproprio di un sito che non esiste.Altro caso di nullità è il difetto assoluto di attribuzione: quest’ipotesi di nullità ricalca la cd carenza di potere in astratto od incompetenza assoluta, mentre non è chiaro se rientri nell’articolo in esame il caso della carenza di potere in concreto. Si tratta di casi elaborati dalla Suprema Corte di Cassazione per ritagliare uno spazio di manovra al Giudice Ordinario, casi nei quali il potere sussiste in capo alla p.a. procedente ma non viene in concreto esercitato e non produce i conseguenti effetti degradatori  sulle posizioni soggettive dei singoli: i casi elaborati sono quelli del difetto dei presupposti essenziali per l’esercizio del potere, del difetto della forma ad substanziam, del difetto dei termini essenziali, come nel caso dell’art. 13 della legge fondamentale in materia di espropriazione. La risposta alla domanda sembra essere negativa, ma occorre dire che la norma suscita incertezza e che bisognerà attendere le applicazioni giurisprudenziali sul punto.
L’art. 21 sexies si occupa delle ipotesi di invalidità dell’atto, menzionando la contrarietà a norme imperative ed il vizio di eccesso di potere ma non l’incompetenza relativa; quanto alla natura imperativa di una norma, si può dire che grosso modo tutte le norme di diritto pubblico sono imperative, mentre  per quanto concerne l’incompetenza relativa questo vizio patologico non scompare, dal momento che le competenze in diritto amministrativo sono disciplinate con legge e le eventuali violazioni possono essere ricondotte alla violazione della legge di riferimento.
Il secondo comma dell’art. 21 sexies depotenzia i vizi formali e rafforza l’ambito delle mere irregolarità; anche in questo caso il Legislatore italiano non fa altro che ricalcare una disciplina che già opera in paesi europei allo scopo di mettere al riparo provvedimenti dell’amministrazione affetti esclusivamente da vizi formali che non alterano né incidono sulla sostanza e sul contenuto dell’atto.
Comunque la portata della norma è meno rivoluzionaria di quanto non sembri, dal momento che questa si potrà applicare solo con riferimento ai provvedimenti vincolati o a bassa discrezionalità o  a discrezionalità semplice e non complessa. Si sottolinea in particolare che nel secondo comma dell’art.21 sexies è fuorviante parlare di scopo e, conseguentemente dell’applicazione del principio di raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, terzo comma, del c.p.c., dal momento che la norma parla espressamente di contenuto dell’atto.
Infine il d.d.l. 1281 in esame modifica in parte la disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi; non è molto chiaro in questa parte del d.d.l. il disposto del nuovo comma quarto dell’art. 25 l. 241/1990 nella misura in cui prevede la richiesta in tema di accesso ai documenti al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore, nel caso in cui il difensore competente non sia stato istituito.

Giacomo Rota