Prime note sulla “riforma della riforma” del Titolo V della Costituzione

29.04.2003

23 aprile 2003

In relazione allo schema di ddl di revisione del Titolo V, approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile, si profilano – in via del tutto preliminare, con riserva di più approfondite analisi – tre ordini di considerazioni, due di metodo e una di merito.

1. Va anzitutto sottolineata la assoluta necessità che ogni intervento sull’ordinamento costituzionale concernente (a vario titolo) le autonomie territoriali sia frutto, non di elaborazione unilaterale statale, ma di un’iniziativa sostanzialmente rispettosa di quel principio paritario che, a seguito del nuovo art. 114 Cost., qualifica in modo esplicito e inequivocabile la posizione costituzionale delle istituzioni costitutive della Repubblica. Si può aggiungere che dopo questo esplicito riconoscimento costituzionale – che sviluppa in modo coerente le potenzialità già contenute nel principio fondamentale del policentrismo dell’art. 5 Cost., nel quale è anche sancito l’obbligo permanente di adeguare l’assetto del sistema alle esigenze delle autonomie – appare indispensabile ricercare e acquisire il consenso delle autonomie interessate a maggior ragione per quegli interventi che possano in qualche modo implicare una deminutio della rispettiva sfera di poteri e funzioni già riconosciuti e garantiti in Costituzione. Tanto premesso, appare del tutto evidente l’esigenza che lo schema preliminare di ‘riforma della riforma’ predisposto dal Consiglio dei Ministri debba essere ora oggetto di un confronto e di un lavoro comune col sistema delle autonomie territoriali – nell’ambito di una sede realmente paritaria – che consenta di pervenire a soluzioni effettivamente condivise.

2. Si deve, al tempo stesso, altresì sottolineare, sempre sul piano del metodo, che l’avvio di questo lavoro comune in vista di possibili perfezionamenti (o integrazioni) della recente riforma del Titolo V non deve in alcun modo ostacolare il processo di attuazione di quanto stabilito dalla l.c. 3/01 (processo che era stato avviato sulla base della intesa interistituzionale del maggio 2002 e che è peraltro sostanzialmente in fase di stallo o di rinvio). Anzi, va ribadito quanto evidenziato nell’o.d.g. conclusivo dei recenti Stati generali delle Autonomie locali, ossia che è assolutamente necessario accelerare tale processo di attuazione, specie per alcuni punti da considerare a vario titolo prioritari: definizione delle funzioni locali, a partire da quelle fondamentali, con connesso trasferimento delle risorse finanziarie; federalismo fiscale e meccanismi perequativi ex art. 119; integrazione Commissione bicamerale per le questioni regionali (evitando, oltretutto, il ridimensionamento di ruolo della Commissione implicitamente previsto nell’art. 5 del nuovo ddl costituzionale); determinazione nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali.
In questa prospettiva, appare senza dubbio utile una rapida approvazione del ddl (ordinario) La Loggia, che – specie in alcune sue parti – può concorrere, se opportunamente emendato (v. le specifiche proposte ANCI e UPI in ordine soprattutto agli artt. 2, 4, 7 e 11), a rendere operative talune previsioni del nuovo Titolo V di particolare interesse anche per le autonomie locali, a cominciare dalla individuazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. E’ altresì urgente rendere operativa l’Alta Commissione prevista per avviare l’attuazione dell’art. 119 Cost.

3. Quanto al contenuto del testo predisposto dal Consiglio dei Ministri, qui si profilano in via di prima approssimazione alcuni punti di riflessione, precisando comunque subito che appaiono certamente utili alcuni elementi di chiarificazione delle competenze legislative nazionali (specie in ordine alla produzione e distribuzione dell’energia, alle grandi reti di trasporto, all’ordinamento della comunicazione e alla disciplina del procedimento amministrativo): 
a. Se può quindi per certi versi condividersi l’opportunità di qualche variazione rispetto al testo vigente del secondo e terzo comma dell’art. 117, non può però in alcun modo essere sottaciuta l’ispirazione fortemente centralistica delle modifiche proposte, nelle quali emerge diffusamente una sostanziale messa in discussione di molti elementi di valorizzazione delle autonomie, specie regionali, in particolare in ordine alla loro competenza legislativa, come si evince considerando:
– la riserva alla competenza esclusiva statale di una serie più numerosa di materie rispetto al testo vigente;
– la riserva comunque al legislatore statale della definizione di ‘norme generali’ riguardanti una molteplicità di materie ‘apparentemente’ affidate al potere regionale, ciò che vanifica sostanzialmente l’intento dichiarato nella relazione di accompagno di eliminare la legislazione concorrente per evitare conflitti, a prescindere dalla considerazione che tali norme generali – a differenza dei principi fondamentali riservati allo Stato nelle materie concorrenti – dovrebbero essere definite espressamente in via propedeutica, in tal modo condizionando la stessa possibilità di esercizio del potere legislativo regionale (in assenza di esplicite norme generali statali la regione non potrebbe intervenire, né ricavarle dal coacervo normativo, come invece è possibile per i principi);
– questa riserva ‘unilaterale’ al legislatore statale di una serie di determinazioni in materie regionali è ulteriormente accentuata – in modo potenzialmente ancora più invasivo dell’autonomia dei legislatori locali – dalla previsione dell’interesse nazionale, come limite comunque persistente a fronte di una competenza legislativa delle regioni (ciò che introduce un limite di legittimità censurabile davanti alla Corte costituzionale);
– vi è anche da considerare la ulteriore delimitazione dell’ambito delle materie legislative regionali perseguita con la previsione di una disciplina circoscritta ai soli interessi locali e regionali, che introdurrebbe una delimitazione di competenza di assai problematica definizione e comunque potenzialmente foriera di conflitti più complessi e ricorrenti di quelli che si vorrebbero evitare eliminando la potestà legislativa concorrente.
Va anche rilevato che questa riduzione a vario titolo dell’autonomia legislativa regionale può avere possibili riflessi problematici anche sul piano della definizione delle funzioni locali e sulla latitudine del potere normativo degli enti locali, a maggior ragione laddove permanga una confusione in ordine alla esatta portata del potere legislativo statale o regionale (ad esempio in materia di polizia, laddove da un lato si fa riferimento alla ‘polizia amministrativa locale’ e, dall’altra, si ripropone la ambigua formula della ‘polizia locale’ contenuta nel ddl sulla cd. devolution).

b. Per quanto riguarda specificamente le previsioni del ddl che riguardano più da vicino le autonomie locali vanno rilevati almeno i seguenti elementi di perplessità:
– la competenza esclusiva riservata al legislatore statale (lett. o) è affidata a formule che hanno per un verso un significato criptico e per altri versi effetti non chiaramente definibili, che sembrano complicare più che puntualizzare quanto previsto dalla vigente lett. p;
– è comunque inaccettabile che venga meno la ratio sottesa alla vigente lett. p, in base alla quale sono riservate esclusivamente a determinazioni legislative nazionali alcune ‘invarianti’ essenziali per la tenuta unitaria del sistema delle autonomie locali: in tal senso è certamente da escludere la possibilità che, a qualche titolo, abbia spazio il legislatore regionale nella determinazione sia degli organi di governo, con relativi sistemi elettorali, sia delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane;
– in tal senso appare certamente preferibile la attuale formulazione della lett. p o comunque una formulazione che garantisca: a) che per gli organi di governo vi è una disciplina generale a livello nazionale, a fronte della quale vi è solo spazio integrativo per l’autonomia statutaria e regolamentare di ciascun ente locale; b) che la individuazione delle funzioni fondamentali (sia storicamente proprie che comunque necessarie per la tenuta unitaria del sistema) sia di esclusiva competenza del legislatore statale, fermo restando che la disciplina di esercizio delle funzioni spetta poi al legislatore competente per materia, nonché ai regolamenti locali;
– va anche rilevato che nella norma transitoria dell’art. 5 in cui si fanno salve le previsioni degli statuti delle regioni speciali, estendendo nel contempo a tali regioni le forme più ampie di autonomia previste dal Titolo V, non si fa alcuna menzione della necessità di garantire tali ‘forme più ampie di autonomia’ anche agli enti locali ricompresi nell’ambito delle regioni speciali, come tra l’altro da ultimo sancito nel protocollo sottoscritto da tutti i soggetti interessati a Cagliari il 20 marzo scorso.

c. Si deve infine registrare che il ddl è del tutto lacunoso laddove invece sarebbe necessario prevedere alcuni elementi essenziali per proseguire e completare il percorso federalista, specie in ordine alla introduzione di una Camera delle autonomie (a maggior ragione indispensabile nella prospettiva di una reintroduzione dell’interesse nazionale), alla garanzia di accesso delle autonomie locali alla Corte costituzionale, nonché alla previsione di sedi e strumenti di dialogo e concertazione interistituzionale (con possibile costituzionalizzazione delle ‘conferenze’, e previsione di forme di accordo in sintonia con l’assetto cooperativo del sistema istituzionale).

di Gian Candido De Martin