L’insegnamento del diritto amministrativo nella riforma didattica – Resoconto convegno

10.04.2003

L’insegnamento del diritto amministrativo nella riforma didattica

Bologna, 28 marzo 2003

Seminario AIPDA

Scuola di specializzazione per le professioni legali E. Redenti

a cura di Gianluca Di Pofi


Il 28 marzo si è svolto presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali E. Redenti di Bologna, il seminario dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo dedicato a ‘L’insegnamento del diritto amministrativo nella riforma didattica’.
All’introduzione del Prof. Marco Cammelli, è seguito il primo intervento del quasi omonimo Prof. Andrea Cammelli ad argomento ‘Il diritto amministrativo nei curricula dei laureati: alcuni dati’, che ha fornito una serie di informazioni statistiche prese in vari atenei italiani.
Il primo dato che è stato presentato è stato quello dei laureati con tesi in diritto amministrativo del 2001, che, nelle 17 facoltà esaminate, è stato complessivamente di 547.
L’analisi effettuata ha permesso di stabilire che il voto medio di laurea,dei suddetti è stato di 98 punti su 110, poco distante dalla media dei laureati in giurisprudenza, ma lontano dal 108, che è la media degli altri corsi di laurea.
Sconfortante il dato relativo alla frequenza alle lezioni per un 20% di media con un valore minimo del 10% nell’Università del Molise e uno massimo del 41,4% nell’Università di Siena.
Bisogna, però, notare che la presenza alle lezioni è stata certamente influenzata dal fatto che il 55% degli studenti laureatisi in diritto amministrativo
Ha svolto un’attività lavorativa precaria durente il corso degli studi, mentre un altro 9% ha svolto un’attività lavorativa stabile.
Il prof. Andrea Cammelli ha proseguito con valutazioni più ‘sociologiche’ facendo notare ad esempio come il 40% dei laureati in Diritto Amministrativo provenga dalla maturità classica.
Tra questi laureati pochissimi (rispettivamente il 4,4% e l’1,4%) hanno usufruito del programma Erasmus o svolto stage presso aziende, in numero inferiore, non solo alla media delle altre facoltà (8,8% e 20%), ma anche alla media della facoltà di giurisprudenza (6,4% e 1,7%).
Tra le altre informazioni fornite, interessanti sono sembrate quelle sulla valutazione complessiva che i laureati in diritto amministrativo hanno dato della loro esperienza universitaria.
In una scala da 0 a 100, il risultato fornito dall’analisi effettuata è stato di 65, è di poco superiore alla media di giurisprudenza, 63 e poco inferiore a quella delle restanti facoltà, 67.
Nello specifico, i più soddisfatti nel rapporto con i docenti sono stati gli studenti dell’Università del Piemonte Orientale con un punteggio di 66, mentre, a giudizio degli studenti, le migliori biblioteche si possono trovare presso l’università di Modena e Reggio Emilia.
Da notare anche lo scarto registrato nelle risposte avute alla domanda: ‘Ti iscriveresti di nuovo all’Università e al medesimo corso di studi?’
Ai laureati in diritto amministrativo nell’Università del Piemonte Orientale che entusiasticamente rifarebbero tutti (100% di risposte positive) il percorso affrontato, fa riscontro la situazione di Genova, dove un quarto degli interpellati (75% di risposte positive) rimpiange di non aver effettuato altre scelte di studi e di carriera.
Al primo intervento è seguita una disanima del prof. Corpaci sullo ‘Stato dell’arte dell’attuazione della riforma’
Come premessa c’è stata la presentazione della proposta di ‘riforma della riforma’ elaborata dal gruppo di studio presieduto dal prof. De Maio, documento, peraltro, già esaminato dalla CRUI.
Il prof. Corpaci condivide con la commissione sulle necessità di non intervenire sulla struttura della riforma e di ridurre al minimo vincoli e prescrizioni formali nella determinazione dei corsi di studio.
È stato poi esaminato il cosiddetto percorso ad ‘Y’, in cui, in ciascuna classe di laurea, ad un annualità comune, farebbero seguito due differenti percorsi, uno professionalizzante ed uno di preparazione di base.
Ci sarebbe la possibilità di introdurre ‘passerelle’ selettive da un percorso all’altro, istituendo requisiti di accesso più rigidi per la laurea specialistica, la quale acquisirebbe una maggiore autonomia dal primo percorso formativo.
Per il prof. Corpaci profili problematici della proposta sono la determinazione del contenuto del primo anno in comune (cosa contiene il primo anno?) e le modalità per il passaggio al successivo percorso (è necessario il superamento di tutti gli esami del primo anno o cos’altro?).
Sulla struttura ad ‘Y’ il Prof. Corpaci ritiene, similmente a quanto prospettato dalla CRUI, che rendere obbligatorio questo modello per tutti i corsi universitari potrebbe essere poco funzionale in settori (ad es. umanistico) in cui questo non si adatta, mentre già spontaneamente molte facoltà più idonee si rivolgono a questo tipo di articolazione dei corsi di studio.
Il prof. Corpaci ha anche presentato l’opinione di coloro che ritengono necessario per una buona preparazione del giurista un percorso ‘lungo’ di studi, in particolare prospettando un quinquennio (1+4) senza alcuna uscita intermedia triennale, dichiarandosi contrario a tale opinione, in quanto solo alcune professionalità (es. notaio o avvocato) richiedono davvero una preparazione lunga, mentre la mancanza di ‘uscita’ dopo tre anni farebbe sì che le professionalità giuridiche intermedia verrebbero coperte da laureati di altre facoltà.
Se il problema è che la formazione del giurista ha bisogno di un tempo lungo, il prof. Corpaci fa notare come per questo ci sia già la prosecuzione di studi della laurea specialistica.
Le ultime considerazioni di questo intervento sono state rivolte all’attuazione della riforma negli atenei, in particolare si è fatto rilevare come la semestralizzazione dei corsi abbia avuto un forte aumento nelle varie università e abbia portato un miglioramento nel numero degli esami superati annualmente dagli studenti.
Il prof. Padoa Schioppa ha fornito un intervento incentrato sul tema ‘La formazione specialistica e le scuole per le professioni legali’ in cui si è dichiarato d’accordo con la struttura a due livelli a cui faccia seguito un terzo livello (le scuole di specializzazione per le professioni legali) maggiormente professionalizzante.
Per il prof. Padoa Schioppa è necessario dare qualcosa ‘di più’ a coloro che saranno giuristi (avvocati, giudici, notai) e questo ‘di più’ è proprio la formazione avanzata, l’addestramento che consente al futuro giurista di acquisire la capacità di analisi, di combinazione delle norme e di inquadramento del caso concreto nel tessuto normativo.
Secondo il prof. Padoa Schioppa il punto centrale della formazione avanzata è lavorare su giovani che hanno già conoscenze a carattere generale, in quanto solo così, e attribuendo al contempo la giusta importanza alla tesi finale, la formazione avanzata può essere davvero efficace.
In questa prospettiva non va bene il percorso ‘lungo’ (l’1+4 o il 5 indiviso) perché solo pochi necessitano d’una preparazione approfondita da giuristi, agli altri deve essere consentito di poter uscire ‘onorevolmente’ con tre anni. Solo chi è realmente motivato va avanti.
Per il prof. Padoa Schioppa, se il secondo livello è programmato per la formazione dei più dotati, non si corre il pericolo di replicare gli insegnamenti ai vari livelli di studio, perché ad ogni livello corrisponde un diverso approfondimento. La preparazione di base può, così, rimanere la stessa sia per chi prosegue che per chi decide di fermarsi.
La parte finale dell’intervento del prof. Padoa Schioppa è stata dedicata alle scuole di perfezionamento per le professioni legali. Lo sviluppo di queste scuole è una grande novità, perché riunisce professori, magistrati, avvocati e notai, nell’intento di dare una preparazione professionalizzante, in cui il taglio pratico dell’insegnamento proviene proprio dalla contemporanea presenza di più operatori del diritto.
Occorre, però, intervenire sull’attuale legislazione, perché se il biennio della scuola di specializzazione vale solo come un anno ai fini del periodo di praticantato per le professioni di notaio e avvocato, gli studenti vengono scoraggiati dall’iscriversi a corsi costosi ed impegnativi, con la prospettiva di ulteriori periodi di pratica prima di poter partecipare agli esami di abilitazione.
Al termine della sessione mattutina c’è stato l’intervento del prof. Giuseppe Ugo Rescigno, il quale ha parlato dei due perni principali sui quali poggiava la laurea quadriennale: la costruzione della figura del giurista e la stretta relazione, nell’università degli studi tra ricerca e didattica.
Secondo il prof. Rescigno, la preparazione di base era fornita, nel precedente ordinamento proprio dalla laurea quadriennale, che non veniva mai considerata ‘definitiva’, in quanto era predisposta per fornire la base comune delle conoscenze.
L’ordine degli studi di giurisprudenza non era mirata allo formazione di questa o di quella specifica professionalità, ma alla formazione d’una digura ideale di giurista.
Per questo la laurea in giurisprudenza presentava una forte compattezza ed omogeneità ed era sempre la stessa, restando indifferenti le successive specializzazioni.
Secondo il prof. Rescigno, questa formazione di base del giurista viene oggi fornita dalla laurea specialistica, in maniera che come base del giurista deve considerarsi attualmente la laurea quinquennale.
Il secondo perno caratterizzante la laurea in giurisprudenza è il legame tra ricerca e insegnamento.
Secondo il prof. Rescigno, L’insegnamento vuole fornire allo studente gli strumenti per affrontare i casi più difficili, mentre le successive specializzazioni non servono tanto ad acquisire abilità quanto ad ampliare lo spettro delle conoscenze dello studente e a sveltirne la capacità di risoluzione pratica dei casi.
Allo studente viene insegnato:
a) lo scrupolo filologico nella ricerca, l’assoluta esattezza nel riportare testi di legge, dottrina, giurisprudenza;
b) ad inseguire la completezza nella ricerca. Esaminare con cura i casi che si presentano con approccio quanto più possibile multilaterale.
c) ad argomentare pazientemente in maniera precisa, senza bruschi ‘salti’ nei passaggi logici;
d) a considerare sempre in discussione tutte le argomentazioni presentate.
La sintesi del percorso di formazione, per il prof. Rescigno è la tesi di laurea. Portare lo studente all’elaborazione di un lavoro in parte personale. La dimensione di questo elaborato non ha importanza, ciò che conta è la qualità dello sforzo prodotto.
Per il prof. Rescigno non è possibile immaginare un percorso triennale che sia al tempo stesso professionalizzante e propedeutico al successivo biennio. In realtà i percorsi triennali differenziati nominalmente sono una parte d’un percorso complessivo quinquennale.
Dal prof. Rescigno è stata anche criticata la differenziazione delle classi di laurea giuridiche in scienze giuridiche e servizi giuridici, in quanto sembra si siano volute creare lauree di serie A e lauree di serie B.
Nell’ultima parte del suo intervento il prof. Rescigno ha rappresentato la necessità di sperimentare nuove forme di didattica, affianco all’insegnamento del corso istituzionale, diminuendo il volume dei testi di studio e cercando di sviluppare una più continua attività seminariale.
L’esame deve essere basato per il prof. Rescigno su quanto fatto insieme agli studenti, una sorta un colloquio finale che faccia seguito alle lezioni.
La sessione pomeridiana è iniziata con l’intervento programmato del prof. Orlando Roselli, su ‘La didattica del diritto. Una occasione di riflessione sul metodo giuridico’
Il prof. Roselli si è riallacciato alla proposta di un osservatorio permanente sulla formazione giuridica, evidenziando come la crisi dei modelli di formazione giuridica accomuna un po’ tutti i paesi occidentali.
Le società contemporanee hanno difficoltà nel regolare il  proprio ordinamento giuridico, in una società dai caratteri provvisori e temporanei, con cambiamenti sempre più frequenti e veloci. È questo un processo tipico dei periodi storici di transizione.
Il modificarsi delle varianti e dei processi materiali proprio delle società post-moderne, moltiplica la presenza e lo sviluppo di possibili implicazioni giuridiche. Allora, secondo il prof. Roselli è necessario ampliare l’arco della formazione giuridica che deve essere caratterizzata da mobilità e capacità di trasformazione.
Occorre una modifica della ‘forma mentis’ del giurista, evitando il rischio sia d’un ‘nuovismo’ senza radici, che di indugiare in un modo antico di pensare.
Il riflettere su cosa serve al giurista d’oggi porta anche al ripensamento degli stessi fondamenti scientifici su cui si basa la ricerca giuridica.
Per il prof. Roselli esiste una stretta relazione tra ordinamento giuridico e didattica dei giuristi, per cui la mutazione dell’uno, comporta la mutazione dell’altra. Non si può pensare, dopo tutte le trasformazioni avvenute nel campo del diritto pubblico e amministrativo, che l’approccio scientifico e didattico rimanga lo stesso.
Secondo il prof. Roselli, se non si percorre la strada di ridefinire i fondamenti scientifici del diritto, ogni riforma degli studi giuridici è destinata a fallire.
Interviene, quindi il prof. Cassese che pone una domanda fondamentale per i successivi interventi: ‘Cosa si insegnerà nel Diritto Amministrativo nella 2^ fase (biennio), posto che nella 1^ fase (triennio) si insegneranno i principi, cioè il corso generale?’
Sono quindi seguiti gli interventi dei proff. Lariccia e Acquarone, che hanno posto entrambi il problema dello sviluppo della cultura del diritto amministrativo, e del pensare l’insegnamento del diritto amministrativo anche al di fuori della facoltà di giurisprudenza.
Il prof. Lariccia ha evidenziato il problema di chi, proveniente dalle verie facoltà, andrà ad applicare il diritto amministrativo nelle amministrazioni pubbliche, ricordando il lavoro appassionato di Vittorio Bachelet sulla formazione del funzionario amministrativo.
Il prof. Lariccia ha anche espresso le proprie considerazioni sugli interventi che l’hanno preceduto trovandosi d’accordo sul giudizio positivo sulla semestralizzazione dei corsi espresso dal prof. Corpaci, sulla triplice distinzione tra formazione di base, formazione avanzata e formazione professionalizzante, di cui all’intervento del prof. Padoa Schioppa e sulla necessità di ridurre i programmi di studio dell’esame di diritto amministrativo, rappresentata dal prof. Rescigno.
Il prof. Acquarone si è poi riallacciato alla domanda del prof. Cassese, sostenendo che con una concentrazione di crediti nel triennio, sarebbe possibile insegnare nel biennio della laurea specialistica una delle branche, ad es. diritto urbanistico, sanitario, ecc., in cui si ripartisce il diritto amministrativo.
Alla domanda posta dal prof. Cassese fa riferimento anche il prof. Sorace, che evidenzia la presenza dei master universitari. Facendo tre anni ‘seri’ di base, che corrispondano alla laurea quadriennale, depurata dallo sforzo di fare un libro di diritto, com’era la vecchia tesi, la preparazione dello studente può completarsi con un quarto anno di master incentrato sui diritti amministrativi speciali.
Conclude il prof. Cassese, facendo notare sia l’importanza, evidenziata negli interventi dei partecipanti, di pensare l’insegnamento del diritto amministrativo anche fuori dalla facoltà di giurisprudenza, che la presenza d’un triplice ciclo di questo insegnamento.
Si era abituati a ragionare su un diritto amministrativo biennale in un corso di studi di quattro anni. Nell’attuale sistema occorre pensare ad un triplice insegnamento in un arco di 6 anni (triennio + biennio specialistico + anno di master).
Si potrebbe allora configurare, secondo il prof. Cassese, un primo insegnamento dei principi del diritto amministrativo, inclusivi di principi processuali, un secondo ciclo sulla giustizia, intesa come attuazione del diritto amministrativo (law in action) e un terzo modulo che affronti i campi speciali della materia amministrativa nel master.


Gianluca Di Pofi